Sono contento che ti piaccia! Come dici? Vuoi conoscere la ricetta?
Piuttosto semplice. Ho messo delle pere tagliate e pezzettini in un pentolone, sulla stufa accesa. Ho aggiunto una mela, dello zenzero, un limone, anche loro tagliati a tocchetti. Ah, anche dello zucchero, e un poco di cannella.
Quando hanno iniziato a perdere consistenza, col frullatore a immersione li ho ridotti a una poltiglia, quindi ho aspettato che il tutto si addensasse per bene.
Ho versato poi il contenuto della pentola in tanti vasetti di vetro, sterilizzati preventivamente in forno, e richiusi successivamente con capsula ermetica.
Come dici? Questa è la ricetta della marmellata? No no, non è marmellata, è perticola di pere.
Vedi, se l’avessi chiamata marmellata avresti avuto delle aspettative, comparando il contenuto dei vasetti con la tua idea di marmellata. E allora avresti potuto pensare che è troppo densa, o troppo liquida, o poco zuccherata, o che ci sono troppi pezzettoni.
Insomma, non ti saresti gustato la perticola in modo genuino, senza pregiudizi.
Certo, la perticola avrebbe anche potuto non piacerti, ma lo avresti valutato unicamente in base al gusto, senza che alcuna comparazione viziasse l’esperienza. Solo sensazioni, la mente non avrebbe avuto appigli.
Sai una cosa, ho deciso che voglio imparare a relazionarmi così anche con la mia vita.
Per troppo tempo ho cercato di darle un senso, uno scopo; col risultato di ritrovarmi in costante comparazione, nel tentativo di valutare se ciò che stavo realizzando era in linea con un percorso ideale.
E’ esattamente come appiccicare l’etichetta “marmellata” sopra questi vasetti. Non è marmellata, è perticola! E il nome l’ho deciso solo dopo che i vasetti erano pronti. Sai, non ci saranno altri vasetti di perticola in futuro, è una produzione unica nel suo genere.
Capisci la differenza?
Io non so dirti se ha il sapore della marmellata, però… però mi piace!
L’Algoritmo premia la determinazione di chi pubblica con costanza.
E’ così che funziona, è così che si fa: se voglio trovare nuovi clienti, devo dedicarmi assiduamente all’osservanza delle regole dell’Algoritmo, pubblicando nel social anche le mie incursioni liberatorie sul cesso, o valutando perlomeno l’opportunità di farlo.
Insomma, ogni mio gesto potrebbe valer la pena di diventare social, forse che sì, forse che no… in ogni caso questo pensiero valutante entra con invadenza in ogni attimo della mia vita, H24.
Praticamente sarei passato dall’asservirmi alle paturnie ciclo mestruali aperiodiche di un capo ufficio emotivamente instabile a quelle di un Algoritmo che non è neppure umano e della cui imparzialità dubito fortemente?
MAVAFFANCULOVA!
Mi dedico assiduamente al mio orto che ne guadagno in salute.
Quando l’illuminazione nasce dal profondo della propria interiorità.
Parole e musica di Marco Perasso, Licenza Creative Commons.
La Fa#m La Fa#m
La
Il soffio della vita, per davvero, è tutto qua
Fa#m
ne abbiam le palle piene della spiritualità
Sim
io canto queste strofe con profonda libertà
La
ho finalmente appreso la scioccante verità
La
mi illumino d’incenso, ma che immensa assurdità
Fa#m
se tutto è vibrazione, il vibratore chi ce l’ha?
Sim
distopica esperienza, l’impressione di Degas
La
comprendo la potenza della sua bestialità
La
La mia risposta è il baco del calo del malo
Do
la brezza soffia forte, stramazzo se inalo
Re
fornitemi un appoggio, un albero, un palo
La
quant’è potente il baco del calo del malo
La
Il senso della vita, ti chiederai se c’è
Fa#m
io dico: puoi goderne senza avere alcun perché
Sim
i valori e la morale sono solo dei cliché
La
talmente convincenti che puoi farci un bel bidet
La
e a proposito di questo sento crescer dentro me
Fa#m
una potenza enorme che rilascio nel privé
Sim
la forza del profondo, l’impressione di Monet
La
pneumatico disagio, io ne sono alla mercé
La
Ma quant’è buio il beco del chelo del melo
Do
sonorità tribali che ti strappano il velo
Re
ne sono uscito vivo ma però per un pelo
La
il pelo del beco del chelo del melo
La
Il respiro della vita più o meno è questo qui
Fa#m
non c’è canalizzazione più diretta di così
Sim
è l’origine del vero, lascia perdere il tiggì
La
il ciuffo ti scompiglia e ti sconquassa il pedigree
La
è la tua porta stretta, il passaggio è quello lì
Fa#m
dell’illuminazione è perlomeno l’abici
Sim
saper lasciare andare, l’impressione di Dalì
La
la vittoria è di chi molla, lo sostengo da quel dì
La
Ma quant’è fondo il bico del chilo del milo
Do
la forza dirompente di una piena del Nilo
Re
più siedi dirimpetto e più ne apprezzi il profilo
La
quant’è potente il bico del chilo del milo
La
Il profumo della vita, lo ripeto da un bel po’
Fa#m
potrebbe non piacere, ma si fa quel che si può
Sim
l’illusione di mercato mi propone acqua di Giò
La
su grandi cartelloni alla fermata del metrò
La
Coprire, non sentire... è un po’ l’essenza dello show
Fa#m
distogliere l’olfatto, ambarabaciccicoccò
Sim
per non realizzare, ma prima o poi lo capirò
La
che siamo nella merda dentro a un quadro di Mirò
La
Ma quant’è stretto il boco del colo del molo
Do
s’allarga all’improvviso e tutto rade al suolo
Re
inflata il pirocumulo e prende il volo
La
che presa per il boco del colo del molo
La
L’aroma della vita, se ne apprezzi le virtù
Fa#m
suffimigi di salute, ma che gran tiramisù
Sim
non ti lasciar fregare dalle balle alla tivù
La
e riempi i tuoi polmoni con la forza del grisù
La
ma certo qui non voglio smantellare i tuoi tabù
Fa#m
ognuno ha il suo percorso, tortuoso per lo più
Sim
ma se pensi di guardarmi col nasino all’insù
La
te lo dico una volta e non te lo ripeto più
che puoi baciarmi il
La
baco del calo del malo
Do
Il beco del chelo del melo
Re
Il bico del chilo del milo
La
Il boco del colo del molo
In questo periodo si parla molto, nei vari testi e video di evoluzione spirituale, di passaggio dall’attuale livello di coscienza 3D al nuovo livello 5D. La mia petulante razionalità, che vuole sempre avere voce in capitolo ed è evidentemente ancora saldamente ancorata alla terza dimensione, si è domandata cosa significhi tutto ciò, e in cosa consistano le dimensioni di cui stiamo parlando. Voglio ora condividere con te alcune personalissime conclusioni con cui l’ho messa provvisoriamente a tacere; non prenderle troppo sul serio, sto solo giocando un po’.
Partiamo innanzitutto dal concetto di dimensione logica attraverso un esempio che distingue fra ‘uso’ e ‘menzione’ delle parole.
Se affermo:
Genova è sul mare
sto usando la parola ‘Genova’ nella sua funzione di indicatore semantico che permette di individuare mentalmente la città in questione.
Se invece affermo:
'Genova' è composta da sei lettere
come puoi notare dal virgolettato non sto usando la parola, ma la sto menzionando: non intendo riferirmi alla città, ma, appunto, alla parola stessa (affermare che una città è composta da sei lettere sarebbe privo di significato).
Questo esempio mette in evidenza due livelli fra loro non mescolabili:
al primo livello si parla di oggetti;
al secondo livello si parla di parole, che a loro volta parlano di oggetti; in altri termini, si parla del primo livello: è un linguaggio che parla di un altro linguaggio, ossia un metalinguaggio.
Nel quotidiano questi due livelli tendono a confondersi perché entrambi si avvalgono della lingua naturale, anche se riusciamo implicitamente a distinguerli; talvolta non ci riusciamo e allora nascono incomprensioni o situazioni comiche nella loro paradossalità.
L’esempio qui riportato si può parimenti applicare alla nostra percezione del mondo, che si stratifica lungo diversi livelli di consapevolezza; ciascun livello, o dimensione, si riferisce a (parla di, dà un significato a) il precedente.
Livello delle sensazioni; i sensi mi fanno percepire oggetti intorno a me, che distinguo ma che non comprendo ancora appieno; è il livello della mia conoscenza del mondo.
Livello funzionale, che completa di significato quanto percepito al livello precedente, parlando di esso: distinguo ad esempio una penna, che mi permette di tracciare segni su un altro oggetto, che chiamo ‘foglio di carta’; è il livello della mia conoscenza sul mondo: comprendo le potenzialità degli oggetti, ma non il loro lo scopo ultimo (perché tracciare segni su un foglio? Che senso ha?).
Livello esistenziale, che dà significato al livello precedente, attribuendo una ragion d’essere ai vari oggetti: traccio dei segni su carta perché voglio comunicare. Facendo leva su un’interpretazione teleologica, questo è il livello del giudizio: utile/inutile, innocuo/pericoloso, giusto/sbagliato.
Questi tre livelli descrivono quelle che sono le dimensioni dello stato di coscienza 3D, e si possono applicare, oltre che al mondo circostante, anche alla percezione del sé, secondo la sequenza:
attraverso i sensi mi accorgo di esistere, ma non so nulla di me;
osservando ciò che i sensi mettono a disposizione, comprendo di essere un individuo in possesso di determinate caratteristiche; a questo livello non so ancora qual è il loro scopo, non riesco a dar loro un significato;
osservando quanto appreso al secondo livello, comprendo che posso dare un senso alla mia esistenza ad esempio mettendo a disposizione le mie attitudini, offrendo prestazioni che possano migliorare la vita altrui, ottenendo in cambio una remunerazione che permetta il sostentamento mio e della mia famiglia.
Poiché ogni livello ‘spiega’ il precedente, è evidente che per poter modificare quanto percepito ad un livello occorra ricercare un significato per tale cambiamento, e questo si può fare solo al livello immediatamente superiore.
Posso ammettere che il colore della penna è verde e non rosso come credevo (livello 1), se attribuisco un significato a questo cambiamento giustificandolo col mio daltonismo (livello 2).
Posso accettare di lasciare il mio attuale impiego (livello 2), se riesco a collocare il cambiamento in un contesto di miglioramento professionale che garantisca maggior sicurezza per me ed i miei cari (livello 3).
Nietzsche sosteneva che chi ha un perché abbastanza forte può superare qualsiasi come; dalla lettura delle epistole dei condannati a morte durante l’olocausto si evince come coloro che riuscivano ad attribuire un significato alla propria morte (ad esempio perché sarebbe servita a rovesciare la dittatura) andavano incontro alla pena con maggiore serenità rispetto a coloro che credevano di essere stati giudicati per motivi assurdi.
Va rimarcato che più saliamo di livello più le resistenze al cambiamento di fanno forti: posso accettare di buon grado di aver scambiato una volpe per un gatto, sono assai riluttante nell’ammettere di essermi sbagliato sul conto del mio migliore amico, sono praticamente irremovibile sulle mie convinzioni etiche e morali, al punto che, se crollassero, rischierei la depressione o chissà quali altre patologie.
Fino a qualche anno fa ero in perfetto equilibrio nella mia coscienza 3D, e il significato che la consapevolezza di terza dimensione riusciva a dare alla mia esistenza era sufficientemente convincente; poi, piano piano, hanno iniziato a fare capolino i dubbi, per esempio: OK, OK, lavoro per mantenere me e la famiglia… ma è tutto qui, o c’è dell’altro? Questa è l’unica via per me? Che succede se non mi adeguo, se smetto di fare il bravo? La vita prosegue su binari diversi? Continua ad avere un senso?
Improvvisamente il mondo del counseling, così profondamente imperniato sulla sospensione del giudizio, mi ha aperto le porte del quarto livello di percezione; o almeno è questo che mi piace pensare.
Che significa astenersi dal giudizio? Significa rinunciare alla distinzione fra bene e male, o meglio, trascenderla. La distinzione rimane, ma su un piano diverso: resta nella terza dimensione, e la coscienza la osserva neutralmente dalla quarta.
Da quel nuovo piano perde di importanza lo specifico percorso che scelgo nella vita: ciò che conta è agire, fare esperienza, a prescindere dalla strada imboccata e dai risultati ottenuti; ogni cammino intrapreso sarà un tassello in più nella conoscenza di me; è questo il fine ultimo che, a questo livello percettivo, attribuisco alla mia esistenza.
E per un po’ ho ritrovato l’equilibrio che avevo perduto.
Ora sento che un nuovo senso di angoscioso vuoto mi pervade, sembra che tutto abbia perso valore e significato. L’impianto razionale che ho messo in piedi fin qui non regge più.
Che sia il preludio a un nuovo salto di coscienza? Riuscirò finalmente a dare voce al mio cuore?
Il numero di regole da noi ritenute utili è una buona approssimazione del livello di consapevolezza che abbiamo raggiunto.
Mi riferisco qui il termine ‘regola’ nella sua accezione più stringente, ossia quella normativa che associa una penalità al comportamento illecito, ma ne estenderò poi il significato nel prosieguo dell’articolo.
In questo mondo in cui domina l’illusorio principio di causa-effetto è evidente che ad ogni comportamento adottato seguiranno delle conseguenze; quando si introducono delle regole, chi legifera si sostituisce all’ordine spontaneo introducendo delle conseguenze artificiali (sanzione disciplinare, pecuniaria, limitazione della libertà) per poter pilotare il flusso degli eventi evitando conseguenze naturali ben più gravi.
La consapevolezza indica il grado di maturità raggiunto dall’individuo, a prescindere dall’età anagrafica, anche se si potrebbe supporre che con l’avanzare dell’età essa aumenti.
Il genitore dice al bambino di cinque anni di non attraversare mai la strada da solo, perché è pericoloso; se lo fa, lo punisce: una sanzione lieve, ‘certa’, artificiale, tende a evitare una sanzione più pesante, ‘naturale’, anche se solo potenziale: essere investito da un’auto.
Il bambino diventa adulto, la sua consapevolezza aumenta: adesso il divieto di attraversamento non è più assoluto, ma altre figure autoritarie di riferimento lo tengono in vita: è consentito attraversare la strada, ma solo sulle strisce, pena la multa. Il vincolo è rilassato, il meccanismo di base rimane. L’obiettivo finale è sempre quello di evitare un male peggiore.
L’individuo adulto dotato di un certo livello di consapevolezza è, appunto, cosciente di tutto questo, e si concede di disattendere il divieto quando le circostanze lo rendono palesemente insensato: è notte fonda, non c’è anima viva in giro, e le poche auto che dovessero passare si vedrebbero arrivare in lontananza per via delle luci, o se ne avvertirebbe il rumore. Il rischio è talmente basso che a quel punto l’attenzione si sposta su un altro fronte, ossia la possibilità di essere notato da un vigile; sdoganato anche quel pericolo, la regola viene ignorata e si gode il beneficio di risparmiarsi qualche decina di metri di cammino.
Per riassumere: l’individuo viene sottoposto a regole fintanto che non sviluppa una maturità tale da disciplinarsi in autonomia, per il bene proprio e anche per quello della collettività che, in definitiva, coincide col proprio.
Se ci rifletti, questo è valido in ogni circostanza; rubare è vietato perché una società in cui fosse ammesso sarebbe invivibile, ma se questa fosse interamente composta da individui consapevoli non ci sarebbe bisogno di una legge esplicita in tal senso, perché ciascuno saprebbe che a un vantaggio nell’immediato seguirebbe uno svantaggio ben maggiore nel futuro.
Resterebbero solo delle convenzioni utili a scopi pratici, come tenere la destra nelle situazioni di traffico nei due versi di marcia.
Convenzioni per evitare malintesi o vuoti decisionali, insomma, anche se sono convinto che un sufficiente livello di consapevolezza permetterebbe di ‘sintonizzarsi’ al volo con l’altro, e capire immediatamente la direzione da seguire per evitare lo scontro. Fisico e non.
La sintonia potrebbe addirittura arrivare al punto da rendere superflua la stessa convenzione su cui si basa il linguaggio naturale, rendendo così inutili le parole.
Quanto osservato è applicabile a livello sociale, ma anche del singolo: fino a che punto hai bisogno dell’approvazione del prossimo? Quanto ti appoggi all’esterno, per valutare se i tuoi comportamenti sono ‘corretti’? Al di là di leggi o regolamenti: in che misura segui le indicazioni dello specialista di turno, dell’amico esperto, del cuggino tuttologo?
Lam
Adesso confesso, col mio fare sommesso.
Sol Re Lam
Ho guardato dentro al cuore con distacco e con discreto successo
Sol Re Lam
isolando le concause dei problemi che mi piovono addosso
Mim Lam
ho cercato, analizzato ma il responso è quasi sempre lo stesso
Lam
Ebbene sì lo confesso!
Sol Re Lam
io comprendo chi mi lascia con sarcasmo nella scia del sorpasso
Sol Re Lam
nella vita sei reietto se non credi alle bugie del progresso
Mim Lam
e il giudizio della corte è il solo premio che mi viene concesso.
Lam
Io sono un fesso!
Sol Re Lam
Il mio uscio è sempre aperto, puoi rubarmi il poco che mi è rimasto
Sol Re Lam
io mi svendo e non comprendo l’abbondanza di chi siede al mio posto
Mim Lam
fai un plauso a quest’ingenuo che non vuole far pagare l’ingresso
Mim
Ma che povero fesso...
Lam
Io sono un fesso, non difendo me stesso
ghiotta preda di chi al mondo ha la mania del possesso
Sol
mi commuove chi mi prega di non piantarlo in asso
scavalcando quei confini che gli avevo concesso
Re
Io sono un fesso, credo nel compromesso
sono un bimbo di buon senso e muovo il primo passo
Lam
mi difendo col sorriso, faccio quello che posso
e se muoio non risorgo, pure se crocefisso
Sol
mi manipola per bene chi sa piangersi addosso
per poi dopo scaricarmi in mezzo a chi è retrocesso
Re
Io sono un fesso, troppo spesso compresso
sempre a tua disposizione, pure quando sto al cesso
Lam
Pure quando sto al cesso. Ma quante volte è successo!
Sol
Accade sempre più spesso!
Re
E poi comunque vada…
Lam
Sarà sul cesso!
Sol Re
Comunque vada…
Lam
io sarò sul cesso!
Mim
Beffa del contrappasso…
Lam
Io sono un fesso, non conquisto l’amplesso
sono troppo un buon amico per accedere al sesso
Sol
come un cane mi accontento quando mi tiri un osso
vado in guerra con la fionda, sono proprio malmesso
Re
Io sono un fesso, qualche volta depresso
penso di dover comprare se disturbo il commesso
Lam
Me ne vado in giro solo troppo a lungo represso
se difendo l’orticello dopo un poco mi stresso
Sol
dimmi quanto sono bravo e se mi sfrutti è permesso
ti farò sentir vincente dopo quello che ho ammesso
Re
molto lieto che il confronto ti regali il successo
ma il bilancio è prematuro meglio non farlo adesso
Lam
meglio non farlo adesso, aspettiamo il trapasso
Sol Re Lam
Rimandiamo a quando ci ritroveremo tutti sotto a un cipresso
Sol Re Lam
nonostante il tuo giudizio sono fiero di restare me stesso
Sol Re Lam
e ti lascio a degustare la vittoria contro un reo confesso
Sol Re Lam
Ne riparliamo quando ci ritroveremo tutti sotto a un cipresso
Parole e musica di Marco Perasso, Licenza Creative Commons.
azienda all’avanguardia che gestisce i rifiuti solidi urbani della civilissima Città Metropolitana di Genova, voglio che tu sappia che pago una salata tassa per lo smaltimento dei rifiuti allo scopo ben preciso di vivere in un ambiente pulito, non per avere una personalissima cassetta di sicurezza in cui depositare la mia spazzatura.
Visto che aver chiuso a chiave i cassonetti dell’immondizia impedisce al viandante di passaggio di fare uso della mia cassaforte, da altruista quale sono credo che dimenticherò di chiudere a chiave la suddetta, acciocché il mondo intero, e indirettamente io stesso, possiamo trarre beneficio dal mio gesto magnanimo; e poi, diciamocelo pure…
…BELIN son ligure, devo pagare come una banca per poi ritrovarmi della rumenta lasciata in giro da chi non ha la chiave della cassaforte?!?
L’entropia è la misura, al negativo, della quantità di informazione: maggiore l’entropia, minore l’informazione.
Un’idea è una sorta di avvallamento nella superficie mnesica, un solco; se abbandono l’idea senza sostituirla con un’altra il solco si appiana e l’informazione si riduce, l’entropia aumenta.
E’ come cancellare dei segni da un foglio fino a tornare alla superficie bianca, in cui l’entropia è massima e l’informazione nulla, è quella che definirei la via yin all’illuminazione.
Ma a ben vedere esiste una seconda via altrettanto valida, che definirei yang, e consiste nell’aggiungere informazione.
Via via che si maturano nuove idee la superficie mnesica si arricchisce di solchi, il foglio si riempie di tratti fino ad arrivare a una superficie uniformemente scavata, a un foglio senza più spazi bianchi.
Il massimo dell’informazione equivale a nessuna informazione. L’infinito collassa nello zero. Il cerchio si chiude.
Non importa che strada scegli, l’entropia, per un ben noto fenomeno fisico, è destinata ad aumentare, e alla fine la verità avrà il sopravvento.
E’ solo questione di tempo. The best is yet to come!
Ringrazio Corrado Malanga per i suoi preziosi spunti sull’entropia.
Una delle risorse più utili (direi indispensabili) per un counselor è sicuramente l’empatia, ossia la capacità di sintonizzarsi e comprendere gli stati emotivi e cognitivi del cliente.
Detto rozzamente e in parole povere, la capacità di mettersi nei panni altrui.
Secondo il famoso psicoterapeuta americano Carl Rogers, una delle mie principali figure di riferimento, l’empatia è uno dei tre pilastri su cui regge la relazione di aiuto, assieme all’autenticità e all’accettazione incondizionata (a questi ha poi affiancato, in un successivo stadio del suo percorso professionale, un quarto pilastro, la fiducia).
Le seguenti parole di Rogers rendono in modo efficace la sua concezione di empatia:
Posso entrare completamente nel mondo dei sentimenti e dei significati personali di un altro, in modo da percepirli così completamente da perdere ogni desiderio di valutarlo e di giudicarlo? Posso entrarci in modo così sensibile da potermi muovere liberamente, senza calpestare dei significati per lui preziosi? Posso scrutarlo in modo così fine da poter afferrare non solo i significati dell’esperienza per lui ovvi, ma anche quelli che sono solo impliciti, che egli vede solo oscuramente o confusamente? Posso estendere senza limiti questa comprensione?
Personalmente ho spesso pensato che essere empatici nella vita quotidiana fosse una gran fregatura perché, soprattutto in caso di divergenza di interessi, si manifesta la tendenza a giustificare l’altro, a comprendere le sue ragioni fino, forse, a rinunciare alle proprie, o comunque a metterle in secondo piano. Insomma, vivevo l’empatia come una debolezza.
Mi sono spesso osservato nel tentativo di porre un freno la mia empatia, caricando la controparte di connotazioni negative talvolta posticce, perché quanto più riuscivo a disegnarlo ‘cattivo’ tanto più mi sentivo titolato a difendere le mie posizioni, anche a suo discapito.
Non appena iniziato il percorso che mi avrebbe portato a diventare counselor ho compreso la distorsione della mia visione, ed è stato uno degli aspetti che più mi hanno affascinato di un mondo fino ad allora per me sconosciuto.
Semplicemente mi mancava un pezzo.
Empatia significa sentire e percepire il mondo dell’altro come se fosse il nostro; le paroline chiave rimangono quasi in secondo piano in questa frase, e sono: ‘come se’.
Perché se entro nel mondo dell’altro perdendo di vista il mio allora non c’è più empatia, ma simpatia o confluenza. Io non esisto più, io sono diventato l’altro.
E’ invece di fondamentale importanza comprendere che prima di dare empatia all’altro occorre dare empatia a sé stessi, identificando i propri bisogni e sentimenti; poi metterli da parte provvisoriamente, entrare nel mondo altrui e rimanere sempre pronti, in ogni istante, a uscirne.
E’ semplice, ma non è affatto facile: il rischio di rimanere intrappolato è elevato, e per questo nella professione è di fondamentale importanza la supervisione, ossia il ricorso ad altri professionisti che aiutino il counselor a riappropriarsi della centratura perduta.
Al di là del mondo del couseling, il concetto rimane valido anche nel quotidiano: mettersi nei panni dell’altro non significa fare sempre e comunque il suo interesse, ma comprendere i suoi bisogni avendo ben chiaro quali sono i propri, che sono altrettanto degni di tutela.
E a questo proposito cito un poco provocatoriamente un altro dei miei riferimenti, Friedrich Perls, riportando la sua famosa ‘preghiera della Gestalt’.
“Io sono io. Tu sei tu. Io non sono al mondo per soddisfare le tue aspettative. Tu non sei al mondo per soddisfare le mie aspettative. Io faccio la mia cosa. Tu fai la tua cosa. Se ci incontreremo sarà bellissimo; altrimenti non ci sarà stato niente da fare
Cosa è per me un gruppo? Cosa vorrei donare a questo gruppo? Cosa vorrei ricevere da questo gruppo? Come mi sento?
Stare assieme ad altre persone è una risorsa, e una fatica.
Non esiste l’armonia gratuita che scaturisce per definizione dal gruppo ‘giusto’; talvolta essa arriva senza sforzo, talvolta viene richiesto un lavoro difficile che porti a rinunciare alle proprie convinzioni, andando incontro all’altro con la sgradevole sensazione della sconfitta, di aver perso la partita. Ed è forse proprio in queste circostanze che la potenza del gruppo offre le migliori opportunità.
Perché è vero che la nave ogni tanto ha bisogno di rimanere in porto a riposare, ma il suo ambiente naturale è il mare aperto. Perché è nutriente rendersi conto che spesso preferiamo avere ragione, piuttosto che essere in pace e armonia. Perché le cose che accadono fuori accadono anche dentro al cerchio, ma in un contesto controllato, in una sorta di ‘laboratorio’ protetto.
Comprendere l’altro non significa abbandonare le proprie posizioni, solo ammettere che ce ne sono altre. Ce ne sono molte, ce ne sono infinite. Che meraviglia scoprirle!
Le dinamiche di gruppo portano a una continua esplorazione, un continuo arricchimento: a patto che si entri nella dimensione dell’ascolto, a patto che si abbandoni ogni preconcetto, e si accolga senza obiezioni di sorta la visione altrui.
Sospensione del giudizio, viene chiamata. Che non significa rinunciare definitivamente alla propria opinione, ma solo mettere da parte quel bisogno per un poco, quel tanto che basta per fare una capatina, con occhi curiosi di bimbo, nelle stanze altrui.
Chissà che non ci si trovino soprese interessanti! A me basta già quella di realizzare quanto quelle stanze siano diverse dalla mia, e allo stesso tempo, in qualche inspiegabile modo, così simili.