Questo articolo è dedicato a te, giovane studente in difficoltà sui banchi di scuola, che sei stato etichettato con acronimi fantasiosi come DSA, o classificato come appartenente alla categoria dei discalculici, o dei disgrafici, o dei dislessici, o dei dispitagorici (quest’ultimo è per il momento di mio conio ma sono certo che prima o poi salterà fuori, o un suo equipollente).
Insomma, quale che sia la categoria esotica a cui appartieni, è stato deciso che il tuo processo di apprendimento necessita di una corsia dedicata, e, forse, a seconda del grado di eccentricità della tua divergenza, di un insegnante di sostegno.
Non so come ti senta in tale situazione, perché da studente primo della classe, sempre uscito a pieni voti da questo sistema scolastico, non ho grossi elementi di valutazione; eppure anche io ho meritato la mia etichetta, nella fattispecie ‘secchione’, e in quanto tale stavo un po’ sulle palle a tutti e mi sono sempre sentito diverso dagli altri.
In ogni caso, voglio ora proporti una chiave di lettura alternativa: l’insegnante di sostegno, o qualsiasi altro tipo di strumento compensativo, non serve a sostenere te, ma il suo collega, cosiddetto ‘di ruolo’, che è incapace di gestire la diversità che caratterizza qualsiasi mente umana, non solo la tua.
E non per sua mancanza, bada bene; alla peggio può essere considerato connivente di un sistema scolastico che tende all’omologazione e alla standardizzazione, e proprio qui risiede il problema.
L’insegnante di sostegno ha l’arduo e ingrato compito di sopperire all’inadeguatezza di una offerta formativa che, invece di lasciar emergere le potenzialità di ciascun individuo, tende all’appiattimento e all’inquadramento all’interno di rigidi programmi di studio.
Forse per mera comodità, ma preferisco non approfondire troppo i retroscena, la scuola mira a produrre tanti bravi soldatini che eseguono ligi il compito assegnato, e io sono un esemplare uscito alla perfezione da questo tritacarne di pilkfloydiana memoria.
Che vantaggi ho avuto? Uno sicuramente, e non è di poco conto, per una psiche fragile: sentirmi adeguato alle aspettative del mondo.
Ma una volta compreso che questo stato dei fatti giova più agli altri che a me, una volta interiorizzata l’idea che compiacere il mondo risponde ad una strategia manipolatoria volta a trattare gli individui come vacche da latte, allora i vantaggi dell’essere un bravo soldatino vengono improvvisamente meno: i soldati sono utili solo per fare le guerre, e su questo fronte non ho bisogno di prove scientifiche per dimostrare l’esistenza dell’acqua calda.
Quindi, caro studente, il sunto del messaggio è questo: non sei tu ad essere inadeguato, ma sono loro, e anche se sono in molti questo non significa che abbiano ragione; lascia che pensino di te ciò che più preferiscono, gli orizzonti mentali limitati non si possono ampliare dall’esterno; ma non lasciarti convincere, non lasciare che l’opinione che hanno di te diventi anche la tua.
Lo so, è difficile. Ma provaci, abbi fiducia in te, datti una possibilità.
Ora voglio fare due chiacchiere con te a tu per tu (cioè tu2), in confidenza.
Quando (concedimi un metaforico francesismo) schiacci una merda e qualcuno ti dice che porta fortuna o, declinato altrimenti, subisci una qualsiasi sfiga e il guru di turno ti fa notare che si tratta invece di una grande opportunità di crescita e che bisogna uscire dalla comfort zone… ecco, detto fra noi… non manderesti questi signori, sempre per rimanere conformi nell’utilizzo degli appropriati termini tecnici, allegramente a cagare?
Vedi, io mi rendo conto che le difficoltà rafforzano e permettono di crescere, il fatto è che mi sarei anche stufato di prendere bastonate e sentirmi quasi nella condizione di dover ringraziare, di baciare il bastone, come si suol dire. A volte quel bastone lo prenderei a due mani e lo spaccherei in testa a qualcuno!
E allora? Dove sta il giusto? Cosa è più utile per me? Nascondere questi bassi istinti sotto il tappeto in nome della evoluzione spirituale, o dar loro voce in nome di un sacrosanto sfogo? Non sarà forse che anche questi biechi impulsi terreni nascondano importanti messaggi?
Io mi sono fatto questa idea: la situazione è simile a quella dell’allenamento. Si dice che in esso la fase più importante sia il recupero, il che è forse una esagerazione, tutte le sue fasi sono importanti; in ogni caso, l’allenamento si basa sul principio della supercompensazione, e funziona più o meno nel modo seguente.
Si sottopone il fisico a uno sforzo che lo impegni al di sopra del livello a cui è abituato, provocandogli uno stress. Dopodiché, gli si lascia il tempo di recuperare con un adeguato periodo di riposo; in questo tempo vengono riparati i danni e ripristinati i livelli energetici, riportandoli ai livelli di prima, più un margine aggiuntivo. E un po’ come se, essendo stati esposti a uno sforzo maggiore rispetto alle attese, si corra ai ripari in modo da non venire colti nuovamente impreparati.
Se però al corpo non viene lasciato il tempo per il recupero, i risultati ottenuti non sono quelli sperati; un pantofolaio che si mette in testa di punto in bianco di correre una mezza maratona al giorno per una settimana non diventa improvvisamente allenato, ma stramazza al suolo quanto prima. Lo sforzo è importante, ma lo è altrettanto il recupero.
Per uscire dalla metafora, dunque, a mio avviso non è vero che uscire in continuazione fuori dalla propria zona di comfort porti a una veloce crescita, al contrario logora, stanca, mette fuori gioco. Occorre trovare un giusto equilibrio, il giusto ritmo di marcia. Fare un’uscita, quindi rientrare e recuperare. Ci vuole un buon coach!
Eh, dico bene io, fosse facile trovarlo!
E invece il coach adatto a te esiste, anche se si è nascosto bene, il mattacchione, in un posto in cui non cercheresti mai.
E’ dentro di te, il coach sei tu. Solo tu, concedendo la giusta attenzione alle sensazioni, puoi capire ciò che è più adeguato a te.
Osservati, ascoltati, conosciti. Inizia a guardare dentro e smetti di dare retta ai sapientoni là fuori.
Lam
Aggrappato contro il muro della scuola
Mim
che mi protegge come una madre, fredda, rigida e dura
Do
guardo Antonio dall’altra parte della strada
Sol
quanta forza in quei ‘cazzo’ sputati dentro a una battuta
Sim
e lei ride, illuminata da quel sole
Fa#m
e io me ne sto qui nascosto, sull’altra faccia della luna
La
ma la maestra ha dato compiti difficili a casa
Mim
e lei dovrà pur telefonarmi, questo fine settimana
Lam
quanti bimbi raccolti attorno al loro capo
Mim
mi domando come possa meritare tutta questa attenzione
Do
certo, lui è un anno più grande, è stato bocciato,
Sol
e io sono così incantato dal suo parlare senza paura
Sim
e lei lo ascolta, affascinata da quel cuore
Fa#m
e io me ne sto qui indifeso a scongiurare il mio destino
La
che non si accorgano di me, che non decidano
Mim
di prendermi in giro, che arrivi a salvarmi il pulmino
Do
ma tu pensa se un bel giorno l’orizzonte
Sol
si oscurasse all’improvviso invaso dai dischi volanti
Re
e dall’astronave madre minacciosi
Mim
scendessero a terra dei mostri giganti
Do
il re di Vega, malvagio ha deciso
Re
che è giunto il tempo di conquistare la terra
Sol
e implacabile ogni angolo del mondo ha invaso
Mim
con le sue terribili macchine da guerra
Lam
e lei solleverà tremante lo sguardo al cielo
Re
e i suoi occhi finalmente trafiggeranno il velo
Sol
Antonio fuggirà chissà dove, impaurito
Mim
e ogni bimbo sentirà di essere stato abbandonato
Lam
e allora correrò nella la mia base segreta
Re
e mi trasformerò con il mio gesto di atleta
Sol
mi piroetterò nella cabina di comando
Mim
piloterò il mio robot sulla scuola volando
Lam
lei si sorprenderà nello scoprire chi sono
Re
e tutti urleranno il mio vero nome in coro
Sol
punteranno il loro dito indicando ed incitando
Mim
proprio mentre io per loro starò ancora combattendo
Lam
e in questo modo tutti, proprio tutti mi vedranno
Re
e il loro grande sbaglio finalmente ammetteranno
Sol
e tutti quanti assieme con mia gioia applaudiranno
Mim
tutti quanti assieme finalmente capiranno
Lam
tutti quanti mi vedranno
Re
tutti quanti scopriranno
Sol
che io sono Goldrake
Mim
io sono Goldrake
Lam
io sono Goldrake
Re
io sono Goldrake
Sol
io sono Goldrake
Sol Do
Ma chi è
Sol Do
Ma chi è
Mim Re Sol
U Fo Robot
Do
Si trasforma in un razzo missile
Sol
con circuiti di mille valvole
Fa Sol
fra le stelle sprinta e va
Do
mangia libri di cibernetica
Sol
insalata di matematica
Fa Sol
e a giocar su Marte va
Do
lui respira dell’aria cosmica
Sol
è un miracolo di elettronica
Fa Sol
ma un cuore umano ha
Do Fa Sol
Sono contento che ti piaccia! Come dici? Vuoi conoscere la ricetta?
Piuttosto semplice. Ho messo delle pere tagliate e pezzettini in un pentolone, sulla stufa accesa. Ho aggiunto una mela, dello zenzero, un limone, anche loro tagliati a tocchetti. Ah, anche dello zucchero, e un poco di cannella.
Quando hanno iniziato a perdere consistenza, col frullatore a immersione li ho ridotti a una poltiglia, quindi ho aspettato che il tutto si addensasse per bene.
Ho versato poi il contenuto della pentola in tanti vasetti di vetro, sterilizzati preventivamente in forno, e richiusi successivamente con capsula ermetica.
Come dici? Questa è la ricetta della marmellata? No no, non è marmellata, è perticola di pere.
Vedi, se l’avessi chiamata marmellata avresti avuto delle aspettative, comparando il contenuto dei vasetti con la tua idea di marmellata. E allora avresti potuto pensare che è troppo densa, o troppo liquida, o poco zuccherata, o che ci sono troppi pezzettoni.
Insomma, non ti saresti gustato la perticola in modo genuino, senza pregiudizi.
Certo, la perticola avrebbe anche potuto non piacerti, ma lo avresti valutato unicamente in base al gusto, senza che alcuna comparazione viziasse l’esperienza. Solo sensazioni, la mente non avrebbe avuto appigli.
Sai una cosa, ho deciso che voglio imparare a relazionarmi così anche con la mia vita.
Per troppo tempo ho cercato di darle un senso, uno scopo; col risultato di ritrovarmi in costante comparazione, nel tentativo di valutare se ciò che stavo realizzando era in linea con un percorso ideale.
E’ esattamente come appiccicare l’etichetta “marmellata” sopra questi vasetti. Non è marmellata, è perticola! E il nome l’ho deciso solo dopo che i vasetti erano pronti. Sai, non ci saranno altri vasetti di perticola in futuro, è una produzione unica nel suo genere.
Capisci la differenza?
Io non so dirti se ha il sapore della marmellata, però… però mi piace!
L’Algoritmo premia la determinazione di chi pubblica con costanza.
E’ così che funziona, è così che si fa: se voglio trovare nuovi clienti, devo dedicarmi assiduamente all’osservanza delle regole dell’Algoritmo, pubblicando nel social anche le mie incursioni liberatorie sul cesso, o valutando perlomeno l’opportunità di farlo.
Insomma, ogni mio gesto potrebbe valer la pena di diventare social, forse che sì, forse che no… in ogni caso questo pensiero valutante entra con invadenza in ogni attimo della mia vita, H24.
Praticamente sarei passato dall’asservirmi alle paturnie ciclo mestruali aperiodiche di un capo ufficio emotivamente instabile a quelle di un Algoritmo che non è neppure umano e della cui imparzialità dubito fortemente?
MAVAFFANCULOVA!
Mi dedico assiduamente al mio orto che ne guadagno in salute.
Quando l’illuminazione nasce dal profondo della propria interiorità.
Parole e musica di Marco Perasso, Licenza Creative Commons.
La Fa#m La Fa#m
La
Il soffio della vita, per davvero, è tutto qua
Fa#m
ne abbiam le palle piene della spiritualità
Sim
io canto queste strofe con profonda libertà
La
ho finalmente appreso la scioccante verità
La
mi illumino d’incenso, ma che immensa assurdità
Fa#m
se tutto è vibrazione, il vibratore chi ce l’ha?
Sim
distopica esperienza, l’impressione di Degas
La
comprendo la potenza della sua bestialità
La
La mia risposta è il baco del calo del malo
Do
la brezza soffia forte, stramazzo se inalo
Re
fornitemi un appoggio, un albero, un palo
La
quant’è potente il baco del calo del malo
La
Il senso della vita, ti chiederai se c’è
Fa#m
io dico: puoi goderne senza avere alcun perché
Sim
i valori e la morale sono solo dei cliché
La
talmente convincenti che puoi farci un bel bidet
La
e a proposito di questo sento crescer dentro me
Fa#m
una potenza enorme che rilascio nel privé
Sim
la forza del profondo, l’impressione di Monet
La
pneumatico disagio, io ne sono alla mercé
La
Ma quant’è buio il beco del chelo del melo
Do
sonorità tribali che ti strappano il velo
Re
ne sono uscito vivo ma però per un pelo
La
il pelo del beco del chelo del melo
La
Il respiro della vita più o meno è questo qui
Fa#m
non c’è canalizzazione più diretta di così
Sim
è l’origine del vero, lascia perdere il tiggì
La
il ciuffo ti scompiglia e ti sconquassa il pedigree
La
è la tua porta stretta, il passaggio è quello lì
Fa#m
dell’illuminazione è perlomeno l’abici
Sim
saper lasciare andare, l’impressione di Dalì
La
la vittoria è di chi molla, lo sostengo da quel dì
La
Ma quant’è fondo il bico del chilo del milo
Do
la forza dirompente di una piena del Nilo
Re
più siedi dirimpetto e più ne apprezzi il profilo
La
quant’è potente il bico del chilo del milo
La
Il profumo della vita, lo ripeto da un bel po’
Fa#m
potrebbe non piacere, ma si fa quel che si può
Sim
l’illusione di mercato mi propone acqua di Giò
La
su grandi cartelloni alla fermata del metrò
La
Coprire, non sentire... è un po’ l’essenza dello show
Fa#m
distogliere l’olfatto, ambarabaciccicoccò
Sim
per non realizzare, ma prima o poi lo capirò
La
che siamo nella merda dentro a un quadro di Mirò
La
Ma quant’è stretto il boco del colo del molo
Do
s’allarga all’improvviso e tutto rade al suolo
Re
inflata il pirocumulo e prende il volo
La
che presa per il boco del colo del molo
La
L’aroma della vita, se ne apprezzi le virtù
Fa#m
suffimigi di salute, ma che gran tiramisù
Sim
non ti lasciar fregare dalle balle alla tivù
La
e riempi i tuoi polmoni con la forza del grisù
La
ma certo qui non voglio smantellare i tuoi tabù
Fa#m
ognuno ha il suo percorso, tortuoso per lo più
Sim
ma se pensi di guardarmi col nasino all’insù
La
te lo dico una volta e non te lo ripeto più
che puoi baciarmi il
La
baco del calo del malo
Do
Il beco del chelo del melo
Re
Il bico del chilo del milo
La
Il boco del colo del molo
In questo periodo si parla molto, nei vari testi e video di evoluzione spirituale, di passaggio dall’attuale livello di coscienza 3D al nuovo livello 5D. La mia petulante razionalità, che vuole sempre avere voce in capitolo ed è evidentemente ancora saldamente ancorata alla terza dimensione, si è domandata cosa significhi tutto ciò, e in cosa consistano le dimensioni di cui stiamo parlando. Voglio ora condividere con te alcune personalissime conclusioni con cui l’ho messa provvisoriamente a tacere; non prenderle troppo sul serio, sto solo giocando un po’.
Partiamo innanzitutto dal concetto di dimensione logica attraverso un esempio che distingue fra ‘uso’ e ‘menzione’ delle parole.
Se affermo:
Genova è sul mare
sto usando la parola ‘Genova’ nella sua funzione di indicatore semantico che permette di individuare mentalmente la città in questione.
Se invece affermo:
'Genova' è composta da sei lettere
come puoi notare dal virgolettato non sto usando la parola, ma la sto menzionando: non intendo riferirmi alla città, ma, appunto, alla parola stessa (affermare che una città è composta da sei lettere sarebbe privo di significato).
Questo esempio mette in evidenza due livelli fra loro non mescolabili:
al primo livello si parla di oggetti;
al secondo livello si parla di parole, che a loro volta parlano di oggetti; in altri termini, si parla del primo livello: è un linguaggio che parla di un altro linguaggio, ossia un metalinguaggio.
Nel quotidiano questi due livelli tendono a confondersi perché entrambi si avvalgono della lingua naturale, anche se riusciamo implicitamente a distinguerli; talvolta non ci riusciamo e allora nascono incomprensioni o situazioni comiche nella loro paradossalità.
L’esempio qui riportato si può parimenti applicare alla nostra percezione del mondo, che si stratifica lungo diversi livelli di consapevolezza; ciascun livello, o dimensione, si riferisce a (parla di, dà un significato a) il precedente.
Livello delle sensazioni; i sensi mi fanno percepire oggetti intorno a me, che distinguo ma che non comprendo ancora appieno; è il livello della mia conoscenza del mondo.
Livello funzionale, che completa di significato quanto percepito al livello precedente, parlando di esso: distinguo ad esempio una penna, che mi permette di tracciare segni su un altro oggetto, che chiamo ‘foglio di carta’; è il livello della mia conoscenza sul mondo: comprendo le potenzialità degli oggetti, ma non il loro lo scopo ultimo (perché tracciare segni su un foglio? Che senso ha?).
Livello esistenziale, che dà significato al livello precedente, attribuendo una ragion d’essere ai vari oggetti: traccio dei segni su carta perché voglio comunicare. Facendo leva su un’interpretazione teleologica, questo è il livello del giudizio: utile/inutile, innocuo/pericoloso, giusto/sbagliato.
Questi tre livelli descrivono quelle che sono le dimensioni dello stato di coscienza 3D, e si possono applicare, oltre che al mondo circostante, anche alla percezione del sé, secondo la sequenza:
attraverso i sensi mi accorgo di esistere, ma non so nulla di me;
osservando ciò che i sensi mettono a disposizione, comprendo di essere un individuo in possesso di determinate caratteristiche; a questo livello non so ancora qual è il loro scopo, non riesco a dar loro un significato;
osservando quanto appreso al secondo livello, comprendo che posso dare un senso alla mia esistenza ad esempio mettendo a disposizione le mie attitudini, offrendo prestazioni che possano migliorare la vita altrui, ottenendo in cambio una remunerazione che permetta il sostentamento mio e della mia famiglia.
Poiché ogni livello ‘spiega’ il precedente, è evidente che per poter modificare quanto percepito ad un livello occorra ricercare un significato per tale cambiamento, e questo si può fare solo al livello immediatamente superiore.
Posso ammettere che il colore della penna è verde e non rosso come credevo (livello 1), se attribuisco un significato a questo cambiamento giustificandolo col mio daltonismo (livello 2).
Posso accettare di lasciare il mio attuale impiego (livello 2), se riesco a collocare il cambiamento in un contesto di miglioramento professionale che garantisca maggior sicurezza per me ed i miei cari (livello 3).
Nietzsche sosteneva che chi ha un perché abbastanza forte può superare qualsiasi come; dalla lettura delle epistole dei condannati a morte durante l’olocausto si evince come coloro che riuscivano ad attribuire un significato alla propria morte (ad esempio perché sarebbe servita a rovesciare la dittatura) andavano incontro alla pena con maggiore serenità rispetto a coloro che credevano di essere stati giudicati per motivi assurdi.
Va rimarcato che più saliamo di livello più le resistenze al cambiamento di fanno forti: posso accettare di buon grado di aver scambiato una volpe per un gatto, sono assai riluttante nell’ammettere di essermi sbagliato sul conto del mio migliore amico, sono praticamente irremovibile sulle mie convinzioni etiche e morali, al punto che, se crollassero, rischierei la depressione o chissà quali altre patologie.
Fino a qualche anno fa ero in perfetto equilibrio nella mia coscienza 3D, e il significato che la consapevolezza di terza dimensione riusciva a dare alla mia esistenza era sufficientemente convincente; poi, piano piano, hanno iniziato a fare capolino i dubbi, per esempio: OK, OK, lavoro per mantenere me e la famiglia… ma è tutto qui, o c’è dell’altro? Questa è l’unica via per me? Che succede se non mi adeguo, se smetto di fare il bravo? La vita prosegue su binari diversi? Continua ad avere un senso?
Improvvisamente il mondo del counseling, così profondamente imperniato sulla sospensione del giudizio, mi ha aperto le porte del quarto livello di percezione; o almeno è questo che mi piace pensare.
Che significa astenersi dal giudizio? Significa rinunciare alla distinzione fra bene e male, o meglio, trascenderla. La distinzione rimane, ma su un piano diverso: resta nella terza dimensione, e la coscienza la osserva neutralmente dalla quarta.
Da quel nuovo piano perde di importanza lo specifico percorso che scelgo nella vita: ciò che conta è agire, fare esperienza, a prescindere dalla strada imboccata e dai risultati ottenuti; ogni cammino intrapreso sarà un tassello in più nella conoscenza di me; è questo il fine ultimo che, a questo livello percettivo, attribuisco alla mia esistenza.
E per un po’ ho ritrovato l’equilibrio che avevo perduto.
Ora sento che un nuovo senso di angoscioso vuoto mi pervade, sembra che tutto abbia perso valore e significato. L’impianto razionale che ho messo in piedi fin qui non regge più.
Che sia il preludio a un nuovo salto di coscienza? Riuscirò finalmente a dare voce al mio cuore?
Il numero di regole da noi ritenute utili è una buona approssimazione del livello di consapevolezza che abbiamo raggiunto.
Mi riferisco qui il termine ‘regola’ nella sua accezione più stringente, ossia quella normativa che associa una penalità al comportamento illecito, ma ne estenderò poi il significato nel prosieguo dell’articolo.
In questo mondo in cui domina l’illusorio principio di causa-effetto è evidente che ad ogni comportamento adottato seguiranno delle conseguenze; quando si introducono delle regole, chi legifera si sostituisce all’ordine spontaneo introducendo delle conseguenze artificiali (sanzione disciplinare, pecuniaria, limitazione della libertà) per poter pilotare il flusso degli eventi evitando conseguenze naturali ben più gravi.
La consapevolezza indica il grado di maturità raggiunto dall’individuo, a prescindere dall’età anagrafica, anche se si potrebbe supporre che con l’avanzare dell’età essa aumenti.
Il genitore dice al bambino di cinque anni di non attraversare mai la strada da solo, perché è pericoloso; se lo fa, lo punisce: una sanzione lieve, ‘certa’, artificiale, tende a evitare una sanzione più pesante, ‘naturale’, anche se solo potenziale: essere investito da un’auto.
Il bambino diventa adulto, la sua consapevolezza aumenta: adesso il divieto di attraversamento non è più assoluto, ma altre figure autoritarie di riferimento lo tengono in vita: è consentito attraversare la strada, ma solo sulle strisce, pena la multa. Il vincolo è rilassato, il meccanismo di base rimane. L’obiettivo finale è sempre quello di evitare un male peggiore.
L’individuo adulto dotato di un certo livello di consapevolezza è, appunto, cosciente di tutto questo, e si concede di disattendere il divieto quando le circostanze lo rendono palesemente insensato: è notte fonda, non c’è anima viva in giro, e le poche auto che dovessero passare si vedrebbero arrivare in lontananza per via delle luci, o se ne avvertirebbe il rumore. Il rischio è talmente basso che a quel punto l’attenzione si sposta su un altro fronte, ossia la possibilità di essere notato da un vigile; sdoganato anche quel pericolo, la regola viene ignorata e si gode il beneficio di risparmiarsi qualche decina di metri di cammino.
Per riassumere: l’individuo viene sottoposto a regole fintanto che non sviluppa una maturità tale da disciplinarsi in autonomia, per il bene proprio e anche per quello della collettività che, in definitiva, coincide col proprio.
Se ci rifletti, questo è valido in ogni circostanza; rubare è vietato perché una società in cui fosse ammesso sarebbe invivibile, ma se questa fosse interamente composta da individui consapevoli non ci sarebbe bisogno di una legge esplicita in tal senso, perché ciascuno saprebbe che a un vantaggio nell’immediato seguirebbe uno svantaggio ben maggiore nel futuro.
Resterebbero solo delle convenzioni utili a scopi pratici, come tenere la destra nelle situazioni di traffico nei due versi di marcia.
Convenzioni per evitare malintesi o vuoti decisionali, insomma, anche se sono convinto che un sufficiente livello di consapevolezza permetterebbe di ‘sintonizzarsi’ al volo con l’altro, e capire immediatamente la direzione da seguire per evitare lo scontro. Fisico e non.
La sintonia potrebbe addirittura arrivare al punto da rendere superflua la stessa convenzione su cui si basa il linguaggio naturale, rendendo così inutili le parole.
Quanto osservato è applicabile a livello sociale, ma anche del singolo: fino a che punto hai bisogno dell’approvazione del prossimo? Quanto ti appoggi all’esterno, per valutare se i tuoi comportamenti sono ‘corretti’? Al di là di leggi o regolamenti: in che misura segui le indicazioni dello specialista di turno, dell’amico esperto, del cuggino tuttologo?
Lam
Adesso confesso, col mio fare sommesso.
Sol Re Lam
Ho guardato dentro al cuore con distacco e con discreto successo
Sol Re Lam
isolando le concause dei problemi che mi piovono addosso
Mim Lam
ho cercato, analizzato ma il responso è quasi sempre lo stesso
Lam
Ebbene sì lo confesso!
Sol Re Lam
io comprendo chi mi lascia con sarcasmo nella scia del sorpasso
Sol Re Lam
nella vita sei reietto se non credi alle bugie del progresso
Mim Lam
e il giudizio della corte è il solo premio che mi viene concesso.
Lam
Io sono un fesso!
Sol Re Lam
Il mio uscio è sempre aperto, puoi rubarmi il poco che mi è rimasto
Sol Re Lam
io mi svendo e non comprendo l’abbondanza di chi siede al mio posto
Mim Lam
fai un plauso a quest’ingenuo che non vuole far pagare l’ingresso
Mim
Ma che povero fesso...
Lam
Io sono un fesso, non difendo me stesso
ghiotta preda di chi al mondo ha la mania del possesso
Sol
mi commuove chi mi prega di non piantarlo in asso
scavalcando quei confini che gli avevo concesso
Re
Io sono un fesso, credo nel compromesso
sono un bimbo di buon senso e muovo il primo passo
Lam
mi difendo col sorriso, faccio quello che posso
e se muoio non risorgo, pure se crocefisso
Sol
mi manipola per bene chi sa piangersi addosso
per poi dopo scaricarmi in mezzo a chi è retrocesso
Re
Io sono un fesso, troppo spesso compresso
sempre a tua disposizione, pure quando sto al cesso
Lam
Pure quando sto al cesso. Ma quante volte è successo!
Sol
Accade sempre più spesso!
Re
E poi comunque vada…
Lam
Sarà sul cesso!
Sol Re
Comunque vada…
Lam
io sarò sul cesso!
Mim
Beffa del contrappasso…
Lam
Io sono un fesso, non conquisto l’amplesso
sono troppo un buon amico per accedere al sesso
Sol
come un cane mi accontento quando mi tiri un osso
vado in guerra con la fionda, sono proprio malmesso
Re
Io sono un fesso, qualche volta depresso
penso di dover comprare se disturbo il commesso
Lam
Me ne vado in giro solo troppo a lungo represso
se difendo l’orticello dopo un poco mi stresso
Sol
dimmi quanto sono bravo e se mi sfrutti è permesso
ti farò sentir vincente dopo quello che ho ammesso
Re
molto lieto che il confronto ti regali il successo
ma il bilancio è prematuro meglio non farlo adesso
Lam
meglio non farlo adesso, aspettiamo il trapasso
Sol Re Lam
Rimandiamo a quando ci ritroveremo tutti sotto a un cipresso
Sol Re Lam
nonostante il tuo giudizio sono fiero di restare me stesso
Sol Re Lam
e ti lascio a degustare la vittoria contro un reo confesso
Sol Re Lam
Ne riparliamo quando ci ritroveremo tutti sotto a un cipresso
Parole e musica di Marco Perasso, Licenza Creative Commons.
azienda all’avanguardia che gestisce i rifiuti solidi urbani della civilissima Città Metropolitana di Genova, voglio che tu sappia che pago una salata tassa per lo smaltimento dei rifiuti allo scopo ben preciso di vivere in un ambiente pulito, non per avere una personalissima cassetta di sicurezza in cui depositare la mia spazzatura.
Visto che aver chiuso a chiave i cassonetti dell’immondizia impedisce al viandante di passaggio di fare uso della mia cassaforte, da altruista quale sono credo che dimenticherò di chiudere a chiave la suddetta, acciocché il mondo intero, e indirettamente io stesso, possiamo trarre beneficio dal mio gesto magnanimo; e poi, diciamocelo pure…
…BELIN son ligure, devo pagare come una banca per poi ritrovarmi della rumenta lasciata in giro da chi non ha la chiave della cassaforte?!?