Archivio mensile:marzo 2019

La burocrazia mentale


L’italia è nota per essere un paese impastoiato dalla burocrazia. Che si fa quando accade qualche fatto spiacevole per correre ai ripari ed evitare che non si ripeta in futuro? Semplice, si fa una bella legge nuova nuova che copra il vuoto normativo.

Incendio durante una manifestazione con morti al seguito? Nuove norme sulla sicurezza e sulle vie di fuga. Evasione fiscale? Nuove norme, serve un giro di vite contro i furbi. Intossicazione alimentare? Nuove norme sulle modalità di confezionamento dei cibi.

Il politico si sente a posto con la coscienza (coscienza? No, diciamo piuttosto che sente integra la propria immagine di fronte all’elettore) dimostrando di aver fatto qualcosa per far fronte al pericolo, e varare nuovi provvedimenti è un modo assai plateale di raggiungere l’obiettivo; al problema di farli rispettare ci penserà poi qualcuno, nel frattempo l’elettore avrà dimenticato.

E siccome di fatti spiacevoli ne accadono in abbondanza, i precetti nel tempo si moltiplicano e si stratificano al punto che, se vuoi cimentarti in qualsiasi attività, devi mettere in conto che dovrai da qualche parte rinunciare ad essere in regola.

Già, perché spesso le leggi sono così intricate che si contraddicono, e non puoi rispettarne una senza violare l’altra. L’unico modo di essere a norma è quello di non far nulla.

Ma non ne scrivo qui perché mi sta a cuore questo genere di questioni, in realtà è solo uno spunto di riflessione che mi porta a pormi la domanda: ma io sono così diverso dallo Stato italiano? Perché devi sapere che anche io ho il potere di legiferare. Non per la collettività, certo, ma per me stesso; o, se vogliamo, per la collettività delle mie cellule.

Che accade dunque quando si verifica un evento, magari traumatico? Nella mia mente si formano nuove regole che piloteranno il comportamento futuro. Se mi scotto con la stufa accesa, non la toccherò più in seguito. Se la fidanzata mi lascia inaspettatamente, diffiderò delle donne. E così via.

Sono meccanismi di difesa naturali: la mente è deputata a ciò, sarebbero grossi guai se non lo facesse. Eppure, se si perde la consapevolezza di questi automatismi, si rischia di finire invischiati nei lacci e lacciuoli  delle rigidità mentali.

Se ti guardi attorno non potrai non notare quante persone hanno smesso letteralmente di vivere, imbrigliati come sono dai loro schemi. Sopravvivono, “tirano avanti” come si suol dire, ma di certo non vivono. Perché questo è amorale, quello non si fa, quell’altro è pericoloso, quell’altro ancora è dall’esito incerto. Tutte regole stratificatesi con l’esperienza, di cui troppo spesso si dimentica di verificare i presupposti di applicabilità, che costringono nella non azione.

Io non sono certo da meno, ma una certa onestà intellettuale verso me stesso non mi permette più di far finta di niente: è necessaria una semplificazione, una decisa opera di potatura che recida senza pietà tutti quegli schemi di comportamento desueti e obsoleti, in definitiva privi di fondamento.

Perché il bisogno che ho di vivere mi porta talvolta a violare qualcuna di quelle norme, ed allora giù coi di sensi colpa, per aver violato la legge. Ma si trattava poi di una legge giusta?

E’ tempo di esercitare l’auto consapevolezza, prendere le cesoie ed operare una decisa semplificazione normativa, perché il tempo a mia disposizione non è infinito e ho ancora parecchie cose da fare.

All’ufficio postale


Lunedì mattina, ore otto e trenta. Coda di vecchietti allo sportello in paziente attesa.

Il giovane uomo è sulle spine: farà tardi al lavoro, oggi ha una riunione importante.

“Scusi?”

“Dica?”

“Deve fare una cosa lunga? Sa, sono in ritardo.”

“No, stia tranquillo, devo solo ritirare la pensione.”

Sperava lo lasciasse passare, invece sembra fare il finto tonto.

I minuti scorrono voraci.

“Scusi!”

“Dica!”

“Le posso chiedere una cortesia? Devo pagare questa multa, è una cosa veloce, devo farlo entro oggi altrimenti scatta la penale, sarebbe così gentile da farmi passare? Tra pochi minuti ho un’importante riunione in ufficio.”

“I giovani! Sempre di fretta, eh?”

Rispondere ad una domanda con un’altra domanda è una di quelle cose che lo fanno decisamente imbestialire. Tiene la calma, per quanto possibile.

“Beh, sì, sono sempre di corsa, sa, io lavoro, ho poco tempo a disposizione, e devo riuscire ad incastrare ogni cosa! Le dispiacerebbe farmi questo favore?”

“Scommetto che la multa è per eccesso di velocità” ribatte il vecchio con sarcasmo.

“No, è per divieto di sosta, ero in ritardo e ho lasciato la macchina dove ho potuto… senta ma invece di impicciarsi dei fatti miei, non potrebbe aiutarmi? Come le dico, ho poco tempo!”

Parte una risata.

“Poco tempo? Questa è bella!”

Il nervosismo cresce dentro, sente di essere alla mercé di quel vecchio impertinente, inizia a maledire tutti i pensionati che intralciano chi lavora per versare quei contributi che pagheranno le loro pensioni.

“Mi prende in giro? Le ho appena finito di dire che tra poco ho una riunione importante, e lei fa finta di niente! Va beh, non importa, si tenga il suo maledetto posto, aspetterò il mio turno, grazie tante!”

“Perché si arrabbia tanto? Mi ha solo fatto sorridere la sua affermazione! Lei pensa di avere poco tempo, e chiede a me di darle il mio! Non le sembra strana come richiesta?”

“Per nulla! Scusi se mi permetto, ma non credo che lei stamattina abbia cose importanti da fare, dopotutto è in pensione. Io invece devo lavorare, ho un sacco di impegni e non trovo mai il tempo per incastrarli tutti! Sì, è proprio come le dico, ho decisamente poco tempo, mentre lei che è in pensione ne ha quanto ne vuole.”

Il vecchio si abbandona ad un’altra risata sonora, prima di ribattere.

“Mi sembra che lei sia un poco confuso! Quanti anni ha? Mi permetta, gliene do una trentina, è così?”

Trattiene a stento il nervosismo.

“Ne ho trentadue, e allora? Insomma, possibile che voi anziani non riusciate a capire i problemi dei giovani?”

“Trentadue anni! Un virgulto! Sa quanti ne ho io?”

Non risponde.

“Ottantuno. Quanto crede possa possa vivere un uomo?”

Non risponde, lo sguardo piantato su una mattonella del pavimento.

“Diciamo novant’anni? Arroghiamoci per un istante il ruolo della Provvidenza e diciamo così. Diciamo che io e lei camperemo fino a novant’anni, Dio mi perdoni la presunzione. Ebbene, se per un attimo alza la testa e guarda la faccenda un poco più dall’alto, è sempre dello stesso avviso? E’ sempre della convinzione di avere meno tempo di me?”

Una breccia si apre nel muro di intransigenza del giovane, che rimane in silenzio.

“La verità è che lei, rispetto a me, ha moltissimo tempo, ma lo sta sprecando. E questo crea in lei l’illusione di averne poco. Lei, come la maggior parte dei giovani, come ho fatto pure io, insegue dei falsi miti. Il lavoro, la carriera, poi la famiglia, poi le ferie in estate e la settimana bianca in inverno. E poi, quando sarà stanco di tutto questo, la pensione, ultimo, fallace obiettivo di vita. Ed allora si troverà al mio posto, in fila ad uno sportello, a riflettere sulle tante cose che avrebbe potuto fare e invece non ha fatto perché sempre impegnato ad inseguire qualcosa che le sfuggiva di mano. Non faccia il mio errore, si svegli, e sfrutti il tempo che ha a disposizione per vivere!”

Passano alcuni minuti in silenzio, mentre la fila avanza pigramente. Il giovane osserva i raggi del sole che filtrano obliqui dai vetri, poi volge lo sguardo al cellulare, titubante.

Quindi fa partire la chiamata.

“Pronto? Ciao, sono io… senti, ho avuto un contrattempo, mi spiace… non credo riuscirò ad arrivare in ufficio oggi… senti, puoi dire a Lucia di andare al posto mio in riunione?  Lei sa tutto… mi spiace tanto, ci vediamo domani… ciao… sì, ok, va bene… ciao.”

Attende il proprio turno in riflessivo silenzio, paga la multa, sale in auto e con calma e serenità inizia a guidare in direzione della riviera.

E’ tempo di ascoltare il silenzio della risacca.

Follia


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Riso. Dolore.

Lasciami sciogliere quel grumo di pensieri,

bambina dispettosa che sbirci in fondo al mio cuore

non ti permetterò di portarmi via l’amata sofferenza.

Cattivo. Buffo.

L’equilibrio grottesco della vita

sfuma ogni mio tentativo di tracciare una linea.

Essere felice, o soffocare per non dissolversi?

Ah, potessi riscrivere tutto da capo,

per lasciare il foglio bianco!

 

Tempo di riflessioni


Dai un’occhiata ai seguenti dati.

Tartaruga

   6 battiti al minuto 150 anni di vita

Elefante

 30 battiti al minuto

  70 anni di vita

Cavallo

 44 battiti al minuto

  40 anni di vita

Mucca

 65 battiti al minuto

  22 anni di vita

Maiale  70 battiti al minuto

  25 anni di vita

Balena

 80 battiti al minuto

  20 anni di vita

Cane  90 battiti al minuto

  15 anni di vita

Gatto

150 battiti al minuto

  15 anni di vita

Scimmia 190 battiti al minuto

  15 anni di vita

Coniglio

205 battiti al minuto

    9 anni di vita

Criceto 450 battiti al minuto

    3 anni di vita

Colibrì 600 battiti al minuto

 0,5 anni di vita

Sembrerebbe proprio che, in media, ogni essere vivente abbia a disposizione lo stesso numero di battiti totali, nella propria vita: se il cuore batte meno, si vive più a lungo. Pare inoltre che esista una correlazione con le dimensioni: più si è grandi, più si è lenti, più si è longevi.

Bene, ora che ti ho attirato nella lettura con questa curiosità, ecco il colpo a tradimento: parliamo di fisica. Dai, non te la prendere, cerca di proseguire.

Il fatto è il seguente: o Einstein si è sbagliato, oppure lo scorrere del tempo è un’illusione. Infatti, secondo la teoria della relatività ogni evento esiste già nell’universo fisico, e l’apparente danza del presente che sfuma in passato per lasciare posto ad un futuro che ancora non c’è sarebbe, per l’appunto, solo un fatto di percezione.

Insomma, è la nostra mente a convincerci di questo fluire, mentre nella realtà tutto è fermo e immobile; un po’ come per il sole che gira attorno alla terra, si tratta solo di un’illusione percettiva: è la coscienza che si muove, come un proiettore che analizza in sequenza i fotogrammi di un immenso film cosmico, fotogrammi che in realtà già preesistono tutti, ma che vengono analizzati uno alla volta.

Supponiamo allora che la velocità di questo proiettore sia correlata alla velocità del metabolismo, che mi piace qui approssimare con la frequenza cardiaca. Ebbene, in tal caso, anche se dal nostro punto di vista il colibrì è sfigatissimo, perché vive una vita di stress, frenetica e agitata e per di più muore presto, in realtà dalla sua prospettiva avrebbe un’esistenza altrettanto pregna di eventi e soddisfazioni: è infatti risaputo che i colibrì sono piuttosto goderecci.

Quindi: metabolismo veloce, percezione del tempo rallentata; se infatti in un minuto io percepisco trecento eventi (fotogrammi) e tu solo cento, per me quel minuto è durato più a lungo del tuo; non è il valore assoluto che conta, ma la densità di accadimenti nell’unità di tempo.

Questo spiegherebbe fra l’altro perché, con l’avanzare degli anni, il tempo ci sembra scorrere più velocemente: il nostro metabolismo rallenta, percepiamo meno eventi per unità di tempo, quindi abbiamo l’illusione che il tempo fluisca più in fretta.

Se il nostro metabolismo, e con esso le nostre capacità percettive, fossero per assurdo spinti al massimo, raggiungendo la velocità della luce, ecco che saremmo in grado di vedere la danza dei singoli atomi, e quello che ci appare ora come un bel tavolo solido sarebbe invece visto come un pigro brulicare di instancabili e minuscole formiche.

E se al contrario fossimo esseri enormi, dal metabolismo incredibilmente lento? Parliamo di un ‘battito’ ogni milione di anni. Ebbene, in tal caso vedremmo ad esempio ogni orbita di pianeta come un anello che circonda l’astro di riferimento, perché non saremmo in grado di percepire il corpo celeste nelle sue singole posizioni; è un po’ come se tutti i fotogrammi si sovrapponessero e li proiettassimo contemporaneamente. Il moto traslatorio dei corpi celesti nello spazio disegnerebbe a questo punto figure tridimensionali, un po’ come in quegli effetti speciali nei video in cui i contorni di un’immagine in movimento lasciano una scia.

Concediamoci il balzo di fantasia: magari è davvero così… e gli astri enormi e lontanissimi che popolano l’universo sono solo atomi di una realtà più grande, incredibilmente lenta per il nostro metro… in un’interminabile catena di matrioske sempre più grandi e lente.

Un modo alternativo di concepire l’infinito.

Nati per correre


La giornata era limpida e fredda; il sole che faceva capolino da dietro le montagne dissolveva lentamente la nebbiolina del primo mattino.

Io osservavo quella meraviglia dalla finestra della camera, e dentro di me sentivo la vocina che sussurrava maliarda: “prenderai un sacco di freddo, la temperatura è sicuramente sotto zero là fuori, resta in casa al calduccio, chi te lo fa fare?”

Conoscevo bene quella voce, mi aveva spesso dissuaso dal cogliere numerose occasioni di vita, in passato, e mi forzai a fatica di non darle ascolto: sarei stato parte integrante ed attiva di quel bel paesaggio là fuori.

Indossai la termica, la fascia per le orecchie, i guanti, ed uscii.

Il freddo pungente offendeva le mie guance, lo sentivo insinuarsi lungo la gola fin giù nei polmoni; ogni mia espirazione produceva bianche nuvolette che si disperdevano pigramente sopra la mia testa.

Iniziai ad avanzare timide falcate lungo il sentiero dietro casa, che divenne presto ripida salita in mezzo ai castagni spogli.

Il fiato era corto, le gambe dure e affaticate; sentivo il crepitio delle foglie secche irrigidite dal gelo infrangersi sotto i miei piedi.

La vocina tornava a più riprese alla carica mettendomi di fronte alla folle inutilità di quella corsa nel bosco gelato: diceva che il fisico non avrebbe retto, che sarebbe stato saggio tornare indietro; ma io mi conoscevo bene, sapevo che sarebbe stato sufficiente resistere ancora un pochino, e poi la piacevole sensazione del corpo pervaso dall’energia che entra in circolo avrebbe cambiato completamente le carte in tavola.

Raggiunsi il punto di svolta: è quello in cui credi di essere arrivato al limite delle tue potenzialità; è proprio allora che bisogna sforzarsi di non credere alle illusioni della mente, che per un eccesso di zelo protettivo traccia i confini del possibile molto, molto prima di quelli effettivi.

Così feci: continuai a correre. E d’improvviso, come per magia, la fatica svanì, per lasciar posto alla piacevole sensazione di calore che abbracciava ogni cellula del corpo, contrastando in perfetto equilibrio termodinamico la pressione del freddo pungente dell’ambiente circostante.

Ero entrato a regime, la mente aveva interrotto il suo petulante chiacchiericcio, e potevo finalmente dare ascolto solo le mie sensazioni; gli alberi sfrecciavano rapidi al mio fianco, per poi diradarsi gradatamente e lasciare spazio all’ampio dosso erboso ricoperto di brina che individuava la vetta.

Mi fermai, il fiato che continuava a condensarsi in sinuose nuvolette evanescenti, a contemplare l’incantevole panorama che si poteva godere da lassù. Il sole con tutto il suo carico di energia dissolveva rapidamente il ghiaccio dai miei pensieri.

Ero vivo. Ero felice e libero.

L’ennesima, inconfutabile conferma di quanto valga la pena sforzarsi di ignorare i freddi precetti protettivi della mente, per lasciare spazio al corpo e al cuore.

Gridai ‘GRAZIE’ al vento che spazzava la vetta e ripresi la corsa, in discesa verso casa.