E’ inutile che io cerchi di combattere qualcuno o qualcosa là fuori, perché l’unico vero nemico si trova dentro di me.
Ho compreso che è il mio desiderio di vedere la luce ad alimentare il buio, perché nel mondo duale in cui sono immerso l’unico modo per fare esperienza della prima è confrontarsi con la presenza del secondo.
Di conseguenza, quanto più mi ostino a volere luce, tanto più creo buio. Quanto più ho bisogno di sentirmi buono, tanto più dovrò essere circondato da cattivi.
Di questo si alimenta l’Uomo Nero dentro di me.
Continuerà a succhiarmi la vita, fintanto che non vedrò in faccia il mio bisogno, lo accoglierò senza giudicarlo, e lascerò che svanisca da sé, senza far nulla perché ciò accada.
Lam Mim Lam Mim
Lam
Mi sveglia di notte nella tenebra oscura
gorgoglia racconti dalla fine più nera
Mim
è la sua natura, la sua natura
l’Uomo Nero ha fame della mia paura
Lam
L’angoscia mi avvolge, temo la dittatura
distorto presagio di affogare in miniera
Mim
cresce a dismisura, cresce a dismisura
l’Uomo Nero si nutre della mia paura
Do
Velata blandizia di una cupa dimora
l’ombra della sfiga, quanto è lusinghiera!
Mim
è tutta una iattura, tutta una iattura
l’Uomo Nero esiste nella mia paura
Do
Imploro la mamma che mi abbracci ancora
questa dipendenza è la menzogna più vera
Mim
è una fregatura, è una fregatura
l’Uomo Nero è frutto della mia paura
Lam
Io sono una vittima, ho bisogno di cura
un fragile bimbo, coccolatemi ancora!
Mim
è la mia sventura, la mia sventura
perché in fondo fa comodo questa paura
Lam
Diabolico scambio, divina stortura
tu mi succhi la vita, io poltrisco ancora
Mim
sei la mia creatura, la mia creatura
sono io che ho bisogno di questa paura...
Do
Quindi resto in casa, surrettizia galera
ho la scusa ideale per dormire ancora
Mim
nella mia clausura, la mia clausura
che alibi perfetto è questa paura
Do
Mi nascondo al mondo, temo la bufera
meglio stare in prigione che varcar la frontiera
Mim
è una fregatura, una fregatura
sono identificato nella mia paura!
Lam
la mia paura, la mia paura
la mia paura è la menzogna più vera
Mim
la mia paura, la mia paura
la mia paura è la menzogna più vera
Lam
che seccatura, è una sciagura
passare la vita dietro a una ringhiera
Mim
che scocciatura, è una tortura
che ansiogena lagna questa partitura!
Re
Voglio aprirmi alla primavera...
Sol
E allora succhiati la mia gioia
Sim
e sì, lo so, la troverai amara
Re
è il dolce nettare della vita di Madre
Mim
Gaia
Sol
Mastica piano il mio riso e ingoia
Sim
questo tripudio di amore, impara
Re
voglio gustarmi le meraviglie della
Mim
vecchiaia
Sol
Divincolarmi da ogni pastoia
Sim
vibrare di leggerezza chiara
Re
cantando nella serena attesa che tu
Mim
scompaia
Re
io canterò nella calma attesa che tu
Mim
scompaia
Re
io danzerò nella ferma attesa che tu
Mim
scompaia
Ho la lieve impressione di vivere in un’epoca in cui si esalta l’individualismo ed il materialismo.
Volevo quindi utilizzare questi due concetti con un approccio un po’ laterale, se vogliamo anche giocando un po’ con le parole, per portarti a rispondere alla domanda: ma tu chi sei? Individualismo.
Tu sei sicuramente costituito da materia. Materialismo. Ecco come ti immagino:
Ti senti sottovalutato? Te ne do atto, ma porta pazienza, avevo necessità di semplificare. In prima battuta possiamo dire che sei un insieme di atomi, di particelle. Da bambino sei costituito da (relativamente) pochi atomi, io ho estremizzato indicandone solo uno, da ragazzo ne hai sicuramente di più, da adulto ancora di più.
Ecco, ti faccio anchevedere come immagino quell’antipatico che stava in classe con te, quello che non hai mai sopportato e che la malasorte ha voluto diventasse anche tuo vicino di casa.
Anche per lui vale lo stesso discorso; come puoi vedere l’ho disegnato un po’ bruttino, ricordati perciò che mi devi un favore.
Ma queste sono solo fotografie che catturano l’immagine delle persone in un determinato istante. In realtà ognuno di noi evolve, muta nel tempo. Nel nostro corpo c’è un ricambio continuo di cellule e, in ultima analisi, di materia. Nessun adulto muore con gli stessi atomi di cui era composto alla nascita.
Per cui, per rispondere seriamente alla domanda, è più interessante mettere assieme tutte le fotografie, ossia analizzare la tua persona anche sotto il profilo temporale. Detto diversamente, per sapere chi sei è più ragionevole descriverti in funzione di come sei oggi e di come sei stato in passato (e, qualora fosse possibile, di come sarai nel futuro).
E allora ecco un’immagine più veritiera, tua e del tuo vicino di casa.
Come vedi, c’è un continuo via vai di atomi. Per non appesantire il disegno, solo di alcuni ho tracciato (parzialmente) la storia. L’atomo b, ad esempio, entra a far parte di te all’età di vent’anni dopo un morso ad una bella bistecca, resta per un po’ nel tuo corpo e poi viene espulso a causa di un taglio di capelli. Se ne va in giro per un certo numero di anni e poi torna a far parte di te grazie ad un’inspirazione durante una corsa mattutina.
Ma attenzione! Guarda che succede all’atomo a! L’atomo a, che entra a far parte di te all’età di vent’anni, qualche anno addietro era parte del tuo vicino di casa! E chissà per quanti altri atomi è successa la stessa cosa. Quindi tu e lui siete in qualche modo collegati! In un certo senso, lui è parte di te, e tu sei parte di lui. Questa è una pessima notizia, non trovi?
Se adottiamo un approccio materialistico, non possiamo non osservare come i confini della nostra persona siano piuttosto evanescenti e indefiniti. Materialismo e individualismo, messi assieme, sembrerebbero portare ad una contraddizione.
Ecco un altro simpatico esercizio per uscire dal solco. Abbiamo visto in un articolo precedente come la nostra visione dualistica della realtà sia fuorviante, visto che quest’ultima è un tutt’uno inscindibile la cui comprensione richiede che si parta da una visione olistica e non da una suddivisione in parti.
Uno dei tanti criteri con cui siamo avvezzi ad applicare divisioni arbitrarie è quello di distinguere fra primo piano e sfondo: ciò appare intuitivo quando si parla di una fotografia o di un quadro, ma il concetto può essere esteso per andare ad abbracciare le situazioni più variegate: in un film, il protagonista fa parte del primo piano, le comparse dello sfondo; in un concerto, il cantante fa parte del primo piano, la band dello sfondo; ad una festa di teenager, il bel ragazzo fa parte del primo piano, i brufolosi dello sfondo; alla presentazione aziendale di un nuovo prodotto, il capo progetto fa parte del primo piano, i membri del team dello sfondo.
Voglio ora proporti una visione alternativa (si badi, non quella giusta, si tratta semplicemente di un cambio di prospettiva) per ribaltare la situazione: sforzati, quando interpreti il mondo che ti circonda, di invertire i ruoli; il primo piano diventa sfondo e viceversa. Questo non ti darà ovviamente una visione migliore, né più veritiera; ma la sensazione surreale che tutto questo produrrà ti avvicinerà maggiormente ad una percezione di insieme, meno polarizzata, più ricca.
Le occasioni in cui applicarti non mancheranno sicuramente, ma voglio fornirti un punto di partenza; primo piano e sfondo si ritrovano anche in musica, ad esempio in una canzone sono rappresentati dalla melodia e dall’arrangiamento. Ascolta il seguente giro di chitarra, estratto da una canzone, che ti ripropongo ripetuto per un certo periodo di tempo affinché tu lo possa interiorizzare:
Adesso ascolta la canzone completa, ma sforzati di non concentrare l’attenzione sulla melodia cantata, come normalmente accade; continua invece a seguire mentalmente solo il giro di accordi iniziale; a mano a mano che entrano gli altri strumenti ti renderai conto di quanto sia difficile non “perderlo d’udito” e ad un certo punto, col ritornello, avrai la sensazione di averlo smarrito, per poi ritrovarlo quando, terminato il primo ciclo della canzone, gli altri strumenti si placheranno e tornerà a galleggiare la chitarra.
Sebbene ad un ascolto superficiale potesse sembrare che la chitarra fosse presente solo nella fase iniziale del brano, eseguendo questo esercizio ti sarai reso conto che invece non cessa mai di suonare, è sempre presente e contribuisce a dare quel senso di completezza al pezzo, assieme ad altri strumenti che vanno a formare quello che chiamiamo normalmente arrangiamento; senza di questo, la sola melodia ci sembrerebbe incompleta, insoddisfacente.
L’arrangiamento aiuta la melodia a scalare la vetta della classifica, ma poi noi ci ricordiamo solo di quest’ultima. Non è sicuramente una percezione onesta della realtà, e non vale solo in musica…
Ci siamo lasciati mentre giocavi a palla in giardino; bravo, fai bene a giocare anche se sei adulto, il gioco è il modo più efficace per imparare cose nuove.
Adesso però rendiamolo più interessante: invece di lanciare una palla attraverso due porte, proviamo a lanciarne un frammento piccolissimo, addirittura una molecola, attraverso fenditure ridotte delle debite proporzioni (ti ricordo che la molecola è la più piccola parte in cui puoi dividere una sostanza mantenendone inalterate le caratteristiche: una molecola di acqua possiede tutte le proprietà dell’acqua ed è, a tutti gli effetti, acqua; se procedi oltre nella sua scomposizione in atomi, invece, perdi l’identità della sostanza di origine: nella fattispecie ti ritroverai con atomi di ossigeno e idrogeno, molto diversi dall’acqua).
Ora, siccome il concetto di ‘molecola di palla’ è piuttosto indefinito, ti suggerisco di provare l’esperimento seguendo le tracce dei fisici, che lo hanno eseguito usando molecole di fullerene, composte da 60 atomi di carbonio (non so dove si possa comprare del fullerene a buon mercato, lascio a te i dettagli di implementazione).
Le condizioni dell’esperimento sono di fatto le stesse, cambia solo la scala, che adesso è a livello microscopico. Dopo un bel po’ di lanci di queste ‘piccole palline’ ci dovremmo pertanto attendere, nella parete retrostante (che adesso è qualcosa di simile ad una lastra fotografica, in grado di registrare i punti di impatto delle molecole), due strisce più marcate in corrispondenza delle due fenditure.
E invece, sorpresa! Un puntino dopo l’altro, quello che si viene a comporre non è una doppia striscia, ma una serie di strisce di interferenza, come se invece di utilizzare palline avessimo usato onde!
Come dobbiamo interpretare tutto questo? Le particelle a livello microscopico hanno dunque un comportamento ondulatorio, che diventa corpuscolare quando le dimensioni aumentano? Se le cose stanno così, a che scala avverrebbe il cambiamento?
Ma lo sconcerto aumenta se si riflette bene su quello che è successo: noi abbiamo lanciato una molecola alla volta, e ciò è testimoniato chiaramente dal fatto che dall’altra parte appare un singolo puntino per volta; quindi, quando arriva a destinazione, la molecola è chiaramente ‘una pallina’. Però, la sua traiettoria viene decisa come se fosse un’onda: detto in altri termini, sembra che la particella interferisca con sé stessa. Sembra cioè che parta come particella, diventi onda mentre è in viaggio (e non interagisce con alcunché) e si ritrasformi in particella alla prima interazione con qualche altra sostanza (la lastra fotografica).
A questo punto ti potresti chiedere: ma da quale delle due fenditure è passata la molecola-pallina? Quando giocavo felice nel mio giardino la traiettoria era piuttosto evidente, ed era chiaro che era passata da una oppuredall’altra parte. Ebbene, lascia da parte le tue certezze: in questo caso, la risposta è che la pallina è passata da entrambe le fenditure, oppure da nessuna, oppure meglio ancora che la domanda che hai fatto è priva di senso e pertanto non ha risposta!
La verità che ha sconvolto i fisici del primo novecento è proprio questa: finché non effettui una misurazione, la realtà sottostante è indeterminata; ma attenzione: quando dico indeterminata, non intendo in senso blando (la traiettoria esiste, ma io non la conosco), intendo proprio indeterminata: la traiettoria non esiste, e solo la sua misurazione la porta ad esistenza.
A livello microscopico, dunque, non esiste una realtà fatta in un modo o nell’altra indipendentemente dal fatto che la si osservi o meno; l’osservatore contribuisce alla creazione della realtà attraverso il processo di misurazione.
Se tutto questo ti risulta nebuloso, proseguiamo con l’esperimento, non può che peggiorare.
Non sei convinto di quanto dico, e alla fine pretendi una risposta alla domanda ‘da che parte è passata la molecola?’. Quindi, furbo come una faina, piazzi un rilevatore di fullereni, preso in un negozio di cineserie, nei pressi di una delle due fenditure, in modo che ti informi se la pallina è passata di lì, pur lasciandola proseguire indisturbata (questo almeno è quello che credi). Ovviamente viene fuori che nel cinquanta per cento dei casi la molecola passa da una parte, e nel restante cinquanta passa dall’altra (“Visto? lo sapevo!”, dici trionfante).
Certo, ma osserva cosa succede nella lastra fotografica: la figura di interferenza è sparita, adesso è come se non ci fosse più comportamento ondulatorio! Sembra proprio che le particelle ti prendano per i fondelli; siccome volevi conoscere un’informazione circa lo stato corpuscolare della particella, questa ti ha accontentato, ma al prezzo di nasconderti le informazioni di tipo ondulatorio. Essa possiede entrambe le caratteristiche, ma tu sei condannato a conoscerne solo una per volta, non entrambe allo stesso tempo! Fra l’altro ti domandi: ma come faceva la molecola a sapere, quando è partita, che poco dopo la fenditura avrebbe trovato un rilevatore e quindi che doveva assumere aspetto corpuscolare?
Quello che succede, in termini non rigorosi, è questo: la molecola parte dal nostro ‘fucile a fullereni’ ed assume una traiettoria indeterminata, propagandosi come un’onda in tutte le direzioni; finché non incontra nessun’altra particella, l’indeterminazione persiste, ed è come se la molecola esistesse in più posti allo stesso tempo, anche se solo a livello ‘potenziale’; non appena avviene un’interazione significativa con altre particelle (quello che noi chiamiamo ‘misurazione’), l’indeterminazione scompare, e tutti questi diversi stati potenziali sovrapposti (la pallina è qua, là, altrove tutto allo stesso tempo) collassano in un’unico stato (la pallina è là), lo stato che ci è tanto familiare.
Ed il collasso è probabilistico: la pallina apparirà là con una certa probabilità. Più ripetizioni dello stesso esperimento non condurranno a stessi risultati: ecco che quello che la teoria della relatività sembrava averci tolto, il libero arbitrio negato da una realtà predeterminata e bloccata, adesso ci viene restituito a piene mani dalla fisica quantistica, ed in un modo così sconcertante e affascinante al tempo stesso!
Ma la teoria, che a questo punto diventa piuttosto speculativa, ci porta ancor più giù nella tana del Bianconiglio: un possibile modo di interpretare le cose è che esistano infiniti mondi, uno in cui la palla va a destra, uno in cui va un po’ più a sinistra, uno in cui va su, ecc. ecc.; quando effettui la misurazione, ti scindi in tanti te stesso, ed ogni copia di te percepisce una delle possibili traiettorie come reale (mentre in realtà tutte lo sono, e per ognuna esiste una copia di te convinta di essere unica e di aver colto in flagrante la pallina nel suo passaggio, ad esempio, per la fenditura di destra!).
Gli esperimenti che qui ti ho riportato sono reali e fuori discussione, e sono stati eseguiti per la prima volta usando fotoni (l’unità fondamentale di luce), quindi elettroni e, solo da ultimo, molecole quali i fullereni; le spiegazioni del loro perché sono invece più controverse; è indubbio tuttavia che le implicazioni sul nostro modo di percepire il mondo siano notevoli, che si voglia o meno credere alla teoria dei molti mondi. Per ora non andrei oltre, spero comunque di averti lasciato qualche spunto di riflessione e, perché no, la voglia di approfondire la tematica, che per me è estremamente affascinante e coinvolgente.
E le sorprese non finiscono qui: ma ne parleremo in uno dei prossimi articoli.
Immagina di essere in giardino con una palla; davanti a te, ad una ventina di passi, un muro bianco. Calci la palla in modo deciso e questa, seguendo una traiettoria rettilinea, colpisce il muro in un qualche punto. La palla è sporca di fango, per cui lascia un evidente segno nella zona di contatto. Immagina di ripetere più volte l’esperimento (magari prima che arrivi il proprietario del muro): alla fine questo risulterà macchiato in un modo che dipende dal numero e dalla posizione delle collisioni: marcatamente dove è stato colpito più volte, moderatamente altrove.
Adesso complichiamo le cose: mettiamo un altro muro fra te ed il precedente, con una porta aperta; il gioco consiste nel ‘fare goal’, ossia far passare la palla attraverso l’apertura. E’ evidente che a questo punto le collisioni nel muro retrostante andranno a disegnare una figura che riflette la posizione dell’apertura: ci sarà una zona maggiormente segnata e le tracce di fango degraderanno via via che ci si allontana da essa.
Bene. Adesso cambiamo gioco. Sei in riva ad un laghetto; un muro ne delimita il bordo dalla parte opposta a quella in cui ti trovi. Sulla superficie galleggia del materiale fangoso. La giornata non è ventosa, pertanto il lago è in quiete, non vedi una sola increspatura. A questo punto prendi un sasso e lo getti in acqua. Dal punto in cui il sasso si è immerso puoi notare che si dipartono delle onde concentriche, che sollevano e abbassano la superficie dell’acqua, fino a smorzarsi ai bordi del lago. Le onde raggiungono ovviamente anche il muro, lasciandovi tracce di fango in modo più evidente nei punti dove è arrivata la cresta dell’onda. Lanci più sassi nel lago: anche in questo caso si viene a creare una figura nel muro, che dipende dal numero di sassi e dalla posizione in cui questi hanno incontrato l’acqua.
Come prima, introduciamo una complicazione: un muro al centro del lago, che lo separa in due metà comunicanti attraverso la solita apertura. Le onde che generi con i tuoi sassi adesso raggiungeranno il muro retrostante solo dopo essere passate per il varco, che le ‘costringerà’ a colpirlo in modalità più prevedibili: otterrai, come nel caso della palla, una zona centrale maggiormente segnata che degraderà via via che ci si sposta verso la periferia.
Il risultato ottenuto è simile, anche se i fenomeni appartengono a categorie che, almeno a prima vista, sono concettualmente molto distanti.
Dove sta la grossa differenza fra i due fenomeni? Per capirlo, devi pensare di avere non una, ma due aperture nel muro. Cosa succede nel caso della palla? Ebbene, tu deciderai di farla passare ora di qua, ora di là: dall’altra parte si verranno ad evidenziare due zone distinte, individuate dai punti a più frequente contatto.
E nel caso dell’onda? Attenzione: in questo caso succede una cosa completamente diversa, perché la singola onda, che si diparte dal sasso, raggiunge le due aperture del muro intermedio; dall’altra parte si dipartiranno duemovimenti ondosi, che interferiranno l’un l’altro: se l’avvallamento di un’onda si somma alla cresta dell’altra, il risultato è zero: le onde, in quel punto, si annullano a vicenda; viceversa, se due creste si incontrano, il risultato è doppio: si rafforzano a vicenda. Nel muro non troverai pertanto due segni marcati, ma delle strisce di interferenza, la cui struttura è funzione del fatto che i due movimenti ondosi in quel punto si siano reciprocamente rafforzati, annullati o depressi.
Tieni presente che ho descritto il fenomeno con parole mie, in un modo che mi aiuta a capirlo anche se sicuramente non rigoroso dal punto di vista scientifico. Se risultasse chiaro anche a te, preoccupati: potresti avere una struttura cerebrale simile alla mia. Se invece non risultasse poi così chiaro, prova a gettare contemporaneamente due sassi nell’acqua e osserva come si comportano i due treni di onde che si vengono a creare: noterai qualcosa di simile al mio disegno.
A questo punto ti chiederai dove voglio arrivare; forse risulterà più chiaro nel seguito della mia dissertazione, anche se per ora i punti fermi a cui siamo giunti sono: esistono due entità profondamente diverse, le onde e le particelle, e nella nostra visione dualistica del mondo le une escludono le altre; o mi trovo di fronte ad un fenomeno ondoso, e questo ha caratteristiche ben precise, oppure di fronte ad un fenomeno corpuscolare, con tutt’altre regole di funzionamento.
Ma siamo proprio sicuri che la realtà sia questa?
Per il momento credo di averti annoiato a sufficienza, mi fermerei qui. In uno dei prossimi articoli dirò come questi concetti, ora applicati su scala macroscopica, possano riferirsi anche a particelle subatomiche, su scala microscopica: se avrai la pazienza di seguirmi, vedremo che questo ci riserverà parecchie sorprese!
Ci sono 10 categorie di persone: quelle che conoscono la numerazione binaria, e quelle che non la conoscono.
Tu da quale parte ti collochi?
Dolcetto o scherzetto? Sei di destra o di sinistra? Preferisci comandare o essere comandato? Preferisci il dolce o il salato? Meglio le bionde o le brune? Forza, la risposta è semplice: si o no? A chi vuoi più bene tu, papà o mamma?
“Mamma mia che stress, che imbarazzo,
come si fa a non capire che è una domanda del…
deleteria?”
-o-o-
Ho un lucido ricordo che risale all’università, ai (per fortuna) lontani tempi in cui Berlusconi scendeva in campo; ricordo accese discussioni con un collega studente che, ad ogni mia argomentazione contro il Cavaliere, ribatteva dicendo: “Voi invece avete fatto…”, “Voi invece avete detto…”, “E allora voi? …”, “Voi qui…”, Voi là…”.
Quanto mi irritava quel voi: il fatto che io argomentassi contro una categoria mi collocava inequivocabilmente in un’altra. Il mondo si divideva in due: se non stai di qua, per forza devi stare di là. Ed io ribattevo: “non dire voi, io non sono fazioso!”, ma ormai per l’interlocutore ero catalogato, l’etichetta era stata messa, ero un comunista.
Come ho già avuto modo di sottolineare, le suddivisioni in categorie sono comode come base di partenza per un ragionamento, ma non possono avere valore assoluto: l’insieme dei concetti polarizzati da una parola formano una categoria, ma questa è diversa da persona a persona, non possiamo pretendere di attribuire ad essa valore universale.
Allo stesso modo, ma procedendo in senso inverso, come posso pensare di scegliere, fra tutte le parole a disposizione per descrivere un fenomeno, una sola di queste per etichettarne un aspetto, una sola per l’aspetto complementare, e pensare di aver definito correttamente i termini del problema? Due categorie sono davvero tutto ciò che ci serve per capire il mondo, nulla di più?
Ho anche avuto modo di rimarcare come la rigida e immutabile suddivisione fra bene e male sia fuorviante: un pezzo di mondo non è di per sé né bene, né male: dipende dal contesto, o forse è al contempo sia bene sia male, o forse la questione non ha senso e non va posta.
Insomma: quello che ci frega è il dualismo, la logica binaria, quella che fa funzionare così bene i computer ma li rende al tempo stesso tanto stupidi: sono infatti convinto che, per come sono fatti attualmente, non diventeranno mai intelligenti, proprio perché non sono in grado di concepire qualcosa che sia al contempo vero e falso, mentre il nostro cervello ci riesce benissimo, perlomeno finché non utilizza un registro consapevole.
Ti è mai capitato di ragionare, riflettere su un problema, e non venirne a capo? Poi l’indomani, o a distanza di un mese, mentre stai pensando a tutt’altro, ti appare evidente la soluzione e ti stupisci di come hai fatto a non vederla prima?
La colpa delle iniziali difficoltà è del tuo cervello razionale, quello tanto bravo con le parole, che ti ha fatto escludere tutte le idee (apparentemente) contraddittorie, catalogandole come sbagliate. Quindi a livello consapevole hai escluso una grandissima fetta di opportunità. Per fortuna la parte creativa del cervello, quella che non fa il saputello, quella che accetta anche soluzioni sub ottimali, quella a cui non frega nulla di perdere, quella che lavora dietro le quinte e difficilmente viene esposta agli onori della cronaca, riesce a collegare concetti apparentemente distanti, a rielaborarli e riproporli in forma nuova, semplice, inattesa!
Il cervello razionale non ti fa attraversare il torrente se tutte le pietre del guado non sono perfettamente stabili, ogni passo deve essere ben fermo prima di affrontare il successivo. Il cervello creativo invece è più coraggioso e ti esorta: anche se qualche pietra è instabile, non sovrastimarne la pericolosità; fai il passo velocemente e raggiungi la pietra stabile che c’è immediatamente dopo, vedrai che arriverai asciutto all’altra sponda!
Per imparare a ragionare in questo modo occorre abbandonare la logica dicotomica ed essere aperti alla contraddizione; occorrono meno parole e più riflessione introspettiva: nel momento stesso in cui cerchi di verbalizzare un fenomeno, ne stai perdendo l’essenza, perché lo cristallizzi nella sua dimensione razionale.
Non A o B, ma A e B: yin e yang.
Queste parole ti potranno apparire nulla di più se non filosofia spicciola; in fondo il mondo reale è a tutti gli effetti dicotomico, non ammette vie di mezzo o situazioni indeterminate: alla fine della favola, il treno lo prendo o lo perdo; la palla entra nel canestro o va fuori.
Se sei veramente convinto di questo è perché non ti sei mai interessato alla meccanica quantistica: a livello microscopico, dove risiedono le fondamenta del nostro mondo reale, accadono fatti completamente al di fuori dal nostro senso comune, e non è per nulla vero che la palla (microscopica) o è entrata o non è entrata: come avrò modo di descrivere in uno dei miei prossimi articoli, a quel livello la realtà, finché nessuno la osserva, esiste in uno stato sovrapposto in cui tutte le alternative coesistono: la palla entra e non entra nel canestro, l’oggetto è al contempo onda e particella.
Si tratta di fenomeni veramente sconcertanti, suffragati da verifiche sperimentali e ormai accettati dalla comunità scientifica, della cui veridicità avrai sicuramente difficoltà a convincerti. A me hanno insegnato un nuovo modo di vedere il mondo, affascinante e misterioso, riaprendo la porta a ciò a cui, ai miei occhi, la fisica sembrava negare l’esistenza: il libero arbitrio.