Archivio mensile:dicembre 2020

Messaggi


Rama entrò nell’abitazione del maestro spirituale pieno di rabbia, rancore e delusione; la vita lo stava mettendo a dura prova e aveva bisogno di qualcosa a cui aggrapparsi. Lo aggredì provocatorio.

“Maestro, dammi la prova dell’esistenza di Dio!”

L’uomo si alzò dalla sedia senza degnarlo di uno sguardo e aprì la finestra. Si udiva lo scrosciare del torrente provenire da lontano, e un vezzoso dialogo fra due pettirossi nascosti da fronde attigue dell’albero di fronte all’abitazione.

La rabbia di Rama aumentò.

“Maestro, mi stai ignorando! Ti ho detto di darmi una prova!”

Gli si avvicinò, e lo strinse in un forte abbraccio.

Rama si divincolò furente, indietreggiò e puntò il dito.

“La verità è che nemmeno tu hai le prove, sei solo un ciarlatano, mi hai ingannato!”

Il maestro allora prese un tronchetto di legno dal cesto vicino alla stufa e lo scagliò con forza contro Rama, il cui braccio destro, colpito dal fendente, iniziò a sanguinare.

Una scossa di dolore si irradiò a partire dalla ferita e risalì fino al petto, come un’ondata di calore improvvisa. Il cuore iniziò a battere furiosamente, Rama lo sentiva in gola.

“Maestro! Perché mi hai fatto questo? Perché mi stai scacciando?”

L’uomo rispose, pacato.

“Ti ho dato per tre volte ciò che hai chiesto. L’Universo ti parla sempre, ti manda in continuazione i suoi messaggi, e lo fa attraverso le sensazioni del tuo corpo; ma finché dai retta al rumoroso chiacchiericcio della mente, non puoi ascoltarli.
E allora, l’unico modo che ha l’Universo per avere la tua attenzione è quello di gridare più forte. Questo è accaduto oggi.”

Rama comprese il significato di tutto il dolore che gli riempiva la vita, e se ne andò senza aggiungere altro.

Questo no, quello neppure


“Così non mi piace”, disse lei per l’ennesima volta.

Lui l’amava, e desiderava accontentarla più di ogni altra cosa.

“Così?” ribatté speranzoso.

“No, così non va.”

“Allora così?”

Lei rimase un poco a riflettere, per poi sentenziare decisa: “no, neanche così!”

“D’accordo, allora vediamo se in questo modo va meglio.”

“Mmm… no, non ci siamo ancora!”

L’amore porta a tenere comportamenti inconcepibili alla ragione, e lui era decisamente in quella condizione; stavano andando avanti così da parecchio.

“Va meglio adesso?”

“No, no no no, non ci siamo proprio!”

Era esausto; la mente gli suggerì a quel punto di cambiare strategia, per trovare finalmente il modo di accontentarla.

“Senti, cara, è da molto che vado avanti per tentativi, e ho l’impressione di perdere tempo; desidero più di ogni altra cosa vederti felice, e lo sai bene. Perché, invece di continuare a dire ciò che NON VUOI, non mi dici una buona volta ciò che VUOI?”

Lei lo guardò affettuosamente.

“Se io ti dicessi ciò che voglio, smetteresti di cercare un modo di accontentarmi, e ti fermeresti a quello che ti ho suggerito.
Ciò che voglio non può essere racchiuso in una descrizione; ciò che voglio è immenso, e non ci sono confini ai miei modi di essere felice. Non voglio limitarli a pochi, imbrigliando i miei desideri in una definizione.
No, continuerò a dirti ciò che NON voglio, per lasciarti l’opportunità di confrontarti con l’infinito.”

Lui capì: il suo amore per la vita era più forte della stanchezza, e ricominciò a provare.

Disobbedisco


Voglio che tu lo sappia, ne ho abbastanza, io disobbedisco.

Non ti agitare, non intendo violare le tue stupide regole, non farò nulla di tutto questo, è bene che tu rimanga nella convinzione di essere il più forte.

Ma io disobbedisco ugualmente.

Disobbedisco perché da anni non ho più una televisione.

Disobbedisco ogni volta che vado nel mio orto a prendere la verdura da cucinare a pranzo.

Disobbedisco ogni volta che vado nel bosco a fare legna.

Disobbedisco quando non cedo alle lusinghe della carriera.

Disobbedisco ogni volta che faccio i miei acquisti nel piccolo negozietto dietro l’angolo.

Disobbedisco ogni volta che mi tengo la febbre alta, senza prendere antibiotici o antipiretici, finché il mio corpo dice che ce la può fare con le proprie forze.

Disobbedisco quando rifiuto di dare i miei risparmi alle banche.

Disobbedisco ogni volta che vado in ufficio usando la mia fidata bicicletta.

Disobbedisco ogni volta che rinuncio ad andare in un villaggio turistico, o a fare una crociera.

Disobbedisco quando pianto un albero da frutta.

Ma soprattutto, e questo mettitelo bene in testa, disobbedisco NON AVENDO PAURA.

Voglio che ti sia ben chiaro, le tue strategie del terrore su di me non hanno alcun effetto: non hai potere su di me, perché io non ti credo.

E adesso puoi continuare a godere nel vedermi, docile, seguire i tuoi precetti: è giusto che anche le tue debolezze vengano ascoltate.

Paura


Il grosso cane è lì, davanti a me, e ringhia minaccioso.

Sento le gambe svuotarsi, il corpo attraversato da brividi; mi guardo attorno per cercare un’arma improvvisata, trovo un bastone a pochi passi, lo afferro.

Il ringhio si rafforza, sempre più ostile; l’animale sembra poter aggredire da un momento all’altro, sono davanti al bivio: attacco o fuga.

Cerco di assumere un atteggiamento intimidatorio, sperando di non dover ricorrere né all’uno né all’altra.

I piedi sono incollati al suolo, pesanti, di piombo. Ho paura.

Questa mi ha reso a mia volta minaccioso, e lui lo sente.

Anche lui adesso ha paura, è nella mia stessa situazione.

Ecco perché ringhia: ha paura di me. è così fin dall’inizio!

Lui è terrorizzato da me; posso avere paura di chi ne ha di me? Ha senso tutto questo? Di chi ho davvero paura?

Temo il cane che a sua volta teme me… è un circolo, in definitiva ho paura di me! Il cane non c’entra, è solo uno specchio.

Se cambio atteggiamento tutto può svanire, come una bolla di sapone; voglio crederci, voglio avere fiducia, voglio fare il primo passo e disinnescare il meccanismo.

Getto lontano il bastone, distendo i lineamenti del volto, offro la mano.

Il cane si volta e si allontana.

La busta


Qualcuno ti consegna una busta ricoperta di immagini inquietanti, spaventose, orribili, quindi si allontana e sparisce.

Fa male tenerla fra le mani, desideri con tutte le tue forze liberartene al più presto, ma per qualche motivo sconosciuto non riesci a distruggerla.

La prima opzione che ti viene in mente è la più evidente: restituirla al mittente; allora ricerchi, o attendi impaziente, l’occasione per rincontrarlo e rendergli ciò che è suo.

Passa il tempo invano e ti solletica la tentazione di ricorrere alla seconda opzione, tanto è insopportabile il disagio che provi: consegnare la missiva a qualcun altro. Gli faresti del male… o forse no? In ogni caso ti sentiresti meglio.

Non ci riesci, non puoi fare una cosa del genere, non è giusto. Pensi allora ad una terza opzione, la più semplice e immediata: nascondere la busta da qualche parte, in modo da non vederla.

Non la vedresti, ma sapresti pur sempre che è lì, in un luogo da cui è meglio stare lontani.

Scegli infine l’opzione più dolorosa: aprire la busta e leggere il messaggio che contiene. Ci vuole coraggio, molto coraggio, ma è per questo che la busta è arrivata, è questa la sua funzione.

Apri e leggi.

Un lampo nella notte: finalmente comprendi il significato di quei disegni inquietanti, comprendi perché ti facevano paura, e questa si dissolve come nebbia al sole.

Le esperienze dolorose sono solo messaggeri e, come si dice… ambasciator non porta pena.

Adesso la busta non fa più male, la tieni affettuosamente con te.

E ringrazi per averla ricevuta.

La misteriosa scatola di scarpe


All’inizio del mese di agosto 2020 ho voluto lasciarmi andare a un gioco: creare l’albero magico di Parangelia; mi piaceva l’idea di un albero speciale i cui frutti fossero libri, idee germogliate da semi di esperienza che potevano essere colte dal lettore direttamente là dove sono maturate.

Si è trattato anche di un esperimento sociale, un mettere alla prova la mia fiducia nel prossimo e, più in generale, nella vita: chiunque poteva cogliere il proprio libro e poi lasciarmi, come da istruzioni appese, il controvalore di copertina nella cassetta delle lettere.

Un esperimento dall’esito negativo, se valutato dal punto di vista della mente razionale e del puro calcolo economico; di quindici copie che ho appeso, tutte colte nel giro di due mesi e mezzo, solo due hanno ricevuto il corrispettivo monetario (per essere ragionieri precisi, una ha ricevuto un euro di meno, l’altra tre euro in più: dinamiche caratteristiche dei prezzi non tondi).

Dal punto di vista del cuore, invece, l’esperimento è più che riuscito: tutte le copie hanno trovato il proprio lettore (vista la ruvidità, appositamente voluta, della carta, dubito fortemente che ne siano stati fatti usi meno decorosi); e poiché si tratta di contenuti volti a stimolare la consapevolezza, forse molte copie hanno raggiunto coloro che più ne avevano bisogno, a giudicare dal comportamento tenuto (ma posso davvero permettermi di giudicare qualcuno? In realtà si tratta solo di uno sfogo illativo che mi concedo affettuosamente).

La mia fiducia nel mondo non è diminuita, anzi semmai è stata collocata in una prospettiva più ampia: non attendo un particolare ritorno dalle mie azioni, le mie capacità di comprensione non sono sufficienti per valutare ciò che mi spetta dall’Universo.

Le mie azioni sono metaforici semi piantati, che affido altrettanto metaforicamente al fiume della vita.

Ma c’è una curiosità che tengo a condividere: un giorno ho trovato, incastrata fra i rami dell’albero magico, la scatola da scarpe della foto, contenente un paio di eleganti taccodiecimisuratrentasette in ottimo stato, fatta eccezione per un laccetto rotto.

Le scarpette magiche

Quale sarà la storia della misteriosa lettrice? Quale il suo intento? Si è davvero trattato di una lettrice? Si è trattato di uno scherzo? Di un messaggio? Di un baratto?

Colto da una prima ventata di illusione ho errato in lungo e in largo per il mio regno in cerca del piedino che calzasse la scarpetta, invano. Va peraltro precisato che il mio regno non è molto vasto, dev’essersi trattato con ogni probabilità di una straniera.

Mi rimarrà forse per sempre la curiosità legata a questa storia, così come del resto quella sull’identità di ogni altro ignoto coglitore del frutto magico.

La vita à bella anche per le sue misteriose stravaganze, e se non avessi giocato non avrei avuto tante emozioni.

Grazie a me, grazie ai lettori fruttivori, grazie alla vita.