Narciso (mi piace un sacco)


Dedicato a tutti quelli che ci tengono, alla propria immagine (a partire da me).

E’ facile fare i fighi ostentando ciò che piace, ma la vera partita si gioca nell’accettazione dei propri aspetti meno nobili, perché è anche grazie a loro se esistiamo.

Prova un po’ tu, Narciso, a farti bello con ciò che meno ti piace di te!

Mim Do7 Si7 Mim Do7 Si7 Mim Do7 Si7

Mim
Mi piacciono un sacco i miei occhi verdi
Do7
lo sguardo profondo nel quale ti perdi
Lam
la mia ragnatela intessuta di sguardi
Si7
ammanta in un velo di flebili accordi

Mim
Mi piace un sacco il mio caldo sorriso
Do7
eburneo dischiudersi, illumina il viso
Lam
disarma il nemico e lo lascia sorpreso
Si7
avvolge il tuo cuore inerme indifeso

Mim
Mi piace un sacco la mia pancia piatta
Do7
ti attira sorniona con fare da gatta
Lam
la mia tartaruga non va mai di fretta
Si7
se ci fai un giro ne esci distrutta

Mim
Mi piacciono un sacco le mie mani decise
Do7
che sanno aggirare le tue blande difese
Lam
la danza di gesti fra luci soffuse
Si7
piccante ricerca di nuove sorprese

Do
Mi piace un sacco, mi piace un sacco
Sol
questo tuo ardore che tengo in scacco
Re
perché il mio fascino non teme attacco
Mim
io mi piaccio un sacco

Do
Mi piace un sacco, mi piace un sacco
Sol
quando distratta ti aggiusti il trucco
Re
poi di sfuggita mi guardi il pacco
Mim
io mi piaccio un sacco

Fa#m
Mi piacciono un sacco le mie spalle larghe
Re7
due bei paracarri per queste tue curve
Sim
che sensuali serpeggiano ardite e proterve
Do#7
cullandosi avvolte dalle mie braccia lunghe

Fa#m
Mi piace un sacco la mia forte schiena
Re7
che adori esplorare nei tuoi dopocena
Sim
sei più disinvolta di una cortigiana
Do#7
quando provi a sedurmi con la tua cucina

Re
Mi piace un sacco, mi piace un sacco
La
la calma lucida del mio distacco
Mi
perché il mio fascino non teme attacco
Fa#m
io mi piaccio un sacco

Do7
Ma quella che mostro è la carrozzeria
Fa
di un’auto sportiva di cortesia
Re7
lucente racchiude olio nero e ingranaggi
Sol
così indispensabili per i suoi viaggi

Do
Questo mio bel corpo per poter funzionare
Sol
di oscuri processi si fa contenitore
Re
polpa di cadaveri da assimilare
Mim
e fluidi melmosi che bisogna evacuare

Fa#m
perché la mia luce che nasce dall’ombra
Re7
di questa si nutre, senza alcuna riserva
Sim
quindi non non sbulacchiamo
Do#7
nel tirare la corda …però…

Re
Mi piace un sacco, mi piace un sacco
La
e non importa che vinca o che perda
Mi
mi piace un sacco mi piace un sacco
Fa#m
la mia natura beffarda

Re
Mi piace un sacco, mi piace un sacco
La
questa realtà stridente e balorda
Mi
mi piace un sacco anche se sono un sacco…
Fa#m Mi
un gran bel sacco di merda!
Fa#m Mi

Io non sono


Un grazie a Federico Cimaroli che, col suo ultimo video, ha finalmente liberato le strofe di questa canzone, chiuse in me da tempo.

Parole e musica di Marco Perasso, Licenza Creative Commons.

 Do                       Sol                     
Io non sono questo nome a cui rispondo da decenni
Lam Fa
io non sono quel bambino che non ha conosciuto i nonni
Rem Fa
io non sono lo scolaro intimorito dai compagni
Sol
io non sono il bravo figlio che cullava i propri sogni

Do Sol
Io non sono il genitore che accudisce figlio e figlia
Lam Fa
io non sono il buon marito onesto padre di famiglia
Rem Fa
io non sono l’infedele che tradisce la fiducia
Sol
io non sono lo sportivo che si allena con tenacia

Fa Do
Quando cade l’illusione di poter esser qualcuno
Sol Fa Lam
resta solo questo mantra, io non sono, io non sono
Sol
quando lasci la prigione di dover esser qualcuno
Fa Sol Lam
resta solo la non strada, io non sono, io non sono
Sol
io non sono

Do Sol
Io non sono lo scrittore che romanza la sua vita
Lam Fa
io non sono il cantautore che ora arpeggia con le dita
Rem Fa
io non sono l’impiegato che esce tardi dall’ufficio
Sol
io non sono lo sgobbone tutto impegno e sacrificio

Do Sol
Io non sono il diplomato fantozziano ragioniere
Lam Fa
io non sono il laureato col futuro da banchiere
Rem Fa
io non sono chi ti ascolta se hai bisogno di un aiuto
Sol
io non sono quel ribelle che sbandiera il suo rifiuto

Fa Do
Quando cade l’illusione di poter esser qualcuno
Sol Fa Lam
resta solo questo mantra, io non sono, io non sono
Sol
quando esci dal copione di dover esser qualcuno
Fa Sol Lam
resta solo il grande vuoto, io non sono, io non sono
Sol
ma io chi sono?

Do Sol
Io non sono la paura che mi sveglia nella notte
Lam Fa
io non sono il mio dolore dopo avere fatto a botte
Rem Fa
io non sono le parole, i pensieri e le ragioni
Sol
io non sono la certezza delle mie convinzioni

Do Sol
Io non sono ciò che penso che tu pensi che io sono
Lam Fa
io non sono ciò che penso che tu senta quando suono
Rem Fa
io non sono questa voce, ciò che mostro a questo mondo
Sol
io non sono il primo piano, puoi trovarmi nello sfondo

Fa Do
Se gli togli tutto questo cosa resta ad un uomo
Sol Fa Lam
che ha di fronte la domanda io chi sono io chi sono
Sol
sono il foglio su cui traccio questi segni di passione
Fa Sol Do
o le pause fra le note di questa bella canzone

Cortocircuito


Partito fiducioso 
alla ricerca di me stesso
vagabondai a lungo
senza avere alcun successo

Mi raggiunsi solo quando
esausto e sconsolato
sedetti a riposare
fra i papaveri di un prato

Avevo finalmente
imparato la lezione
dove mai potrei trovarmi
se mi muovo in continuazione?

Sono sempre stato qui
ora è chiaro e definito
però non l'avrei compreso
se non fossi mai partito.

Vedi anche: La favola di Yamir Youssef.

Abuelita


L’amore della vita per me è grande, ma a volte non ho la forza di sopportare sensazioni così forti.

Parole e musica di Marco Perasso, Licenza Creative Commons.

Rem Do Rem Do

Rem                             
Lacrima di sole sopra un viso di bambina 
          do
accendi il vuoto di parole della buia mia cantina
     Fa           
ti nascondi accoccolata, dolce micia nel fienile   
    La              
e rischiari la mia vita con i tuoi raggi di aprile
      Sib                             
che riscaldano il mio petto, quasi a farmelo scoppiare, 
     Fa
la fusione con il tutto
        Do
non sai quanto può far male 


Fa                             
E allora lasciami stare, fammi dormire
       Do
voglio solo riposare, rifugiarmi nel torpore
         Rem
forse al limite soffrire, ogni trucco può andar bene
      La              
se mi riesce a riparare dalla furia del tuo amore


         Fa                             
Ti prego fammi allontanare, si lo so che mi vuoi bene
        Do
ma ho bisogno di respirare, il tuo ardere sublime
         Rem
mi impedisce di sentire, di pensare, di sbagliare
       La    
e ora l’unica difesa che è rimasta è vomitare


       Sib                      Fa        do
troppa luce certe volte può impedire di vedere


Rem                             
Buio che mi acceca come un’onda di rugiada 
       do
questa tua voce suadente mi fa perdere la strada
          Fa           
dammi un altro po’ di tempo per capire ciò che sono   
     La              
al riparo dal tuo vento che mi avvolge come un tuono
      Sib                             
dammi ancora l’illusione che io possa esser qualcuno 
     Fa
e poi abbracciami dolcemente
    Do
e riportami nell’uno

         Fa                             
ma adesso lasciami andare, si lo so che mi vuoi bene
        Do
ma ho bisogno di camminare, il tuo amore può aspettare
         Rem
voglio ancora faticare, e cadere e risalire
       La              
solo allora potrò aprire la mia porta al tuo calore


       Sib                    Fa               do
solo allora sarò pronto per lasciarmi addomesticare

Rem

però ora… lasciami andare.

Demenza artificiale


Un tema di particolare attualità in questi mesi è quello dell’intelligenza artificiale che, seppure solo di sponda, tratto anche nel mio libro laddove descrivo il processo di formazione dei modelli mentali visto con l’occhio dell’informatico.

Sono in molti a pensare, a partire dagli studiosi del settore, che presto le macchine diventeranno più intelligenti degli esseri umani, ed è strisciante la preoccupazione che proprio per questo ci soppianteranno.

Il mio punto di vista, da umile programmatore per nulla esperto di questa nuova frontiera della tecnologia, è che si stia fortemente limitando il concetto di intelligenza, oltretutto non considerando ciò che a mio avviso è il vero nocciolo della questione.

Personalmente non mi preoccupo del fatto che le macchine diventino intelligenti come gli umani, ma che gli umani diventino stupidi come le macchine (quelle attuali).

Ci stanno infatti insegnando, e a noi peraltro viene molto comodo, a rinunciare al pensiero critico individuale in favore di soluzioni, procedure, protocolli comportamentali calati dall’alto.

In altri termini, ci stanno programmando e abituando a dimenticare il libero arbitrio.

Numerosi sono gli esempi: la certificazione ISOnovemilaquelchel’è in azienda prevede che i processi produttivi vengano standardizzati e formalmente codificati, perché solo così si possono garantire prodotti di qualità; non mi è chiaro che spazio rimane, in tutto questo, per la creatività e la libera iniziativa del singolo; sta di fatto che il collaboratore che si attiene pedissequamente alla procedura, senza porsi troppe domande, è per definizione nel giusto e nessuno gli potrà mai muovere un appunto.

Lo stesso dicasi, in campo medico, per il clinico che applica ciecamente il protocollo sanitario, in barba al giuramento di Ippocrate col quale si è impegnato ad “esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento rifuggendo da ogni indebito condizionamento”.

Per non parlare dei programmi ministeriali in campo educativo e della famigerata spada di Damocle degli algoritmici test INVALSI.

Insomma, è vero che umani e macchine si stanno sempre più assomigliando, ma in maggior parte a causa della crescente demenza umana.

Riconosco la comodità di vivere in un mondo privo di preoccupazioni e decisioni da prendere, un mondo in cui non serva trovare la forza per dire e sostenere un deciso “NO!”, all’occorrenza.

Ma questa è la strada che porta a diventare sostituibili da una macchina, da bravi esecutori di algoritmiche procedure. Come è peraltro già accaduto agli alienati operai nelle catene di montaggio.

Generalizzazioni e scienza


Prendo spunto da uno dei temi trattati nel mio libro, in merito al fenomeno della generalizzazione, per affrontare un argomento di particolare attualità in questi ultimi anni: la scienza e il metodo scientifico.

Molti si abbandonano a una facile ironia scrivendo Scienzah con l’acca (come Deborah, ma questa è un’altra storia) per sottolineare il fatto che numerosi sedicenti scienziati, ben lungi dall’essere motivati da un sano desiderio di scoperta, siano invece asserviti ai poteri forti della finanza globale, producendo risultati tutt’altro che indipendenti dai soliti obiettivi di massimizzazione del profitto.

Ma non è questo il ginepraio in cui voglio addentrarmi con questo articolo, nel quale parlerò invece di scienza ‘pura’ e di scienziati in assoluta buona fede che applicano il metodo scientifico così come fu definito a suo tempo da Galileo.

In cosa consiste il metodo scientifico?

Detto in soldoni, non è sufficiente avanzare qualche ipotesi che descriva il mondo affinché questa sia vera, ma è necessario sottoporla a verifica sperimentale, ossia alla prova empirica dei fatti. Una delle condizioni essenziali è che le prove devono essere ripetibili, ed ecco il collegamento col tema della generalizzazione di cui sopra.

Esistono fenomeni che ben si prestano a questo tipo di approccio, essendo più o meno facilmente ‘riproducibili in laboratorio’, come la caduta di un grave, una reazione chimica, la dinamica di un fluido.

Ne esistono però molti altri che sono unici nella loro natura, pertanto non ripetibili e quindi non descrivibili col metodo scientifico. Ciò non toglie che questi fenomeni esistano, e direi che sono pure assai numerosi!

Un conto è credere nella scienza, altro conto è non credere a nulla al di fuori di ciò che la scienza riesce a descrivere e spiegare; il bisogno di struttura e di certezza porta invece spesso a cadere nell’approccio più conservativo arrivando a concludere: ciò che non posso descrivere attraverso una generalizzazione non è meritevole di attenzione e forse addirittura non esiste.

Questo atteggiamento è comprensibile, in quanto favorito da esigenze pratiche; se ogni mattina esco di casa per recarmi in ufficio è perché implicitamente faccio affidamento sulla ragionevole idea di trovarlo ancora là dove me lo aspetto, basandomi sulla generalizzazione: se c’è stato negli ultimi n-1 giorni, lo troverò anche l’n-esimo.

In assenza di queste assunzioni, non potrei assolutamente muovermi nel mondo circostante, ma ribadisco che un conto è dire: “li uso come strumenti”, ben altro è: “non esiste altro all’infuori di questo”.

L’esempio per me più lampante è quello dei figli: applicare le generalizzazioni del metodo scientifico con le relazioni umane, in particolare con un figlio, è oltremodo dannoso, e lo affermo per esperienza (ommaigosschhh… sto facendo una generalizzazione?!?).

Ogni individuo è speciale nella sua unicità, e la conoscenza maturata con n-1 figli serve assai poco con l’n-esimo, al di fuori di questioni eminentemente pratiche come il cambio di un pannolino.

Conclusione scoppiettante e vagamente fuori tema: genitori navigati che vi relazionate con future o neo puerpere, ricordatevi dell’undicesimo comandamento e fatevi una bella padellata di affari vostri!

Civilizzato o… addomesticato?


Questo post è dedicato a te, che consideri con atteggiamento di sufficienza quegli indigeni che vivono ancora in capanne e praticano riti che definisci barbari, e ti senti superiore e al sicuro perché appartieni alla cosiddetta società civile.

Non ti rendi conto che quella stessa società ti ha reso praticamente inadatto alla sopravvivenza, se privato degli strumenti che ti mette a disposizione.

Non sei civilizzato: sei addomesticato, e totalmente dipendente da quegli strumenti, come un barboncino rasato ha bisogno del suo padrone, come un pollo ha bisogno del fattore.

Non hai pelliccia per proteggerti dal freddo, non hai unghie o denti aguzzi per combattere, la tua pelle delicata e la tua incapacità di sopportare dolore e fatica fanno di te una preda facile e un predatore risibile.

Se dall’oggi al domani ti togliessero giacca e cravatta, carta di credito, telefono, ogni altro tipo di gadget moderno e ti esiliassero in un bosco… che ne sarebbe di te? Pensi che il tuo grande cervello da sapiens sapiens sarebbe sufficiente a garantirti la sopravvivenza, abituato come sei a quella specializzazione che ti rende il migliore in un solo, unico, campo di nicchia?

Scendi dal piedistallo, e prega che chi ti sta sfruttando a tua insaputa come una mucca da latte continui a darti il sostentamento di cui tanto hai bisogno.

E magari guarda con un pizzico di stima e ammirazione chi vive ancora libero, nudo e armato di lancia in una remota selva dell’Amazzonia.

Causa ed effetto


Nel colloquio di counseling c’è una domanda che è preferibile non utilizzare: “Perché?”

Questa domanda stimola un registro squisitamente mentale, invitando l’intelletto ad andare a trovare spiegazioni, cause, fattori scatenanti di una determinata situazione.

Cercare nel passato ciò che ha portato alla condizione attuale può inoltre far correre il rischio di convincersi dell’esistenza di uno stretto legame di causa effetto che rende immodificabile il presente.

Se ad esempio ho subito un trauma infantile e mi convinco che condizioni pesantemente il mio modo di relazionarmi con le persone, poiché ciò che è accaduto non è modificabile né eliminabile potrei giungere alla conclusione che non c’è più nulla da fare, che ‘io sono fatto così’.

Ma c’è un altro tipo di considerazione che merita di essere affrontata: il ragionamento precedente dà implicitamente per scontato che la causa sia nel passato e l’effetto nel futuro; se il bicchiere, in questo momento, cade per terra, è perché qualche istante prima qualcuno o qualcosa lo ha spinto oltre il bordo del tavolo.

Questo presuppone un tempo lineare unidirezionale in cui tutto ciò che si trova nel presente viene determinato da ciò che è accaduto in precedenza, arrivando ad annullare ogni possibilità di libero arbitrio, a ben riflettere.

La domanda provocatoria che ti voglio fare è questa: riesci ad immaginare un mondo in cui sia il futuro a condizionare il presente?

Potresti obiettare che non ci sono evidenze empiriche ad avvalorare questo tipo di strampalata ipotesi, eppure considera questo esempio: oggi, lunedì, prendi un giorno di ferie per il venerdì successivo, perché hai intenzione di fare un weekend lungo in una città europea. Sempre oggi, prenoti una camera d’albergo e un volo aereo.

Cosa ha provocato questi eventi? Non è ragionevole pensare che la causa di quanto accaduto oggi sia da collocarsi anche nel futuro?

E’ ben vero che si tratta di una causa solo ipotetica, non essendosi ancora verificata in concreto, ma è innegabile che produca degli effetti reali, e questo a mio avviso è sufficiente a rendere reale essa stessa.

Abbandonare l’unidirezionalità lineare del tempo e dei legami di causa-effetto amplia enormemente la visione del mondo, e ha la potenza di dare all’immaginazione l’opportunità di creare cause che producano un presente più gradevole e accettabile.

A me piace moltissimo questa idea, tu che ne pensi? E’ meglio continuare a rimanere legati al passato crogiolandosi nelle proprie sfighe, oppure immaginare un magnifico futuro che possa concretamente condizionare l’oggi che stiamo vivendo?

La scelta è tua… adesso!