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Il peccato originale


Il germe di questa canzone è stata seminato dentro di me durante un intenso ritiro sciamanico che mi ha portato a stretto contatto con la mia sofferenza e col mio lato femminile.

Il parto è arrivato poi a distanza di due giorni, in una fredda mattina d’autunno che mi ha visto inchiodato alla chitarra e al notebook fino a che l’intera canzone non era giunta a compimento; mi sentivo quasi posseduto da forze più grandi di me. E forse così è stato.

Il tema è quello della sofferenza, calata nello specifico dell’abuso sessuale su una bambina; l’orrore che suscita un evento del genere distoglie dal fatto che il corpo, inconsapevole della morale e della distinzione fra bene e male, laddove stimolato reagisce conformemente alle regole che Madre Natura ha stabilito, producendo sensazioni piacevoli o spiacevoli a seconda degli stimoli ricevuti.

E’ naturale sentirsi vicini e offrire conforto a chi ha provato dolore, ma chi darà mai ascolto a chi ha invece provato un piacere proibito?

Ho immaginato, col fare maldestro di chi parla di fatti non vissuti in prima persona, che anche le esperienze più traumatiche possano nascondere una componente di piacere, soprattutto se chi le subisce vive nell’ingenuità, priva di sovrastrutture mentali, di chi ancora non conosce certe aberrazioni della vita e ha un corpo altamente ricettivo, pronto ad accogliere, curioso, ogni stimolo che essa può donargli.

Se avessi goduto, anche solo per un breve istante, durante un abuso, con chi potrei mai parlarne? Con chi potrei mai condividere questo fardello di sensi di colpa, vergogna, giudizio, incredulità? Come potrei mai accettare ciò che ho provato, accettare me stesso, se sono circondato da persone che mi offrono la loro vicinanza e accoglienza grazie al mio essere vittima? Non mi sentirei forse moralmente obbligato ad amplificare il dolore e nascondere il piacere, condannando per sempre una parte di me ad essere segregata nell’oblio delle anomalie patologiche?

Forse il vero trauma si nasconde proprio nelle pieghe di questa contraddizione, che nessuno saprà mai comprendere fino in fondo, finché non ci passa attraverso.

Perché il dolore è soltanto piacere che non si può sopportare.

Mim Do Mim Do

Mim             
Ricordi quelle mani rugose
Do             
voraci, tremanti, bramose
Re                     Sim
squarciare di una riga rossa 
            Mim             
il tuo velo bianco
Mim             
Quel volto randagio e canuto
Do             
quel sorriso in cui avevi creduto
Re                      Sim     
sfumavano avvolti dalla nebbia
              Mim             
in un profilo stanco
Sol
La voglia di scoprire il mondo
Sim
col cuore aperto alla gioia
Re
attirava l’ingenua falena
                 Mim
nella fiamma del boia
Do
Sensazioni mai prima provate
Sol
il tuo fiore che aspettava l’estate
Re
un frutto troppo acerbo 
                           Mim
per donare i suoi colori all’aurora
Mim
L’esplosione ha liberato il dolore
Do
così forte da inondare terrore
Re                      Sim
quella fiamma va tenuta nascosta
                  Mim
nelle segrete del cuore
Mim
Così l’odio toglie il posto all’amore
Do
odi il vecchio, odi il tuo corpo, il tuo odore 
Re                                Sim
e quel fuoco tiene in botta la caldaia
                  Mim
di una bomba a vapore
Sol
Quella bimba va nascosta alla vita
Sim
va protetta, va sgridata e punita 
Re
ma non serve dirlo in giro 
                                Mim
perché in fondo non verrà mai capita
Do
E la donna che al suo posto compare
Sol
ha deciso: non ci si deve fidare
Re
questo mondo porta in giro 
                           Mim
sofferenza camuffata da amore

Do Mim
Fa#m
Così hai messo la tua vita a tacere
Re
e la mente ha chiuso in cantina il cuore
      Mi                       Do#m
hai sepolto quel ricordo nella terra
                Fa#m
per lasciarlo morire
Fa#m
Ma l’amore non si può arginare
Re
ogni fiore è destinato a sbocciare
      Mi                             Do#m                
e quel seme che hai nascosto ti aspettava
              Fa#m
pronto per germinare
La
Il tuo corpo ha cominciato a gridare
Do#m
reclamando la sua dose di sale
Mi
costringendo la mente a rinunciare
                 Fa#m
alla sua idea di dolore
Re
Quel dolore che ti aveva aggredito
La
spaventandoti, non avevi capito
Mi
che era l’estasi di un piacere 
                           Fa#m
che arrivava nel momento sbagliato
La
Ti ha sorpreso inerte ed impreparata
Do#m
nel bel mezzo di una storia malata
Mi
emozioni troppo forti da donare
                 Fa#m
ad una bimba spaurita
Re
Il perdono ti saprà liberare
La
questa storia la lascerai andare
            Do#m               Mi                     
perché il dolore è soltanto piacere 
                  Fa#m
che non puoi sopportare

           Do#m         Mi                     
il dolore è soltanto l’amore 
                  Fa#m
che non vuoi accettare

Il nulla


La verità si nasconde nelle pieghe della contraddizione.

I matematici sono terrorizzati dalle contraddizioni, i mistici orientali affascinati.

Dal punto di vista della logica, lo stato di verità di una contraddizione permette di dimostrare qualunque cosa.

Ad esempio, partiamo dalla verità dell’assunto contraddittorio:

A: Io sono Piero E io non sono Piero.

Da esso discende la verità dei due assunti più semplici:

B: Io sono Piero
C: Io non sono Piero

Possiamo usare l’assunto B in combinazione con uno arbitrario per crearne un terzo altrettanto vero:

D: Io sono Piero O io sono un canguro

Quindi: o sono Piero o sono un canguro; siccome per la verità di C io NON sono Piero, allora devo essere un canguro.

Ma seguendo questo ragionamento potrei anche essere una carriola, un ruscello, un grattacielo.

La mente viene destabilizzata dalla presenza di una contraddizione, ed è proprio per questo che i mistici orientali ne fanno largo uso, ad esempio nei koan Zen, enigmi assurdi, incoerenti e senza senso aventi lo scopo di scardinare il controllo razionalizzante del pensiero e favorire il processo di consapevolezza.

La contraddizione che produce un insieme vuoto, di conseguenza il nulla e, per complemento, il tutto.

La contraddizione come via per andare oltre il velo di maya.

Questo no, quello neppure


“Così non mi piace”, disse lei per l’ennesima volta.

Lui l’amava, e desiderava accontentarla più di ogni altra cosa.

“Così?” ribatté speranzoso.

“No, così non va.”

“Allora così?”

Lei rimase un poco a riflettere, per poi sentenziare decisa: “no, neanche così!”

“D’accordo, allora vediamo se in questo modo va meglio.”

“Mmm… no, non ci siamo ancora!”

L’amore porta a tenere comportamenti inconcepibili alla ragione, e lui era decisamente in quella condizione; stavano andando avanti così da parecchio.

“Va meglio adesso?”

“No, no no no, non ci siamo proprio!”

Era esausto; la mente gli suggerì a quel punto di cambiare strategia, per trovare finalmente il modo di accontentarla.

“Senti, cara, è da molto che vado avanti per tentativi, e ho l’impressione di perdere tempo; desidero più di ogni altra cosa vederti felice, e lo sai bene. Perché, invece di continuare a dire ciò che NON VUOI, non mi dici una buona volta ciò che VUOI?”

Lei lo guardò affettuosamente.

“Se io ti dicessi ciò che voglio, smetteresti di cercare un modo di accontentarmi, e ti fermeresti a quello che ti ho suggerito.
Ciò che voglio non può essere racchiuso in una descrizione; ciò che voglio è immenso, e non ci sono confini ai miei modi di essere felice. Non voglio limitarli a pochi, imbrigliando i miei desideri in una definizione.
No, continuerò a dirti ciò che NON voglio, per lasciarti l’opportunità di confrontarti con l’infinito.”

Lui capì: il suo amore per la vita era più forte della stanchezza, e ricominciò a provare.

La coerenza


Ti propongo questa meravigliosa litografia di Maurits Cornelis Escher, grafico e incisore olandese famoso per le sue opere paradossali e provocatorie, intitolata ‘Relatività’.

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M.C.Escher, Relatività. Litografia 1953

Finché mi soffermo su singole parti dell’immagine non noto nulla di strano; il disorientamento nasce quando considero la scena nel suo complesso: la mia mente inizia allora a vacillare e ogni saldo riferimento perde di significato; i concetti di sopra e sotto, alto e basso, destra e sinistra, solidi ancoraggi su cui baso la mia capacità di orientarmi nello spazio, vanno a farsi benedire.

Ciononostante, ogni volta non riesco a non rimanere affascinato dalla surreale armonia di quell’insieme di elementi dall’accostamento paradossale: osservando l’immagine provo una piacevole sensazione di apertura, di affrancamento da schematiche briglie, oserei dire di infinito!

Poi penso alla mia mente, a come è strutturata la mia personalità, e capisco che non sono poi diverso da quell’immagine.

Con la grande differenza che osservarmi nella mia globalità mi terrorizza: vedere tutte le mie incoerenze interne mi fa stare male, mi disorienta, appunto. E finché il disorientamento è provocato da una immagine ‘finta’, è piacevole; quando mi riguarda in prima persona, quando riguarda me, non lo è affatto. Al contrario, è terrificante.

Ecco allora che creo delle barriere, dei compartimenti stagni: i miei valori, i miei atteggiamenti, le mie convinzioni quando sono nell’ambiente lavorativo sono completamente diversi da quelli che mi attribuisco quando sono con gli amici, o in famiglia, o da solo nel bosco.

E non parlo di semplice finzione col mondo esterno, bada bene: parlo proprio di struttura mentale interna. Parlo di finzione con me stesso. Nel compiere determinate azioni in determinati contesti ignoro completamente certe mie convinzioni o certi miei valori, perché mi porrebbero di fronte ad una contraddizione e mi impedirebbero di agire.

Se togliessi ogni paratia e rimanessi fedele al principio di coerenza per me non ci sarebbe via di scampo: sarei condannato all’immobilità, perché non ci sarebbe gesto che potrei compiere in totale e sincera assenza di contraddizione.

Capisco allora che queste paratie si sono formate come difesa, sono ‘ammortizzatori’, per utilizzare la terminologia di Gurdjieff, che mi proteggono dalle sollecitazioni causate dalle mie incongruenze.

Da dove hanno avuto origine queste incongruenze? Beh, suppongo dalle innumerevoli esperienze fatte nel corso della vita, che si sono incontrate o scontrate con le mie pulsioni interiori, e nel tempo hanno originato modelli di risposta non sempre allineati fra di loro.

Ma al di là di trovare le cause, ciò che mi domando è: che fare? Rinunciare ad essere coerente, o continuare ad evitare di guardarmi nella mia totalità? O rinunciare a parti di me, nel difficile tentativo di eliminare ogni contraddizione?

La risposta a questa domanda fino a qualche anno fa sarebbe stata scontata: la coerenza prima di tutto.

Ma il fatto stesso che sia qui a fare certe riflessioni, oggi, non lascia dubbi su quale sia la cosa più utile da fare, per me, ora: accettare e contemplare con non giudicante apertura quel meraviglioso quadro di Escher che sono diventato.

Preferisco esser vinto contro il muro a torso nudo
che cantare la vittoria ben protetto da uno scudo

Nomadi, “La coerenza”

 

L’esame imprevisto


E’ venerdì di una tarda mattinata primaverile. Il professore di matematica, prima di uscire dall’aula, comunica agli studenti che un giorno a caso della settimana successiva si farà una verifica a sorpresa. Insiste particolarmente sul fatto che sarà proprio a sorpresa: fino a che non entreranno in aula, gli studenti non avranno modo di sapere se quel giorno si terrà o meno la prova.

Gli studenti sono molto intelligenti e hanno una razionalità piuttosto spiccata quindi, dopo un primo momento di panico generalizzato, si consultano e arrivano ad una conclusione alquanto rasserenante: il fatto che si faccia la verifica è logicamente impossibile.

Il loro ragionamento è il seguente.

Venerdì non potrà essere il giorno prescelto, perché il prof. ha detto che non potremo sapere quando si farà la verifica fino al momento in cui lui entra in aula; ma se entro giovedì noi non avremo fatto la verifica, potremo concludere che si terrà il giorno rimanente, venerdì; questo contraddice quanto ha detto il professore, perché in quel caso conosceremmo il giorno con molte ore di anticipo. Quindi non potrà essere venerdì: il prof. è integerrimo e quando promette una cosa la rispetta. Restano dunque quattro giorni possibili.

Ma per lo stesso motivo dobbiamo escludere anche giovedì, perché se entro mercoledì non si è fatta la verifica, e venerdì è stato escluso, allora non resta che giovedì. Mercoledì pomeriggio sapremmo per certo che la prova sarà giovedì. Ma il prof. ha assicurato che non sarà così, quindi anche il giovedì è escluso.

Beh, ma ripetendo a ritroso il ragionamento, si arriva ad escludere ogni giorno, perfino il lunedì. Conclusione: è impossibile che si possa tenere alcuna verifica sotto queste condizioni.

Soddisfatti del loro ragionamento, ineccepibile sotto ogni profilo logico, passano un week-end all’insegna dello svago e della spensieratezza. E i fatti danno loro ragione, fino a mercoledì compreso. Ma giovedì, inaspettatamente, ecco la verifica, proprio come il professore aveva annunciato! Che brutta sorpresa!

Adoro questo racconto, un poco surreale, perché evidenzia le limitazioni della logica: dove hanno commesso l’errore? Da nessuna parte, il loro ragionamento è ineccepibile! E sta proprio qui il paradosso, perché se non fossero stati così arguti, avrebbero tenuto un comportamento meno razionale ma, di fatto, più efficace!

Tutto questo per evidenziare ancora una volta che la logica, e più in generale la razionalità sono strumenti utili, ma nella vita non sempre sufficienti; talvolta essere irrazionali ci porta più lontano.

Riferimenti bibliografici:

Paul Watzlawick, Don D. Jackson, Beavin Janet Helmick – Pragmatica della comunicazione umana

Gli insegnamenti di Spritz


Ti presento il mio bel gattone, si chiama Spritz.

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Al pari delle mie galline Spritz è un gran maestro di vita, e l’altro giorno mi ha reso consapevole di una mia dinamica, che immagino sia comune un po’ ad ognuno, su cui ti invito a riflettere.

Spritz è un gran giocherellone, ha il morso facile e sguaina con facilità le unghie; ma in fondo ha un animo gentile: vuole solo essere lasciato in pace.

Quando capiti nelle sue grinfie, devi avere ben chiara in mente una precisa strategia di sopravvivenza: se la tua mano finisce fra i suoi minacciosi canini, mai e poi mai tentare di ritrarla. Brandelli di carne lacera giacerebbero sanguinolenti al suolo.

Analogamente, se ti artiglia il malcapitato arto, mai e poi mai tirarlo via per sottrarlo all’incombente pericolo: rosse, colanti righe solcherebbero presto la tua pelle.

Quando ti trovi in questi terebranti frangenti, hai una sola valida strategia di sopravvivenza: andare incontro al pericolo.

Il pollice è finito fra le sue fauci? Spingilo verso l’interno della bocca: la sensazione di fastidio lo convincerà immediatamente a mollare la presa. Ti ha artigliato la mano? Spingila verso di lui, o quantomeno lasciala ferma, ma evita assolutamente di tirarla via. In fondo il più delle volte non ti vuole far male, ma solo darti un avvertimento, o giocare senza intenzione di ferire.

Fin da piccolo ho a che fare coi gatti, e ho imparato queste preziose regole a mie spese.

A questo punto l’insight felino: gran parte della sofferenza che ho provato o provo nelle esperienze di vita è dovuta proprio a questa mia tendenza a ‘tirar via la mano’, che aggrava pesantemente situazioni di dolore solo potenziale.

Insomma, non c’è nulla là fuori voglia davvero farmi del male, sono io stesso a causarmelo con questo mio continuo volermi sottrarre a un pericolo il più delle volte solo immaginato. La mente razionale vuole proteggermi, e per farlo il consiglio è spesso lo stesso: fuga. Invece devo cercare di agire con lucidità, come ho imparato a fare coi gatti, e muovermi nella direzione contraria. Ribadisco: con lucidità, non si tratta di applicare ciecamente una regola in controtendenza.

Tornando a Spritz, non posso negare di avere qualche graffio sulla pelle, ma si tratta solo di ‘superficiali incidenti di percorso’, nulla di grave. Insomma, vale la pena di continuare a giocare con quel bel micione, una volta capito come gestire questo movimentato rapporto.

Follia


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Riso. Dolore.

Lasciami sciogliere quel grumo di pensieri,

bambina dispettosa che sbirci in fondo al mio cuore

non ti permetterò di portarmi via l’amata sofferenza.

Cattivo. Buffo.

L’equilibrio grottesco della vita

sfuma ogni mio tentativo di tracciare una linea.

Essere felice, o soffocare per non dissolversi?

Ah, potessi riscrivere tutto da capo,

per lasciare il foglio bianco!

 

La logica fuzzy


Dai manichei che ti urlano “o con noi o traditore!” libera nos Domine!

Così cantava Francesco Guccini molti anni fa, ed è una strofa a mio avviso molto azzeccata.

Perché viviamo in una società dominata dalla logica booleana, nel nostro modo di pensare predomina la congiunzione disgiuntiva ‘o’ (congiunzione… disgiuntiva! Curioso, vero?); tutto è bianco o nero, non esistono le cinquanta sfumature di grigio di jamesiana memoria.

Ragioniamo per rigide categorie: questo significa che se sei una cosa, ovviamente non puoi essere il suo opposto. E che se stai con loro, ovviamente non puoi stare con noi: non puoi essere sia genoano sia sampdoriano. E se ti piace qualcosa, ovviamente non ti può piacere il suo contrario. Detta così, suona talmente ovvio che appare impossibile che possa esistere un modo diverso di vedere la realtà, ed è proprio questa la migliore dimostrazione di quanto siamo imprigionati in una cella dalle sbarre invisibili.

Pensare in altro modo sembrerebbe portare a dei paradossi, e a livello cognitivo è proprio così, ma se osservi i tuoi comportamenti quotidiani capirai che alla contraddizione arrivi invece se ti ostini a rimanere nel dualismo, e questa volta si tratta di una contraddizione a livello comportamentale: applicare rigidamente questo pensiero dicotomico conduce necessariamente ad una condotta in aperto contrasto con quanto si afferma.

Ti faccio un esempio: sei un vegano accanito, sei contro ogni forma di violenza sul mondo animale. Lo sei al cento per cento, di quelli che non sgarrano mai. E ovviamente, se sei vegano non puoi essere il suo opposto, non puoi essere uno che fa del male agli animali.

Questa affermazione così categorica ti mette immediatamente di fronte ad una contraddizione: perché se osservi attentamente e con onestà intellettuale ogni tuo gesto quotidiano, capisci che ciò che sostieni non è vero in assoluto.

Se ti ammali gravemente, rinunci forse ad assumere antibiotici per non uccidere le cellule di origine animale dei batteri? Se la tua casa è invasa dalle zanzare, le lasci portare avanti il loro pasto indisturbate? Oppure esiste un confine di comodo, che mette gli animali degni da un lato e quelli indegni dall’altro? E chi stabilisce questo confine?

Non parliamo poi di religione, sarebbe come sparare sulla croce rossa.

yinyang

La verità è che per nascondere la contraddizione hai imparato a sviluppare dei meccanismi che ti nascondono certe fette di realtà, quelli che Gurdjieff chiamava ammortizzatori: non riesci ad ammettere a te stesso di avere comportamenti in contrasto col tuo modo di pensare (sei sicuro che sia proprio tuo?), e così operi una rimozione: i fatti scomodi non esistono, o comunque vengono percepiti in maniera edulcorata attraverso dei “però” e dei “ma”: le eccezioni che confermano la regola.

Ma sono proprio queste eccezioni il nocciolo della questione: ne basta una, per stabilire che il bianco immacolato non esiste, così come non esiste il nero più buio.

Perché invece non accogliere una visione diversa del mondo? Una logica più ampia, più aperta, una logica fuzzy: sì, sei vegano, ma non lo sei al cento per cento, lo sei… diciamo al novantacinque? Dai mi sembra una buona percentuale. Questo ti salva dai comportamenti contraddittori: e se per una domenica non hai santificato le feste, beh rimani sempre un buon cristiano, no?

Abbandona quindi la congiunzione ‘o’, per abbracciare la congiunzione ‘e’: perché la realtà è complessa, e tu puoi essere questo e quello; che salto di qualità, quando questo approccio entra nella visione dei rapporti interpersonali!

Avere la libertà di essere una molteplicità, senza per questo sentirsi in difetto.

La quarta gallina


Ho già avuto modo di raccontare come le mie galline siano maestre di vita: ebbene, l’altro giorno ne ho avuto l’ennesima conferma; ecco in breve cosa è accaduto.

Dopo che ho aperto la porta del pollaio perché uscissero a razzolare nell’aia, tre di esse si sono prontamente proiettate fuori mentre una quarta, la più distratta, è rimasta a beccheggiare sulla ciotola del mangime; dopo pochi secondi si è però accorta dell’occasione di libertà, avendo visto le colleghe fuori dal recinto, ed ha provato ad unirsi a loro.

Tuttavia, come puoi vedere dal disegno, volendo raggiungere le compagne al di là della griglia, ha cercato di farlo passando per la via diretta, insistendo a proseguire in una direzione che non l’avrebbe portata molto lontano.

polli alla riscossa

La quarta gallina era troppo tesa sull’obiettivo, così tesa da non capire che perseguendolo in un modo così diretto e ossessivo non sarebbe mai stata in grado di raggiungerlo. E più le compagne si allontanavano, più questa si schiacciava contro l’angolo del pollaio e minori possibilità aveva di capire quale fosse la corretta via di fuga.

Se avesse utilizzato la giusta dose di pensiero laterale avrebbe capito che per raggiungere le compagne bisognava prima allontanarsene, così da raggiungere l’uscita che avrebbe poi permesso la successiva ricongiunzione.

E qui scatta l’insegnamento avicolo: quante volte ci troviamo nella stessa posizione? Quanto spesso, per l’affanno di raggiungere un obiettivo a cui teniamo tanto, finiamo in una situazione di stallo e ci troviamo bloccati a pochi passi da quest’ultimo senza riuscire mai a raggiungerlo?

A me è capitato e capita in continuazione: a scuola, sul lavoro, nelle situazioni sentimentali, sempre e ovunque.

Se sei troppo calato nel problema che devi risolvere, finisci col non vederne al soluzione che hai a portata di mano.

Se temi di perdere l’affetto di una persona cara e ti lasci andare ad atteggiamenti possessivi, finisci con l’allontanarla.

Se vuoi dimostrare al tuo superiore quanto sei bravo e ti prodighi in dimostrazioni di bravura, finisci col fare una figura patetica.

Se vuoi essere simpatico ad ogni costo con gli amici, finisci col diventare pesante.

Se vuoi essere un genitore perfetto, produci dei figli frustrati.

Potrei continuare ad oltranza ma, proprio in virtù di quanto vado dicendo, mi allontanerei dall’obiettivo. E allora la cosa giusta è terminare l’articolo, che può ben essere così sintetizzato: nella vita talvolta occorre essere contraddittori, uscire dalla direzione palese, logica e razionale, per seguire le indicazioni del cuore (o, detta in altri termini, le indicazioni dell’emisfero cerebrale destro, che troppo spesso vive relegato in un ruolo da comprimario); solo così avremo qualche possibilità di raggiungere i nostri amici pennuti.