Archivio mensile:ottobre 2020

Liberazione: la negazione del dovere.


Adesso puoi andare,
non ho più bisogno di te.
Questo grazie a te.
Grazie.

Con queste parole libero virtualmente mia madre, e con lei tutte le figure femminili che nel corso della mia vita hanno a tratti giocato il suo ruolo perché io l’ho proiettato su di loro.

Sono parole emerse nel mio campo di consapevolezza al termine di un ritiro sciamanico con la pianta madre, e curiosamente assieme a loro è emerso anche un legame inaspettato con un pensiero, apparentemente non correlato, che mi frulla in testa da un po’ di tempo.

Si tratta di un problema di pura logica, estratto dal novero delle masturbazioni cerebrali con cui spesso mi diletto, e riguarda la negazione del verbo ‘dovere’ e il legame col verbo duale ‘potere’.

Esiste infatti una terra di confine in cui ‘dovere’ e ‘potere’ danzano armonicamente senza che l’uno implichi o escluda l’altro, ma questo viene normalmente ignorato; detto diversamente, fra ‘dovere’ e ‘non dovere’ da qualche va collocato ‘potere’.

Supponiamo che io ti dica: “devi aiutarmi”.

Qual è la negazione logica di questa frase? Ovviamente: “non devi aiutarmi”.

Ma attenzione, la lingua italiana è ambigua, e il significato va oltre il senso strettamente logico del costrutto linguistico. Perché dal punto di vista semantico “non devi aiutarmi” viene normalmente inteso come “hai il dovere di non aiutarmi”, ossia, per ricondurla alla sintassi logica, “devi non aiutarmi”, espressione che nella lingua italiana difficilmente si trova.

Di conseguenza, “non devi aiutarmi” viene di fatto usato con un duplice significato:

  • non hai l’obbligo di aiutarmi (ma, volendo, puoi)
  • hai l’obbligo di non aiutarmi (quindi non puoi)

e nella mia esperienza di solito il secondo prevale.

Come si collega questo con la frase iniziale?

Posso evidenziarlo meglio grazie ad un passaggio di ruolo: esco da quello del figlio ed entro in quello del genitore, quale peraltro sono, immaginando di sentirmi dire queste parole.

Ecco che avverto una sgradevole sensazione: mi sento allontanato. Mi sento non più gradito. Perché? Perché confondo il ‘non devi’ col ‘devi non’, e questo trasforma una frase che libera in una frase che obbliga.

Mi sono perso tutta quella zona di mezzo, nella quale posso muovermi ma mi sono invece precluso, che sta fra il ‘devo’ e il ‘devo non’, ossia la zona del ‘posso’.

Si tratta di un passaggio non da poco, perché sposta il fuoco dai limiti alle possibilità.

Un passaggio che, scusa il gioco di parole, regala POTERE.

La fiducia


La fiducia è uno stato d’animo, un atteggiamento incondizionato.

Non confondere la fiducia con le aspettative, o peggio le pretese.

La fiducia riguarda te, solo te, e non ha nulla a che fare col comportamento della persona in cui l’hai riposta.

Se pensi che la tua fiducia sia stata delusa significa che avevi una pretesa mascherata.

Tradire la fiducia è una contraddizione in termini, si può solo violare un obbligo o disattendere una promessa.

La fiducia non incatena mai nessuno: se hai fiducia in una persona gli concederai sempre un’altra occasione, non importa quanti errori commetta, perché nulla può cambiare, nel profondo, il tuo sentire.

E se hai fiducia nella vita, ti abbandonerai a lei sempre e comunque, accada quel che accada.

La fiducia è lo strumento per creare la propria realtà, credendoci fino in fondo, incondizionatamente.

Grumi


La materia che ci circonda, e di cui noi stessi siamo costituiti, è tale solo perché siamo in presenza di bassi livelli di energia; si teorizza che all’epoca del Big Bang esistesse un turbolento plasma di quark nel quale non si trovavano particelle di materia (protoni, neutroni elettroni o addirittura atomi) per via delle alte energie.

è un po’ come dire, metaforicamente, che ovunque era vapore, non c’era acqua né tantomeno ghiaccio a causa delle alte temperature; il tutto traslato alle particelle subatomiche.

La separazione è dunque un fatto di energia; basse energie portano ad aggregazione di grumi in posti ben localizzati, grumi che difendono a spada tratta la loro individualità, alte energie conducono a dissoluzione e diffusione nell’ovunque.

Mi viene spontaneo applicare questa immagine a quella particolare forma di aggregazione che sono i concetti, gli schemi mentali: idee che si raggruppano attorno a centri di gravità.

Siamo forse così aggrappati alle nostre convinzioni solo perché abbiamo bassi livelli di energia mentale?

Che ne sarebbe del nostro concetto di famiglia, patria, sicurezza economica, salute… se la nostra temperatura psichica aumentasse?

Che ne sarebbe dell’immagine cha abbiamo di noi?

Dissoluzione e confusione nell’ambiente indistinto circostante, ritorno al plasma primordiale.

Non è forse questo la morte?

Calore


Adoro sentire il calore della stufa, in inverno, seduto su uno sgabello, con la schiena rivolta al vetro dello sportello, attraverso il quale irraggia l’avvolgente energia della fiamma danzante.

Adoro ancora di più la sensazione dei raggi del sole sulla pelle, in una frizzante giornata di gennaio, che mi portano a dimenticare la rigida temperatura circostante facendo vibrare all’unisono ogni cellula del mio corpo con le loro ondate di energia.

Come dice una nota canzone, il fuoco di un camino non è caldo come il sole del mattino.

Ma in questa personale classifica esiste una terza forma di calore che è di gran lunga la mia preferita: è quella che sento nascere dentro, durante un’uscita in bici o una corsa in una rigida giornata invernale, dopo la prima mezz’ora di riscaldamento.

Una sensazione di vitalità che spinge verso l’esterno, contrastando il freddo circostante che spinge verso l’interno, fino a raggiungere un perfetto equilibrio sulla superficie della mia pelle, come un palloncino gonfio che contrasta la pressione dell’acqua in cui è stato immerso.

è il mio calore. Questo sono io, e sono vivo.

La soluzione


Un amico si rivolge a te perché ha un problema: sembra più che naturale volersi adoperare per aiutarlo a trovare una soluzione.

Ma sei proprio certo che si sia rivolto a te per questo? Sei certo che sia ciò di cui ha veramente bisogno?

Beh, se il problema che viene posto è di tipo squisitamente tecnico, probabilmente sì, per esempio: “non parte il decespugliatore, ho già pulito il carburatore e sostituito la candela ma continua a non funzionare, ti viene in mente cos’altro potrebbe essere?”

Ci sono però casi in cui le persone si confidano per condividere un disagio esistenziale, al solo scopo di non sentirsi sole, di sentirsi comprese. Allora, il problema in sé diventa un pretesto, e se ti prodighi per risolverlo, o per convincere che nella vita c’è di peggio nel tentativo, in totale buona fede, di sollevare l’amico dal disagio… ebbene in tal caso otterresti l’effetto opposto.

Trovare una soluzione alla situazione contingente non farebbe che eliminare un appiglio, e magari comunicare implicitamente all’altro: eccoti ciò che ti serve (incapace), ora va e non mi scocciare.

Ho esagerato un po’ i toni per rendere l’idea, ma parlo per esperienza: è così che mi sono sentito in molti frangenti.

è importante comprendere che spesso le persone non vogliono risolvere problemi ma soltanto avere qualcuno vicino, e mantengono in vita lo status quo a tal scopo, come un bimbo che finge di star male per avere l’affetto dei genitori.

Siamo in molti, bimbi bisognosi di affetto.

Matematica e realtà


Voglio sottoporti una riflessione su quello che per me è un fatto sconcertante, un assunto che il mondo scientifico dà ormai per scontato, una evidenza a cui ci si è abituati a tal punto da aver smesso di sorprendersi.

La matematica è indubbiamente una creazione del pensiero umano, una pura astrazione. Non esiste alcun fenomeno concreto in natura che si possa identificare col concetto di integrale, o limite, o derivata.

Eppure, la matematica è il solo linguaggio che la scienza usa con sorprendente efficacia per descrivere il mondo fisico: partendo dalla traiettoria parabolica di un sasso lanciato in aria, passando per le equazioni della relatività generale, fino ad arrivare alla funzione d’onda che descrive la probabilità di localizzare un elettrone in un determinato punto dello spazio.

Ma non c’è bisogno di scomodare la fisica delle particelle, ci si può limitare alla vita quotidiana: nel frigo ho sei uova, ne prendo due distrattamente e le metto in padella: le vedo, sono due, davanti a me che friggono; le conto indicando col dito: uno, due; senza bisogno di applicare lo stesso procedimento con quelle rimaste posso con totale certezza affermare che sono quattro; per farlo astraggo, passando dal mondo reale a quello dei numeri, e applico una regola di cui ormai mi fido ciecamente:

6 – 2 = 4

quindi prendo il risultato, un numero puro, torno nel mondo della realtà e mi comporto come se in frigo ci fossero veramente quattro uova: ad esempio non inserendole nella lista della spesa che mi accingo a fare.

La descrizione che ho appena fornito è banale, ha sottolineato l’ovvio: eppure il perché quest’ovvio funzioni da sempre non è per nulla scontato e merita una attenta riflessione.

Perché le leggi della fisica seguono così fedelmente una creazione del pensiero? Forse perché il pensiero è nato a partire dall’esperienza del mondo che ci circonda e ha imparato a generalizzare?

In molti casi è così, come in quello delle uova: l’operazione avrebbe funzionato anche in caso di mortadelle, canguri o pinguini (forse ti starai chiedendo: passi per il pinguino, ma perché mai dovrei avere un canguro nel frigo? Ma non divaghiamo, di questo parlerò in un prossimo articolo).

Non sempre però la matematica si occupa di generalizzazioni a partire da esperienze nel mondo reale: si muove spesso da queste, come nella teoria degli insiemi o nella geometria, ma poi si arriva così lontano, nel processo di pensiero, da raggiungere concetti talmente astratti da aver perso ogni collegamento pratico con la vita quotidiana, al punto che si è portati a domandarsi perché i matematici perdono tanto tempo con le masturbazioni cerebrali.

Salvo poi scoprire, a posteriori, che quel particolare costrutto matematico descrive alla perfezione un nuovo fenomeno fisico appena osservato, o in molti casi è in grado di prevederne altri, mai osservati, che si deduce debbano esistere in base al puro ragionamento, come nel caso dei buchi neri o del bosone di Higgs.

Insomma, è un po’ come se matematica e realtà fisica fossero due aspetti di uno stesso fenomeno, uno nel campo del pensiero e l’altro in quello dell’esperienza concreta.

E a questo punto mi stuzzica un’idea affascinante: e se anche la realtà fisica fosse una creazione del pensiero? Se la matematica riflettesse il mondo delle potenzialità offerte dalla nostra mente, e la realtà fisica una sua concretizzazione?

Ovviamente l’idea non è mia, molte tradizioni esoteriche sostengono che la mente crea la realtà, e ultimamente anche alcune frange più progressiste della scienza avanzano questa ipotesi; parlo ad esempio di Federico Faggin, padre fra l’altro del microprocessore e della tecnologia touch, quindi una persona con i piedi ben piantati a terra, che sta dedicando la sua vita a dimostrare che la coscienza crea la realtà, e non viceversa come comunemente si crede.

Se questa ipotesi fosse vera, si spiegherebbe fra l’altro questo affascinante mistero… o forse è più funzionale la lettura rovesciata: l’esistenza di questo affascinante mistero non potrebbe essere un indizio del fatto che le cose stanno proprio così?