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La logica fuzzy


Dai manichei che ti urlano “o con noi o traditore!” libera nos Domine!

Così cantava Francesco Guccini molti anni fa, ed è una strofa a mio avviso molto azzeccata.

Perché viviamo in una società dominata dalla logica booleana, nel nostro modo di pensare predomina la congiunzione disgiuntiva ‘o’ (congiunzione… disgiuntiva! Curioso, vero?); tutto è bianco o nero, non esistono le cinquanta sfumature di grigio di jamesiana memoria.

Ragioniamo per rigide categorie: questo significa che se sei una cosa, ovviamente non puoi essere il suo opposto. E che se stai con loro, ovviamente non puoi stare con noi: non puoi essere sia genoano sia sampdoriano. E se ti piace qualcosa, ovviamente non ti può piacere il suo contrario. Detta così, suona talmente ovvio che appare impossibile che possa esistere un modo diverso di vedere la realtà, ed è proprio questa la migliore dimostrazione di quanto siamo imprigionati in una cella dalle sbarre invisibili.

Pensare in altro modo sembrerebbe portare a dei paradossi, e a livello cognitivo è proprio così, ma se osservi i tuoi comportamenti quotidiani capirai che alla contraddizione arrivi invece se ti ostini a rimanere nel dualismo, e questa volta si tratta di una contraddizione a livello comportamentale: applicare rigidamente questo pensiero dicotomico conduce necessariamente ad una condotta in aperto contrasto con quanto si afferma.

Ti faccio un esempio: sei un vegano accanito, sei contro ogni forma di violenza sul mondo animale. Lo sei al cento per cento, di quelli che non sgarrano mai. E ovviamente, se sei vegano non puoi essere il suo opposto, non puoi essere uno che fa del male agli animali.

Questa affermazione così categorica ti mette immediatamente di fronte ad una contraddizione: perché se osservi attentamente e con onestà intellettuale ogni tuo gesto quotidiano, capisci che ciò che sostieni non è vero in assoluto.

Se ti ammali gravemente, rinunci forse ad assumere antibiotici per non uccidere le cellule di origine animale dei batteri? Se la tua casa è invasa dalle zanzare, le lasci portare avanti il loro pasto indisturbate? Oppure esiste un confine di comodo, che mette gli animali degni da un lato e quelli indegni dall’altro? E chi stabilisce questo confine?

Non parliamo poi di religione, sarebbe come sparare sulla croce rossa.

yinyang

La verità è che per nascondere la contraddizione hai imparato a sviluppare dei meccanismi che ti nascondono certe fette di realtà, quelli che Gurdjieff chiamava ammortizzatori: non riesci ad ammettere a te stesso di avere comportamenti in contrasto col tuo modo di pensare (sei sicuro che sia proprio tuo?), e così operi una rimozione: i fatti scomodi non esistono, o comunque vengono percepiti in maniera edulcorata attraverso dei “però” e dei “ma”: le eccezioni che confermano la regola.

Ma sono proprio queste eccezioni il nocciolo della questione: ne basta una, per stabilire che il bianco immacolato non esiste, così come non esiste il nero più buio.

Perché invece non accogliere una visione diversa del mondo? Una logica più ampia, più aperta, una logica fuzzy: sì, sei vegano, ma non lo sei al cento per cento, lo sei… diciamo al novantacinque? Dai mi sembra una buona percentuale. Questo ti salva dai comportamenti contraddittori: e se per una domenica non hai santificato le feste, beh rimani sempre un buon cristiano, no?

Abbandona quindi la congiunzione ‘o’, per abbracciare la congiunzione ‘e’: perché la realtà è complessa, e tu puoi essere questo e quello; che salto di qualità, quando questo approccio entra nella visione dei rapporti interpersonali!

Avere la libertà di essere una molteplicità, senza per questo sentirsi in difetto.

Le soluzioni di mia moglie


Le attitudini logico-matematiche di mia moglie sono decisamente inferiori alle mie, su questo tema la sfotto benevolmente dai tempi dell’esame di statistica all’università.

Quando ci troviamo a risolvere un problema congiuntamente, spesso propone soluzioni argomentandole con motivazioni che a me paiono decisamente irrazionali, ed il più delle volte logicamente inconsistenti; la tentazione conseguente è quella di archiviarle nel cesto delle stupidaggini.

Eppure, l’evidenza empirica dimostra che spesso le sue idee sono valide, mentre le mie, provenienti da una rigorosa dimostrazione, appena accettabili o addirittura inapplicabili. Quanto più il problema da risolvere è di difficile soluzione, tanto più il suo approccio è valido ed il mio fallace.

Per quanto il mio orgoglio maschile tenti di appellarsi a giustificazioni, invocando quale spiegazione dei fatti quella che eufemisticamente chiamo buona sorte, la legge dei grandi numeri mi punta contro prove schiaccianti: dev’esserci qualcosa, nel suo approccio, che lo rende di gran lunga più efficace del mio.

Diciamo che esistono, grossolanamente parlando, due metodi per affrontare un problema, che chiamo rispettivamente ordinato e disordinato; provo a spiegartelo usando come esempio il calcolo dell’area del cerchio.

Dai tempi delle scuole inferiori sappiamo che l’area del cerchio è calcolabile con la ben nota formula

raggio x raggio x 3,14

che rappresenta un approccio ordinato alla risoluzione del quesito.

Esiste però un metodo più divertente, e meno rigoroso, per ottenere lo stesso risultato: disegni il cerchio su un foglio di medie dimensioni, che appoggi su una superficie piana, vi lasci cadere sopra un buon numero di chicchi di riso, gettandoli a caso, e poi calcoli la frazione di quelli caduti all’interno della figura su quelli totali. Se conosci l’area del foglio, con questa frazione sei in grado di conoscere approssimativamente l’area del cerchio.

Circle area

Ecco, lo so, stai pensando quello che penso io quando mia moglie mi presenta le sue soluzioni. Improponibile! Molto meglio la formula esatta, precisa, rigorosa della prima strada.

Comincio col farti osservare che questa non è poi così precisa: dopotutto 3,14 è un’approssimazione del vero pi-greco, che come è ben noto contiene infinite cifre decimali. Ma al di là di ciò, il vero punto è un altro: calcolare l’area del cerchio è facile; il metodo ordinato è palesemente di gran lunga migliore.

Ma se l’area che devi calcolare è quella della figura seguente? Quale formula tirerai fuori dal cilindro?

strange area

Per questo genere di faccende, il metodo analitico non aiuta; quando il problema è confuso, destrutturato, dai margini sfumati, la logica non ti può aiutare. Occorre in questo caso lasciare da parte la mente e ricorrere al cuore: che poi è una metafora poetica per riferirsi all’uso di una parte del cervello sommersa, spesso bistrattata, che lavora dietro le quinte e talvolta, quando le diamo ascolto, ci propone soluzioni geniali sotto forma di intuizioni. Delle quali la mente razionale cerca poi tronfiamente di appropriarsi con una razionalizzazione a posteriori.

Questi processi mentali sotterranei hanno purtroppo un grosso svantaggio: scaturiscono dal di fuori della nostra area di consapevolezza e non sono verbalizzabili; senti che la spiegazione deve essere quella, ma non sai perché, né da dove è arrivata. Quando provi a descriverla, tiri fuori argomentazioni strampalate della cui validità non riuscirai mai a convincere il tuo interlocutore: prova a farti spiegare nel dettaglio da un camionista come fare una manovra in uno spazio angusto con un autotreno.

Proprio quello che accade con mia moglie (non mi riferisco all’autotreno); lei è in grado di risolvere i problemi difficili della nostra famiglia, io me la cavo egregiamente con quelli facili. Per com’era iniziata ai tempi dell’università, non avrei mai immaginato una simile disfatta.

Riferimenti bibliografici:

Guy Claxton – Il cervello lepre e la mente tartaruga. Pensare di meno per capire di più

Luciano De Crescenzo – Ordine & disordine

Riflessioni durante un giro in bici: lo stallo del binario


Sono in sella alla mia mountain bike, sulle alture del ponente ligure. Sto passando a fianco a numerose pale eoliche, la mente che saltella oziosamente di pensiero in pensiero. Improvvisamente uno di questi prende il sopravvento sugli altri: perché tre?

Perché tre pale, e non due? O quattro? Non ho conoscenze di tipo ingegneristico, la risposta che mi sono dato, e che ti propongo, è basata unicamente sul buon senso, con tutte le imprecisioni del caso. Ad onor del vero, prima mi sono premurato di verificarla chiedendo consiglio a Google; non ti riproporrò però le spiegazioni tecniche che ho trovato, ma solo la mia originaria, sicuramente non rigorosa ma non così lontana dal vero. E che comunque nulla toglie al succo del discorso a cui mi preme di arrivare.

Una sola pala è insufficiente, la ruota non potrebbe girare con tutto il peso da una parte. Perché non due? Due potrebbero essere sufficienti… tanti sono i pedali della mia bici, e funzionano a dovere dopotutto…

Invece, se osservi il disegno, ti renderai conto che due sole pale creano una sorta di situazione indeterminata, quando si trovano ad essere allineate perpendicolarmente alla direzione del vento.

eolo

Come vedi, la spinta viene esercitata con uguale intensità tanto sulla pala superiore quanto su quella inferiore. Ovviamente l’equilibrio è instabile, quindi prima o poi una delle due forze prevarrà sull’altra; ma dal punto di vista del rendimento questo non è ottimale, perché di fatto una frena l’altra; inoltre, la situazione di indeterminatezza toglie fluidità alla rotazione, portando a situazioni in cui un po’ si ruota in un verso per poi magari rallentare, invertire rotta e ruotare nell’altro.

Con tre pale, tutto cambia radicalmente: non si potrà mai verificare che il vento spinga contemporaneamente con uguale angolo di incidenza su più pale, inoltre l’inclinazione delle due pale che si trovano per così dire ‘oblique’ rispetto alla direzione del vento è tale da minimizzare la forza di resistenza.

eolo1

Quattro? No, quattro no, si tornerebbe al caso di due pale con in più altre due inerti, poste parallelamente alla direzione del vento, che aggiungono solo peso inutile.

Cinque? Si tratta solo di una complicazione del caso tre, con peso e resistenza aggiuntivi; meglio fermarci qui, l’ottimo è tre.

E, a ben pensarci, mi sembra di ricordare che anche i motori elettrici abbiano tre bobine disposte a triangolo: sono pronto a scommettere che la ragione sia, nei fondamenti, la stessa.

Ora voglio spingermi in una illazione azzardata: non sarà forse che il nostro modo duale di pensare sia affetto da problemi simili? Come avevo già argomentato in un articolo precedente, la logica binaria su cui si basa il nostro pensiero razionale è utile in certi contesti, ma deleteria in altri: noi invece la eleviamo ad unico strumento di comprensione, e così facendo a mio avviso commettiamo un grosso errore. Con due sole forze polarizzanti non si va da nessuna parte, ce ne vuole quantomeno una terza che faccia la differenza, per non restare in una situazione di indecidibilità, di stallo infruttuoso.

Secondo alcune tradizioni esoteriche, in natura esisterebbero tre forze (legge del tre): attiva, passiva e neutralizzante. Due sole non sarebbero sufficienti a produrre un fenomeno, perché si verrebbe a creare lo stato di indeterminatezza che ho illustrato sopra.

Non voglio qui addentrarmi o sostenere questo punto di vista, lascio a te il piacere di approfondire se lo riterrai opportuno; il mio obiettivo è puntualizzare quanto sia utile ma al tempo stesso tremendamente limitante ragionare per insiemi, catalogando ogni esperienza con approccio binario: appartiene o non appartiene, è romanista o laziale, è di destra o di sinistra, e ateo o credente.

La testa ragiona così, ma il cuore ragiona diversamente. La prima fornisce le risposte utili nell’immediato, il secondo quelle utili nella vita; credo valga la pena di puntare lo sguardo un po’ più in là.

La traiettoria della palla e dell’onda (parte seconda)


Ci siamo lasciati mentre giocavi a palla in giardino; bravo, fai bene a giocare anche se sei adulto, il gioco è il modo più efficace per imparare cose nuove.

Adesso però rendiamolo più interessante: invece di lanciare una palla attraverso due porte, proviamo a lanciarne un frammento piccolissimo, addirittura una molecola, attraverso fenditure ridotte delle debite proporzioni (ti ricordo che la molecola è la più piccola parte in cui puoi dividere una sostanza mantenendone inalterate le caratteristiche: una molecola di acqua possiede tutte le proprietà dell’acqua ed è, a tutti gli effetti, acqua; se procedi oltre nella sua scomposizione in atomi, invece, perdi l’identità della sostanza di origine: nella fattispecie ti ritroverai con atomi di ossigeno e idrogeno, molto diversi dall’acqua).

Ora, siccome il concetto di ‘molecola di palla’ è piuttosto indefinito, ti suggerisco di provare l’esperimento seguendo le tracce dei fisici, che lo hanno eseguito usando molecole di fullerene, composte da 60 atomi di carbonio (non so dove si possa comprare del fullerene a buon mercato, lascio a te i dettagli di implementazione).

Le condizioni dell’esperimento sono di fatto le stesse, cambia solo la scala, che adesso è a livello microscopico. Dopo un bel po’ di lanci di queste ‘piccole palline’ ci dovremmo pertanto attendere,  nella parete retrostante (che adesso è qualcosa di simile ad una lastra fotografica, in grado di registrare i punti di impatto delle molecole), due strisce più marcate in corrispondenza delle due fenditure.

E invece, sorpresa! Un puntino dopo l’altro, quello che si viene a comporre non è una doppia striscia, ma una serie di strisce di interferenza, come se invece di utilizzare palline avessimo usato onde!

Esperimento della doppia fenditura

Come dobbiamo interpretare tutto questo? Le particelle a livello microscopico hanno dunque un comportamento ondulatorio, che diventa corpuscolare quando le dimensioni aumentano? Se le cose stanno così, a che scala avverrebbe il cambiamento?

Ma lo sconcerto aumenta se si riflette bene su quello che è successo: noi abbiamo lanciato una molecola alla volta, e ciò è testimoniato chiaramente dal fatto che dall’altra parte appare un singolo puntino per volta; quindi, quando arriva a destinazione, la molecola è chiaramente ‘una pallina’. Però, la sua traiettoria viene decisa come se fosse un’onda: detto in altri termini, sembra che la particella interferisca con sé stessa. Sembra cioè che parta come particella, diventi onda mentre è in viaggio (e non interagisce con alcunché) e si ritrasformi in particella alla prima interazione con qualche altra sostanza (la lastra fotografica).

A questo punto ti potresti chiedere: ma da quale delle due fenditure è passata la molecola-pallina? Quando giocavo felice nel mio giardino la traiettoria era piuttosto evidente, ed era chiaro che era passata da una oppure dall’altra parte. Ebbene, lascia da parte le tue certezze: in questo caso, la risposta è che la pallina è passata da entrambe le fenditure, oppure da nessuna, oppure meglio ancora che la domanda che hai fatto è priva di senso e pertanto non ha risposta!

yinyang

La verità che ha sconvolto i fisici del primo novecento è proprio questa: finché non effettui una misurazione, la realtà sottostante è indeterminata; ma attenzione: quando dico indeterminata, non intendo in senso blando (la traiettoria esiste, ma io non la conosco), intendo proprio indeterminata: la traiettoria non esiste, e solo la sua misurazione la porta ad esistenza.

A livello microscopico, dunque, non esiste una realtà fatta in un modo o nell’altra indipendentemente dal fatto che la si osservi o meno; l’osservatore contribuisce alla creazione della realtà attraverso il processo di misurazione.

Young

Se tutto questo ti risulta nebuloso, proseguiamo con l’esperimento, non può che peggiorare.

Non sei convinto di quanto dico, e alla fine pretendi una risposta alla domanda ‘da che parte è passata la molecola?’. Quindi, furbo come una faina, piazzi un rilevatore di fullereni, preso in un negozio di cineserie, nei pressi di una delle due fenditure, in modo che ti informi se la pallina è passata di lì, pur lasciandola proseguire indisturbata (questo almeno è quello che credi). Ovviamente viene fuori che nel cinquanta per cento dei casi la molecola passa da una parte, e nel restante cinquanta passa dall’altra (“Visto? lo sapevo!”, dici trionfante).

Certo, ma osserva cosa succede nella lastra fotografica: la figura di interferenza è sparita, adesso è come se non ci fosse più comportamento ondulatorio! Sembra proprio che le particelle ti prendano per i fondelli; siccome volevi conoscere un’informazione circa lo stato corpuscolare della particella, questa ti ha accontentato, ma al prezzo di nasconderti le informazioni di tipo ondulatorio. Essa possiede entrambe le caratteristiche, ma tu sei condannato a conoscerne solo una per volta, non entrambe allo stesso tempo! Fra l’altro ti domandi: ma come faceva la molecola a sapere, quando è partita, che poco dopo la fenditura avrebbe trovato un rilevatore e quindi che doveva assumere aspetto corpuscolare?

Esperimento delle due fenditure senza interferenza

Quello che succede, in termini non rigorosi, è questo: la molecola parte dal nostro ‘fucile a fullereni’ ed assume una traiettoria indeterminata, propagandosi come un’onda in tutte le direzioni; finché non incontra nessun’altra particella, l’indeterminazione persiste, ed è come se la molecola esistesse in più posti allo stesso tempo, anche se solo a livello ‘potenziale’; non appena avviene un’interazione significativa con altre particelle (quello che noi chiamiamo ‘misurazione’), l’indeterminazione scompare, e tutti questi diversi stati potenziali sovrapposti (la pallina è qua, là, altrove tutto allo stesso tempo) collassano in un’unico stato (la pallina è là), lo stato che ci è tanto familiare.

Ed il collasso è probabilistico: la pallina apparirà là con una certa probabilità. Più ripetizioni dello stesso esperimento non condurranno a stessi risultati: ecco che quello che la teoria della relatività sembrava averci tolto, il libero arbitrio negato da una realtà predeterminata e bloccata, adesso ci viene restituito a piene mani dalla fisica quantistica, ed in un modo così sconcertante e affascinante al tempo stesso!

Ma la teoria, che a questo punto diventa piuttosto speculativa, ci porta ancor più giù nella tana del Bianconiglio: un possibile modo di interpretare le cose è che esistano infiniti mondi, uno in cui la palla va a destra, uno in cui va un po’ più a sinistra, uno in cui va su, ecc. ecc.; quando effettui la misurazione, ti scindi in tanti te stesso, ed ogni copia di te percepisce una delle possibili traiettorie come reale (mentre in realtà tutte lo sono, e per ognuna esiste una copia di te convinta di essere unica e di aver colto in flagrante la pallina nel suo passaggio, ad esempio, per la fenditura di destra!).

Gli esperimenti che qui ti ho riportato sono reali e fuori discussione, e sono stati eseguiti per la prima volta usando fotoni (l’unità fondamentale di luce), quindi elettroni e, solo da ultimo, molecole quali i fullereni; le spiegazioni del loro perché sono invece più controverse; è indubbio tuttavia che le implicazioni sul nostro modo di percepire il mondo siano notevoli, che si voglia o meno credere alla teoria dei molti mondi. Per ora non andrei oltre, spero comunque di averti lasciato qualche spunto di riflessione e, perché no, la voglia di approfondire la tematica, che per me è estremamente affascinante e coinvolgente.

E le sorprese non finiscono qui: ma ne parleremo in uno dei prossimi articoli.

Riferimenti bibliografici:

Colin Bruce – I conigli di Schrödinger. Fisica quantistica e universi paralleli

David Lindley – La luna di Einstein. Chi ha detto che è impossibile capire la meccanica quantistica?

Attenzione, allontanarsi dal binario: pensieri in transito.


Ci sono 10 categorie di persone: quelle che conoscono la numerazione binaria, e quelle che non la conoscono.

Tu da quale parte ti collochi?

Dolcetto o scherzetto? Sei di destra o di sinistra? Preferisci comandare o essere comandato? Preferisci il dolce o il salato? Meglio le bionde o le brune? Forza, la risposta è semplice: si o no? A chi vuoi più bene tu, papà o mamma?

“Mamma mia che stress, che imbarazzo,

come si fa a non capire che è una domanda del… 

deleteria?”

-o-o-

Ho un lucido ricordo che risale all’università, ai (per fortuna) lontani tempi in cui Berlusconi scendeva in campo; ricordo accese discussioni con un collega studente che, ad ogni mia argomentazione contro il Cavaliere, ribatteva dicendo: “Voi invece avete fatto…”, “Voi invece avete detto…”, “E allora voi? …”, “Voi qui…”, Voi là…”.

Quanto mi irritava quel voi: il fatto che io argomentassi contro una categoria mi collocava inequivocabilmente in un’altra. Il mondo si divideva in due: se non stai di qua, per forza devi stare di là. Ed io ribattevo: “non dire voi, io non sono fazioso!”, ma ormai per l’interlocutore ero catalogato, l’etichetta era stata messa, ero un comunista.

Come ho già avuto modo di sottolineare, le suddivisioni in categorie sono comode come base di partenza per un ragionamento, ma non possono avere valore assoluto: l’insieme dei concetti polarizzati da una parola formano una categoria, ma questa è diversa da persona a persona, non possiamo pretendere di attribuire ad essa valore universale.

Allo stesso modo, ma procedendo in senso inverso, come posso pensare di scegliere, fra tutte le parole a disposizione per descrivere un fenomeno, una sola di queste per etichettarne un aspetto, una sola per l’aspetto complementare, e pensare di aver definito correttamente i termini del problema? Due categorie sono davvero tutto ciò che ci serve per capire il mondo, nulla di più?

Ho anche avuto modo di rimarcare come la rigida e immutabile suddivisione fra bene e male sia fuorviante: un pezzo di mondo non è di per sé né bene, né male: dipende dal contesto, o forse è al contempo sia bene sia male, o forse la questione non ha senso e non va posta.

Insomma: quello che ci frega è il dualismo, la logica binaria, quella che fa funzionare così bene i computer ma li rende al tempo stesso tanto stupidi: sono infatti convinto che, per come sono fatti attualmente, non diventeranno mai intelligenti, proprio perché non sono in grado di concepire qualcosa che sia al contempo vero e falso, mentre il nostro cervello ci riesce benissimo, perlomeno finché non utilizza un registro consapevole.

Ti è mai capitato di ragionare, riflettere su un problema, e non venirne a capo? Poi l’indomani, o a distanza di un mese, mentre stai pensando a tutt’altro, ti appare evidente la soluzione e ti stupisci di come hai fatto a non vederla prima?

La colpa delle iniziali difficoltà è del tuo cervello razionale, quello tanto bravo con le parole, che ti ha fatto escludere tutte le idee (apparentemente) contraddittorie, catalogandole come sbagliate. Quindi a livello consapevole hai escluso una grandissima fetta di opportunità. Per fortuna la parte creativa del cervello, quella che non fa il saputello, quella che accetta anche soluzioni sub ottimali, quella a cui non frega nulla di perdere, quella che lavora dietro le quinte e difficilmente viene esposta agli onori della cronaca, riesce a collegare concetti apparentemente distanti, a rielaborarli e riproporli in forma nuova, semplice, inattesa!

Il cervello razionale non ti fa attraversare il torrente se tutte le pietre del guado non sono perfettamente stabili, ogni passo deve essere ben fermo prima di affrontare il successivo. Il cervello creativo invece è più coraggioso e ti esorta: anche se qualche pietra è instabile, non sovrastimarne la pericolosità; fai il passo velocemente e raggiungi la pietra stabile che c’è immediatamente dopo, vedrai che arriverai asciutto all’altra sponda!

Per imparare a ragionare in questo modo occorre abbandonare la logica dicotomica ed essere aperti alla contraddizione; occorrono meno parole e più riflessione introspettiva: nel momento stesso in cui cerchi di verbalizzare un fenomeno, ne stai perdendo l’essenza, perché lo cristallizzi nella sua dimensione razionale.

Non A o B, ma A e B: yin e yang.

Queste parole ti potranno apparire nulla di più se non filosofia spicciola; in fondo il mondo reale è a tutti gli effetti dicotomico, non ammette vie di mezzo o situazioni indeterminate: alla fine della favola, il treno lo prendo o lo perdo; la palla entra nel canestro o va fuori.

Se sei veramente convinto di questo è perché non ti sei mai interessato alla meccanica quantistica: a livello microscopico, dove risiedono le fondamenta del nostro mondo reale, accadono fatti completamente al di fuori dal nostro senso comune, e non è per nulla vero che la palla (microscopica) o è entrata o non è entrata: come avrò modo di descrivere in uno dei miei prossimi articoli, a quel livello la realtà, finché nessuno la osserva, esiste in uno stato sovrapposto in cui tutte le alternative coesistono: la palla entra e non entra nel canestro, l’oggetto è al contempo onda e particella.

Si tratta di fenomeni veramente sconcertanti, suffragati da verifiche sperimentali e ormai accettati dalla comunità scientifica, della cui veridicità avrai sicuramente difficoltà a convincerti. A me hanno insegnato un nuovo modo di vedere il mondo, affascinante e misterioso, riaprendo la porta a ciò a cui, ai miei occhi, la fisica sembrava negare l’esistenza: il libero arbitrio.

Ma di questo parleremo un’altra volta.

Riferimenti bibliografici:

Bart Kosko – Il fuzzy pensiero. Teoria e applicazioni della logica fuzzy

Edward De Bono – Creatività e pensiero laterale

Guy Claxton – Il cervello lepre e la mente tartaruga. Pensare di meno per capire di più

Eliminiamo il male dal mondo?


Ci capita spesso di interrogarci sul perché esistano le malattie, la violenza, la fame, le calamità naturali; tutti noi auspichiamo di vivere in un mondo in cui il bene trionfi finalmente sul male, ed ogni ingiustizia sparisca.

Ti propongo allora uno sforzo di fantasia: come sarebbe questo ipotetico mondo? Provo a mettermi in gioco e a farlo per te; beh, intanto dobbiamo metterci d’accordo su cos’è bene e cos’è male: direi che il raffreddore è male. Anche la carie è male. Il cibo è bene, e anche il sesso. No, un momento, precisiamo: con Monica Bellucci sicuramente, ma con la tua vicina di casa, non proprio piacente, direi che è male (l’esempio è confezionato per un soggetto eterosessuale di sesso maschile: ovviamente ti prego di adattarlo opportunamente al tuo caso).

Come dici? La tua vicina ha da anni un debole per te? Quindi per lei sarebbe invece bene… eh ma qui entriamo in contraddizione: come può una cosa che per te è male per qualcun altro essere bene? Ora che ci penso, però, ci sono parecchi di questi casi: se mangio tutta la torta in frigo per me è sicuramente bene, ma per mia moglie è male… forse presto lo sarà anche per me, per via del mal di pancia…

Ah, ma sono caduto in un grossolano errore! Ovvio che nel mondo di cui stiamo parlando ci sono torte per tutti, ne posso mangiare senza controindicazioni e la vicina può consolarsi con qualcuno che è molto meglio di te (scusa se ti sminuisco, mi serve solo per l’esempio) che fra l’altro ha gusti stravaganti e quindi è a sua volta parecchio contento.

In questo modo riusciamo ad appianare tutte le contraddizioni? Ho seri dubbi. Ci sono casi in cui una situazione di malessere è necessaria a produrre benessere, e viceversa il benessere conduce a situazioni dolorose; magari tu riesci a immaginarti un mondo in cui questo non accade, ma io non riesco proprio a figurarmelo. Estremizziamo: se non esistesse più la morte, non potrebbe nemmeno esistere la gioia per la nascita di un figlio; se nessuno muore più e continuano a nascere persone, dove le mettiamo? Quanto meno dovrei affrontare il disagio di cambiar casa, che per me è male perché sono affezionato al posto in cui vivo.

Detto in altri termini: male e bene sono due facce della stessa medaglia, uno non può esistere senza l’altro: il piatto di pastasciutta mi dà piacere perché pone fine ad una situazione di fame. Il sonno è piacevole perché sono stanco. La commedia al cinema è divertente perché sono annoiato. Il camino acceso è gradevole perché fuori fa freddo.

Quindi un mondo in cui il male non esiste non sta in piedi dal punto di vista logico: possiamo ovviamente decidere di andare avanti ragionando senza logica, ma allora è inutile condividere un territorio di discussione comune, anzi è inutile perfino comunicare. E allora, la vita è un immenso gioco a somma zero, nel quale ad ogni vincita corrisponde una perdita: è la ragioneria che trionfa, DARE uguale AVERE, nulla si crea e nulla si distrugge!

Gli orientali tendono a cadere meno facilmente nell’errore, ragionando in modo molto più olistico rispetto a noi occidentali: nella loro cultura predomina il concetto di yin e yang, ossia gli opposti che si compenetrano, il nero che sfuma nel bianco, il positivo che convive col negativo: tutto è uno, le divisioni esistono solo nella nostra mente. Molti koan Zen (piccoli motti o frasi che racchiudono verità profonde) usano proprio la contraddizione per stimolare il pensiero: non uno o l’altro, ma uno e l’altro.

Credo che abbiano regione loro.

Allargando questo ragionamento si viene a mettere in discussione anche la nostra logica, basata sui due valori mutuamente esclusivi di vero e falso: forse va rivista? Beh, per ora fermiamoci qui, ne parleremo in uno dei prossimi articoli.

Parole parole parole…


Voglio proporti un esperimento mentale.

Immagina di essere figlio di un ricco industriale, hai circa 5 anni, i tuoi genitori dicono che questo week-end andrete a fare una gita con la nuova barca appena comprata. Non avevi mai visto una barca prima d’ora, ma l’esperienza è decisamente entusiasmante: com’è bello correre avanti e indietro sul ponte col vento fra i capelli, magari qualche onda più alta ti fa sembrare di essere sulla giostra. Passano gli anni, cresci, ti capita sovente di passare del tempo sulla barca di papà; adesso sei adolescente, porti gli amici in vacanza con te; quando vuoi farti bello con le ragazze, con facilità ti giochi la carta della gita in barca.

Adesso riavvolgi il nastro: hai sempre 5 anni, ma sei il figlio di un pescatore. Papà si sveglia presto al mattino, quando è ancora buio, per andare al lavoro. Ha sudato parecchio per racimolare i soldi che gli hanno permesso di acquistare a rate la barca con cui lavora; qualche volta ti ha portato con sé, è stato divertente, anche se con tutte quelle reti, i remi, il salvagente, di spazio per muoversi a bordo non ne avevi poi molto, dovevi stare attento a non fare movimenti bruschi per non cadere in acqua. Però conservi ancora il ricordo della prima volta che sei salito sulla barca, e del giorno successivo quando lo hai raccontato a tutti i tuoi amici, com’eri felice! Sei cresciuto, adesso qualche volta esci al mattino presto con papà per aiutarlo, rubando qualche ora allo studio. E’ faticoso, ma ti dà un senso di serenità e lo fai volentieri.

Ti sei immedesimato? Bene. Adesso considera la parola ‘barca’ e dimmi: quando viene pronunciata ai due individui immaginari, pensi che i concetti che essa richiama alla memoria siano identici nei due casi? Facciamo un esempio: supponiamo che in età adulta si ritrovino ad affrontare problematiche che coinvolgono la dimensione di una barca (progettazione di un motore nautico, gestione della logistica per il trasporto di imbarcazioni, ecc.): le problematiche che di primo acchito tenteranno di affrontare saranno simili o divergeranno?

La domanda è ovviamente retorica: sicuramente, pur rimanendo costante il vocabolo, le aree mentali ad esso associate saranno molto differenti. Al primo richiamerà concetti come ‘grandi dimensioni’, ‘equipaggio’, ‘feste a bordo’, ‘vacanze’; il secondo penserà a ‘notte’, ‘lampare’, ‘verniciare’, ‘silenzio’.

E quello che accade in questo esempio un po’ estremo e romanzato non è l’eccezione, ma la regola della vita quotidiana: le parole non hanno un valore assoluto, ma sono inestricabilmente legate alla cultura e alle esperienze di ciascuno di noi. Peccato però che siano (ritenute) lo strumento principe per comunicare: io dico ‘appuntamento stasera all’angolo della strada vicino al fiume’ e tu capisci esattamente questo, ne sei sicuro, quando stasera mi chiamerai sul telefonino dall’angolo opposto a quello che intendevo mi ripeterai esattamente le stesse parole, per dimostrarmi che avevi capito, e io te le ripeterò nuovamente per dimostrarti che invece no, in base alle mie indicazioni non ti dovresti trovare lì, ma il dato di fatto è che la comunicazione è fallita.

Se pensiamo al nostro cervello come ad una superficie sulla quale si formano delle aggregazioni di concetti (un po’ come il piano di un tavolo sul quale cadono goccioline di pioggia che, quando sono vicine, si uniscono a formarne una più grande), allora la parola è un punto che si erge al di sopra del piano, e sintetizza (semplificandola) l’entità complessa sottostante. Prima nasce il concetto, poi lo si etichetta: ma l’etichetta deve per forza eliminare dettagli, un po’ come la mappa semplifica il territorio.

Immagine mentale

Appena uso l’etichetta, mi viene attivata un’area cerebrale, e la stessa cosa succede a te, ma non è detto che le due aree attivate corrispondano…

Si tratta di un problema? Be’, sicuramente è un problema non rendersi conto di questa dinamica: non risalire alle intenzioni di chi parla per capire quello che effettivamente sta dicendo, ma fermarsi alla superficie, alla lettera del comunicato (ed è già tanto se lasciamo finire di parlare il nostro interlocutore, perché spesso abbiamo già capito tutto prima ancora che finisca la frase).

Chi lavora in un’azienda come me non avrà difficoltà a notare fenomeni di questo tipo: riunioni fiume in cui si parla di tutto e di niente, si esce spesso dal filone principale, si alza la voce, terminando poi con un salomonico accordo fra i partecipanti, salvo poi, da un dialogo estemporaneo alla macchinetta del caffè, ribaltare le conclusioni a cui si era giunti pochi minuti prima… e riconvocare una riunione chiarificatrice…

La diversità delle nostre mappe mentali non va però visto come un problema, anzi secondo me è una ricchezza, ma non va ignorata: pensiamoci… e teniamo sempre bene in mente che la parola è uno strumento, non va idolatrata come fine a sé stessa; non caricare di assolutismo la tua definizione di un concetto, se ti vuoi concedere il lusso di interagire col mondo.

Le parole hanno poi un altro effetto temibile: rappresentano degli insiemi, individuano delle categorie, ti collocano da una parte o dall’altra del confine: e gli effetti perniciosi di un uso in mala fede di questo meccanismo vanno ben oltre la mancata comunicazione, ma di questo parlerò in un articolo successivo…