Saltuariamente tengo lezioni di mountain bike ad un allievo dotato di molta determinazione, si impegna con costanza per riuscire.
Talvolta lo filmo affinché possa rivedersi mentre compie il gesto tecnico, troviamo sia funzionale all’apprendimento.
Talvolta pubblico le sue gesta sui social, per gratificare un poco il mio e suo ego, farmi conoscere in quanto insegnante, e anche diffondere la passione per questo sport che amo.
Capita un giorno che ci imbattiamo in un esercizio di tecnica, su fondo bagnato e fangoso, che risulta particolarmente difficoltoso: per quanto si impegni, non riesce ad eseguirlo correttamente. La frustrazione è alle stelle.
Capita che, molto umilmente, il mio discente decida di lasciar comunque filmare e pubblicare l’apparente sconfitta, perché è utile mostrare anche quelle, oltre alle vittorie.
Capita che qualcun altro veda il filmato e trovi il coraggio di mettersi in gioco, cimentandosi in un’attività che lo spaventava da tempo proprio per lo spauracchio dell’insuccesso. Alla fine, visto da fuori, non riuscire in un’attività non gli sembra più così drammatico, c’è addirittura chi non teme di mostrarlo in pubblica piazza!
Allora mi chiedo: in base a cosa valutiamo i nostri successi? Quanto è stato utile non riuscire in quell’esercizio e comunicarlo al mondo?
Nel caso specifico l’apparente fallimento ha avuto una valenza di portata ben più ampia di quella che avrebbe avuto un’esecuzione impeccabile, e sorprendentemente inattesa!
La mente non ha strumenti adeguati per definire il successo, questa è la verità.
Lasciamo dunque che succeda quel che deve succedere, se vogliamo che sia successo.
Cosa fai quando devi cambiare l’arredamento di una stanza? Stipi i nuovi mobili accanto ai vecchi, nella speranza che il nuovo spinga via il vecchio, oppure prima liberi il locale per creare spazio?
Non so tu, ma io trovo assai meno faticoso fare prima il vuoto per poi riempirlo, anche se quando la stanza è sgombra rimango con uno sgradevole senso di disagio: l’eco dei miei passi al suo interno mi porta in un mondo surreale che non conosco, la percezione delle effettive dimensioni di quel luogo mi provoca stupore e disorientamento.
Nel complesso non la trovo una sensazione gradevole, è pregna di smarrimento e talvolta di angoscia, e tuttavia è necessaria affinché si possano igienizzare quei muri rimasti nascosti da tempo e che finalmente potranno accogliere i mobili appena comprati.
Come fuori, così dentro: non possiamo trasformare alcunché della nostra vita se non abbiamo spazi liberi a disposizione, e accade spesso che la mente sia invasa a tal punto da preconcetti e convinzioni da impedire ogni possibile forma di adattamento ai cambiamenti dell’ambiente circostante.
La vita è un flusso e noi siamo i condotti che la canalizzano: come per le nostre arterie, il passaggio deve rimanere libero, pena la paralisi.
Per questo occorre fare spazio, mettere da parte la mente con tutti i suoi solchi, e lasciare andare.
Per ogni tipo di viaggio meglio avere un bagaglio leggero