Archivio mensile:luglio 2012

Parole parole parole…


Voglio proporti un esperimento mentale.

Immagina di essere figlio di un ricco industriale, hai circa 5 anni, i tuoi genitori dicono che questo week-end andrete a fare una gita con la nuova barca appena comprata. Non avevi mai visto una barca prima d’ora, ma l’esperienza è decisamente entusiasmante: com’è bello correre avanti e indietro sul ponte col vento fra i capelli, magari qualche onda più alta ti fa sembrare di essere sulla giostra. Passano gli anni, cresci, ti capita sovente di passare del tempo sulla barca di papà; adesso sei adolescente, porti gli amici in vacanza con te; quando vuoi farti bello con le ragazze, con facilità ti giochi la carta della gita in barca.

Adesso riavvolgi il nastro: hai sempre 5 anni, ma sei il figlio di un pescatore. Papà si sveglia presto al mattino, quando è ancora buio, per andare al lavoro. Ha sudato parecchio per racimolare i soldi che gli hanno permesso di acquistare a rate la barca con cui lavora; qualche volta ti ha portato con sé, è stato divertente, anche se con tutte quelle reti, i remi, il salvagente, di spazio per muoversi a bordo non ne avevi poi molto, dovevi stare attento a non fare movimenti bruschi per non cadere in acqua. Però conservi ancora il ricordo della prima volta che sei salito sulla barca, e del giorno successivo quando lo hai raccontato a tutti i tuoi amici, com’eri felice! Sei cresciuto, adesso qualche volta esci al mattino presto con papà per aiutarlo, rubando qualche ora allo studio. E’ faticoso, ma ti dà un senso di serenità e lo fai volentieri.

Ti sei immedesimato? Bene. Adesso considera la parola ‘barca’ e dimmi: quando viene pronunciata ai due individui immaginari, pensi che i concetti che essa richiama alla memoria siano identici nei due casi? Facciamo un esempio: supponiamo che in età adulta si ritrovino ad affrontare problematiche che coinvolgono la dimensione di una barca (progettazione di un motore nautico, gestione della logistica per il trasporto di imbarcazioni, ecc.): le problematiche che di primo acchito tenteranno di affrontare saranno simili o divergeranno?

La domanda è ovviamente retorica: sicuramente, pur rimanendo costante il vocabolo, le aree mentali ad esso associate saranno molto differenti. Al primo richiamerà concetti come ‘grandi dimensioni’, ‘equipaggio’, ‘feste a bordo’, ‘vacanze’; il secondo penserà a ‘notte’, ‘lampare’, ‘verniciare’, ‘silenzio’.

E quello che accade in questo esempio un po’ estremo e romanzato non è l’eccezione, ma la regola della vita quotidiana: le parole non hanno un valore assoluto, ma sono inestricabilmente legate alla cultura e alle esperienze di ciascuno di noi. Peccato però che siano (ritenute) lo strumento principe per comunicare: io dico ‘appuntamento stasera all’angolo della strada vicino al fiume’ e tu capisci esattamente questo, ne sei sicuro, quando stasera mi chiamerai sul telefonino dall’angolo opposto a quello che intendevo mi ripeterai esattamente le stesse parole, per dimostrarmi che avevi capito, e io te le ripeterò nuovamente per dimostrarti che invece no, in base alle mie indicazioni non ti dovresti trovare lì, ma il dato di fatto è che la comunicazione è fallita.

Se pensiamo al nostro cervello come ad una superficie sulla quale si formano delle aggregazioni di concetti (un po’ come il piano di un tavolo sul quale cadono goccioline di pioggia che, quando sono vicine, si uniscono a formarne una più grande), allora la parola è un punto che si erge al di sopra del piano, e sintetizza (semplificandola) l’entità complessa sottostante. Prima nasce il concetto, poi lo si etichetta: ma l’etichetta deve per forza eliminare dettagli, un po’ come la mappa semplifica il territorio.

Immagine mentale

Appena uso l’etichetta, mi viene attivata un’area cerebrale, e la stessa cosa succede a te, ma non è detto che le due aree attivate corrispondano…

Si tratta di un problema? Be’, sicuramente è un problema non rendersi conto di questa dinamica: non risalire alle intenzioni di chi parla per capire quello che effettivamente sta dicendo, ma fermarsi alla superficie, alla lettera del comunicato (ed è già tanto se lasciamo finire di parlare il nostro interlocutore, perché spesso abbiamo già capito tutto prima ancora che finisca la frase).

Chi lavora in un’azienda come me non avrà difficoltà a notare fenomeni di questo tipo: riunioni fiume in cui si parla di tutto e di niente, si esce spesso dal filone principale, si alza la voce, terminando poi con un salomonico accordo fra i partecipanti, salvo poi, da un dialogo estemporaneo alla macchinetta del caffè, ribaltare le conclusioni a cui si era giunti pochi minuti prima… e riconvocare una riunione chiarificatrice…

La diversità delle nostre mappe mentali non va però visto come un problema, anzi secondo me è una ricchezza, ma non va ignorata: pensiamoci… e teniamo sempre bene in mente che la parola è uno strumento, non va idolatrata come fine a sé stessa; non caricare di assolutismo la tua definizione di un concetto, se ti vuoi concedere il lusso di interagire col mondo.

Le parole hanno poi un altro effetto temibile: rappresentano degli insiemi, individuano delle categorie, ti collocano da una parte o dall’altra del confine: e gli effetti perniciosi di un uso in mala fede di questo meccanismo vanno ben oltre la mancata comunicazione, ma di questo parlerò in un articolo successivo…

Pensa!


Mi hanno detto che il primo post deve essere un po’ rappresentativo del blog, deve in qualche modo far capire al lettore dove si andrà a parare.

Ci ho pensato su, probabilmente hanno ragione, e allora ci proverò, ma tieni presente che per me è un po’ difficile sapere dove sto andando a parare… comunque: questo blog vuole essere un insieme di spunti di riflessione. O meglio, quando mi vengono dei pensieri che reputo degni di nota, li voglio sottoporre ai lettori di questo blog (mi son detto: nel mucchio qualcuno che li prenderà in considerazione lo troverò…); i commenti, positivi o negativi che siano, sono pertanto estremamente graditi.

Perché ‘Fuori dal solco’? Beh, fondamentalmente per due motivi.

In primo luogo per prevenire coloro che troveranno i miei articoli deliranti (so che ci saranno, se non fosse così resterei piuttosto deluso): caro lettore, se appartieni a questa categoria sappi che concordo con te: infatti la parola ‘delirare’ deriva dal latino ‘de lira‘, cioè, per l’appunto, ‘fuori dal solco’.

In secondo luogo, ma questo lo chiarirò meglio in uno dei post a venire, il solco rappresenta per me un vincolo, che ci mantiene fermi sulla nostra rotta e ci impedisce qualsiasi cambio di percorso. Più seguo la medesima strada, più il solco si fa profondo, più difficile è uscirne. Cosa significa uscire dal solco? Significa lasciar cadere le ipotesi: quello che prima era un postulato del mio ragionamento (in economia si direbbe una variabile esogena), adesso viene sottoposto a verifica, entra esso stesso nell’analisi del problema, magari trovando conferma, magari venendo invalidato. In ogni caso, alla fine mi ritrovo con un ragionamento migliore, che si basa su meno assunzioni, più completo: la mia consapevolezza è aumentata.

Mi piacerebbe molto che qualcuno dei miei futuri post, spesso volutamente esagerati e provocatori, aumentasse l’ampiezza di vedute di qualche lettore; non voglio aiutarvi a trovare delle risposte (non ci riuscirei), voglio solo che vi poniate più domande: allora, probabilmente, le risposte le darete voi a me con i vostri commenti!

Proviamoci. A presto.