Archivio mensile:novembre 2015

Per lei


Questo articolo è dedicato a lei; perché lei ha la capacità di far accelerare bruscamente ed inusitatamente i battiti del mio cuore, fino a sentirlo in gola a supplicare tregua.

Per lei il mio respiro si accorcia, poi improvvisamente diventa affannoso, più sovente pulsa ordinatamente ed armonioso nella sua cadenzata ritmicità.

Per lei mi sono lasciato andare ad innumerevoli pazzie, rischiando (e talvolta ottenendo) lo sprezzante giudizio di anormalità dispensato dai tristi benpensanti di un piccolo paese di provincia.

Per lei ho sofferto: ho patito il caldo afoso di un’assolato pomeriggio estivo, mentre salate gocce di sudore mi bruciavano gli occhi, rigavano la fronte e le guance, o stillavano fastidiosamente dal naso attirando nugoli di tafani che impietosi conficcavano le loro acuminate mandibole nei miei capillari; ho patito il freddo affondando i piedi ormai fradici ed insensibili nella neve, mentre minuscole e sottili lame di ghiaccio aprivano varchi nella pelle secca delle caviglie, tingendo di rosso l’immacolato candore di un rigido paesaggio invernale.

Per lei ho pedalato nell’ovattato silenzio di una strada innevata, provando sensazioni fuori dal tempo e dallo spazio, che le parole non riescono ad imprigionare; ho vibrato dell’improvvisa emozione per lo spuntare di un capriolo sulla mia strada; ho lasciato che il mio cuore si inebriasse dell’infinito che solo la visuale offerta da una vetta conquistata con fatica può regalare.

Per lei ho avuto momenti di sconforto, assalito dalla paura di non riuscire più a sopportare gli sforzi e dalla tentazione di mollare tutto; lei mi ha insegnato a contare su me stesso, ad andare avanti nonostante tutto, e che i limiti di un essere umano sono molto al di là di quello che l’assopita vita quotidiana lascia intravedere.

Per lei ho pedalato, all’uscita dal lavoro, al buio e sotto la pioggia di una rigida sera d’inverno, insultato dagli schizzi di pozzanghera delle automobili che mi sorpassavano, lo sguardo fisso sulle gocce oblique che attraversano il fascio di luce del mio faretto ed in testa il solo pensiero di arrivare a casa, per scaldarmi al calore della stufa e della mia famiglia.

Per lei sono precipitato al suolo, con l’asfalto che abradeva il mio zigomo destro e venava il mio caschetto, dopo essere stato colpito lateralmente da un predatore di latta, al centro di una comune rotonda del traffico cittadino.

Grazie a lei ho imparato a restare solo con me stesso, a capire un po’ di più chi sono; è stata lei ad insegnarmi che il filo che ci tiene in vita è molto sottile, mentre respiravo per ore ansia e panico vicino ad un amico sofferente caduto rovinosamente in fondo ad una scarpata, in attesa dell’arrivo dei soccorsi.

Grazie a lei ho capito che gioia e sofferenza sono facce di una stessa medaglia, e che non puoi ottenere la prima se non sei disposto a metterti in gioco e donare parte di te, e soprattutto a faticare.

Grazie a lei ho avuto l’affetto di molti bambini, che mi hanno insegnato l’importanza della semplicità e della spontaneità mentre cercavo di offrire loro spunti di divertimento pedalando nei prati o nel fango delle pozzanghere di un tratturo di campagna.

Questi ed altri sono i regali che ho ricevuto da lei, ma per amore di chiarezza vorrei sgomberare il campo da possibili fraintendimenti; all’inizio dell’articolo avrai immaginato che parlassi di una donna, ed in effetti trovo molto plausibile ed auspicabile che una donna possa rappresentare una siffatta fonte di emozioni e spunti di crescita per un uomo; ma, se hai avuto la pazienza di proseguire fin qui nella lettura, avrai capito che in effetti mi sto riferendo ad altro.

Potresti aver allora intuito che si tratti di lodi intessute alla mia fida mountain bike, che da anni mi accompagna nelle ore di tempo libero.

Eppure devo dirti che no, nemmeno di questo si tratta; se un oggetto inanimato fosse veramente in grado di suscitare in me tali emozioni io avrei di che preoccuparmi, ed i miei sopracitati compaesani finalmente del materiale concreto con cui costruire i propri castelli.

E allora di che scrivo, ti chiederai?

Vignetta - Paolo Della Bella - Passione e politica

Scrivo della passione; passione intesa nella sua accezione più globale, come molla motivazionale per ogni nostro gesto quotidiano. Passione che vuol anche dire sofferenza, certo, ma una sofferenza finalizzata, costruttiva, mai maligna. Potresti forse dare un’accezione negativa alla passione di Cristo?

In questo articolo ho parlato a scopo esemplificativo di una delle mie passioni, la mountain bike; ma in senso più generale voglio celebrare l’importanza della categoria, non importa verso cosa siano dirette, purché siano genuine, non effimere e non schiavizzanti.

Le passioni sono l’espressione della nostra vera essenza, ciò che da significato alla vita; che alla fine è breve, e va impiegata al meglio facendo ciò in cui crediamo.

Ciascuno ha in potenza le proprie, deve solo trovarle dentro di sé; fatto questo, non ci sarebbero più ragioni né modo di interferire con la vita altrui dispensando giudizi o consigli, ed il male di vivere, così diffuso ai giorni nostri, diverrebbe finalmente solo un lontano ricordo.

Pensiero analitico e scacchi


I computer moderni hanno raggiunto livelli di sofisticazione tali da poterci quasi illudere di surclassare il cervello umano; in alcuni articoli precedenti ho trattato, se pur di sfuggita, l’argomento dell’intelligenza, ed in particolare di come esistano diversi livelli di elaborazione del pensiero.

Voglio ora prendere spunto dai programmi di computer che giocano a scacchi per presentarti un divertente caso in cui il pensiero analitico, così come lo intendiamo comunemente, si rivela insufficiente. Se tu dovessi creare un programma del genere, che strada seguiresti? Come troveresti una regola automatica per stabilire la prossima mossa?

Ora ti dico quale sarebbe il mio approccio.

Primo: trovare un criterio per assegnare un punteggio all’attuale disposizione dei pezzi, uno per il bianco e uno per il nero; complicato in pratica forse, ma facile in linea di principio: un giocatore di scacchi di livello medio non avrebbe grosse difficoltà.

Secondo: simulare una prima mossa, e ricalcolare i punteggi; confrontandoli con i precedenti, possiamo avere un’idea della bontà di quella mossa, ad un livello di profondità uno.

Terzo: poiché un tale grado di analisi è un po’ pochino, ci addentriamo ulteriormente nei meandri delle possibilità, simulando una contromossa dell’avversario; anche qui calcoliamo i nuovi punteggi. Possiamo scendere a piacere nei livelli di profondità, applicando ricorsivamente il criterio di valutazione esposto, arrivando ad esempio a calcolare un migliaio, o un milione, di mosse; ovviamente, dopo ogni bivio si creano altri bivi, venendosi a delineare una sorta di albero delle mosse possibili. I limiti di questo approccio sono rappresentati solo dalle capacità di calcolo dell’elaboratore, che agli standard attuali possiamo ritenere molto elevate: i computer sono velocissimi ad eseguire questo tipo di operazioni, enormemente più veloci del cervello umano.

Quarto: ripetiamo questo processo per tutte le mosse possibili, attribuendo ad ognuna un punteggio; quindi, eseguiamo quella dal punteggio più elevato.

Ecco fatto, il nuovo programma è pronto a sfidare i migliori campioni del mondo. Abbiamo appena usato al meglio le nostre capacità di pensiero analitico, prestandole al computer ed istruendolo per usare queste semplici regole.

Ora ti mostro un caso simulato che è stato in passato presentato a Deep Thought, l’allora migliore programma di scacchi. La mossa spetta al bianco.

stilldiagram

Ad un occhio umano risulta subito evidente la schiacciante superiorità del nero, il quale, tuttavia, è bloccato dai propri stessi pezzi. Sai cosa ha fatto il computer in quella situazione? Ha mangiato la torre col pedone, liberando la via ai pezzi dell’avversario!

Evidentemente, per quanto in profondo si sia addentrato nell’analisi delle possibilità, non è stato in grado di capire che l’unica scappatoia era quella di lasciare i pedoni dove stavano, e muovere ripetutamente il re fino ad ottenere la patta. Ma questo implica comprensione della situazione, mentre avere un elenco di regole da applicare ciecamente non significa comprendere.

Ed il programma che abbiamo appena creato? Anche applicando all’infinito la sua bella procedura, non arriverà mai ad individuare la giusta mossa.

Ti è mai capitato di non riuscire a districarti in un problema, di ritrovarti sempre al punto di partenza con le stesse soluzioni evidentemente non adeguate? Probabilmente sei finito nella trappola del pensiero analitico, che ti vincola in binari predefiniti precludendoti lo scatto di comprensione.

E’ proprio in queste situazioni che si rivela più che mai utile uscire dal solco, ricordandoci che siamo esseri umani.

Riferimenti bibliografici:

Roger Penrose – Ombre della mente. Alla ricerca della coscienza