Mio figlio chiede a mia moglie: “perché ci sono quelle nocciole sbucciate nel piatto?” risposta: “perché devo preparare una torta da portare ai nonni”.
Una risposta alternativa, sarcastica e per nulla divertente che subito mi è venuta in mente è stata: “perché le ho sbucciate e le ho posate lì”, e questo mi ha fatto riflettere sulla diversa natura delle due affermazioni.
E’ evidente come la seconda sia una non risposta, perché è lapalissiana e non soddisfa la curiosità iniziale; ma se estendiamo questo ragionamento ad altri contesti, ci rendiamo subito conto che la banalità viene meno, e questo tipo di risposte ‘inutili’ sembrano le uniche plausibili.
Mi spiego meglio: la risposta di mia moglie è centrata sullo scopo che le nocciole nel piatto soddisfano, mentre la mia è centrata sulla causa che le ha messe lì. La prima guarda al futuro, la seconda al passato.
Ebbene, quando chiedi al tuo medico di base perché hai certi malesseri fastidiosi, che risposta ti aspetti? Ovvio, una risposta del tipo: “perché è successa la tal cosa che ha provocato questo e quest’altro”. Cause, non scopi.
In questo caso sembrerebbe addirittura assurdo ragionare diversamente, e se la risposta del dottore fosse stata: “perché hai un rifiuto per il tuo lavoro e domani non vuoi andare in ufficio”, ti avrebbe lasciato con un vago senso di insoddisfazione e sarebbe apparsa senz’altro poco credibile, poco scientifica: a te interessano le origini dei malesseri, non le loro implicazioni.
E se invece anche in questo caso il perché giusto da ricercare fosse del primo tipo? Se la domanda corretta fosse: “a cosa mi serve questa malattia”? Se ragionare sugli scopi invece che sulle cause, sulle destinazioni invece che sulle provenienze, sul futuro invece che sul passato, fosse l’approccio più efficace?