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L’incompletezza Gödeliana, che göduria!


Nell’articolo precedente ho esposto alcune limitazioni della logica, strumento principe utilizzato dalla mente occidentale per effettuare ogni tipo di valutazione; voglio adesso giocare il carico da dieci.

Non intendo tediarti con pesanti disquisizioni matematiche, impresa che peraltro non sarei in grado di portare avanti in modo rigoroso, quindi rimarrò sul piano metaforico: supponiamo che tu sia invitato ad una festa organizzata da un amico, il quale ti ha informato che saranno presenti sei uomini e quattro donne, tu e lui compresi.

Da questa informazione iniziale puoi dedurne altre:

  • in totale sarete in dieci
  • i maschi saranno meno delle femmine
  • non è vero che le femmine saranno più dei maschi
  • non sarà possibile effettuare balli di coppia senza lasciar fuori qualche maschio
  • ecc.

Ovviamente le deduzioni hanno valore fintanto che la proposizione iniziale rimane vera: assumendo che il tuo amico sia affidabile, ti senti di poter mettere tranquillamente la mano sul fuoco circa la validità delle tue deduzioni: è un po’ come se tutte quelle informazioni fossero già implicitamente presenti nella prima.

Ebbene, tutta la matematica ragiona così: esistono poche informazioni iniziali, assunte per vere data la loro ovvietà (ma già qui si potrebbe discutere), e a partire da queste si costruisce l’enorme impianto teorico che poi ci viene freddamente propinato sui banchi di scuola.

Si parte dunque da un limitato insieme di enunciati (“saranno presenti sei uomini e quattro donne”), su questi si applicano delle regole per derivarne altri (“i maschi saranno meno delle femmine”), e poi si usano gli strumenti della logica per capire se sono veri o falsi.

Detto in altri termini, a partire da un insieme di affermazioni iniziali (e una serie di regole combinatorie) puoi derivarne un insieme più grande; tutte saranno valide dal punto di vista lessicale, ma solo alcune saranno vere (ad esempio, “le femmine saranno più dei maschi” è valida dal punto di vista lessicale, ma non vera in base all’assunto di partenza).

I matematici fino ai primi del novecento avevano un obiettivo ambizioso e, visto col senno di poi, presuntuoso: fissare un numero di affermazioni iniziali ritenute vere senza bisogno di dimostrazione perché ovvie (assiomi) e su queste costruire tutto l’impianto teorico della matematica; il capofila di questa missione era il tedesco David Hilbert.

Ma ecco improvvisa la doccia fredda, come un fulmine a ciel sereno; nel 1929 un altro matematico (l’austriaco Kurt Gödel, il mio mito) se ne esce fuori col suo teorema di incompletezza che sancisce in modo definitivo: non è proprio il caso di sbattersi ulteriormente nell’impresa, perché è logicamente impossibile!

Curioso vero? I limiti della logica dimostrati usando la logica stessa.

Insomma, Gödel dimostra che non è possibile, nemmeno in linea di principio, stabilire un elenco di affermazioni iniziali dalle quali poi si possano dedurre la verità o falsità di tutte le altre: esisterà sempre un’affermazione che sappiamo essere vera ma senza poterlo dimostrare!

Come facciamo allora a sapere che è vera? Perché usiamo informazioni aggiuntive che non appartengono all’elenco di partenza, e quindi “vediamo” cose che il sistema di affermazioni e deduzioni non “vede”; noi osserviamo la questione “dal di fuori”: ecco i vantaggi dell’essere distaccati.

Beh, dirai, ma allora è semplice: basta aggiungere questa affermazione mancante all’elenco, ed ecco che tutto va a posto…

Eh no, controbatte l’amico Kurt: è sempre possibile trovare un’altra affermazione, sintatticamente valida, di cui non si riesce a dimostrare la verità restando entro i limiti del sistema di assiomi, ma che noi sappiamo essere vera.

Non so se mi hai seguito fino in fondo, ma la portata di tutto questo è eccezionale!

Intanto dimostra che la nostra intelligenza va oltre la logica, perché riesce a vedere realtà non raggiungibili da una fredda sequenza di deduzioni; in secondo luogo ci tranquillizza su catastrofici scenari futuri nei quali i computer prendono il sopravvento: finché si baseranno su ferree procedure booleane rimarranno dei meri, stupidi servitori.

Ma soprattutto evidenzia che l’essere umano è dotato di un dono, la creatività, che va oltre ogni logica (per l’appunto!).

Ciò che più mi fa riflettere su tutto questo è il modo in cui Gödel è riuscito a dimostrare il suo teorema; non ho le conoscenze né le capacità per spiegartelo in modo rigoroso, ma ha a che fare con l’autoreferenzialità: è riuscito a trovare, usando le regole del sistema, un’affermazione che parla di sé stessa (alla guisa della famosa citazione di Parmenide “questa frase è falsa”).

Questa situazione circolare ha mandato in tilt il sistema dimostrandone la debolezza, un po’ come un programma per computer che entra in loop bloccandosi; eppure, per arrivare a dimostrare questo, noi esseri umani siamo in qualche modo in grado di aggirare queste limitazioni… e mi piace pensare che è proprio in questa sorta di capacità di essere autoreferenziali che risiede la nostra potenza!

L’auto coscienza, l’auto osservazione, la consapevolezza di sé è lo strumento per mandare in tilt gli auto… matismi (!) e prendere finalmente il controllo della nostra vita, affrancandoci dalla schiavitù dei programmi mentali che ci hanno installato nel tempo attraverso l’educazione.

Temi forse che questo ti possa condurre alla pazzia? Il rischio è concreto, finché rimani aggrappato alle certezze della logica…

Pensiero analitico e scacchi


I computer moderni hanno raggiunto livelli di sofisticazione tali da poterci quasi illudere di surclassare il cervello umano; in alcuni articoli precedenti ho trattato, se pur di sfuggita, l’argomento dell’intelligenza, ed in particolare di come esistano diversi livelli di elaborazione del pensiero.

Voglio ora prendere spunto dai programmi di computer che giocano a scacchi per presentarti un divertente caso in cui il pensiero analitico, così come lo intendiamo comunemente, si rivela insufficiente. Se tu dovessi creare un programma del genere, che strada seguiresti? Come troveresti una regola automatica per stabilire la prossima mossa?

Ora ti dico quale sarebbe il mio approccio.

Primo: trovare un criterio per assegnare un punteggio all’attuale disposizione dei pezzi, uno per il bianco e uno per il nero; complicato in pratica forse, ma facile in linea di principio: un giocatore di scacchi di livello medio non avrebbe grosse difficoltà.

Secondo: simulare una prima mossa, e ricalcolare i punteggi; confrontandoli con i precedenti, possiamo avere un’idea della bontà di quella mossa, ad un livello di profondità uno.

Terzo: poiché un tale grado di analisi è un po’ pochino, ci addentriamo ulteriormente nei meandri delle possibilità, simulando una contromossa dell’avversario; anche qui calcoliamo i nuovi punteggi. Possiamo scendere a piacere nei livelli di profondità, applicando ricorsivamente il criterio di valutazione esposto, arrivando ad esempio a calcolare un migliaio, o un milione, di mosse; ovviamente, dopo ogni bivio si creano altri bivi, venendosi a delineare una sorta di albero delle mosse possibili. I limiti di questo approccio sono rappresentati solo dalle capacità di calcolo dell’elaboratore, che agli standard attuali possiamo ritenere molto elevate: i computer sono velocissimi ad eseguire questo tipo di operazioni, enormemente più veloci del cervello umano.

Quarto: ripetiamo questo processo per tutte le mosse possibili, attribuendo ad ognuna un punteggio; quindi, eseguiamo quella dal punteggio più elevato.

Ecco fatto, il nuovo programma è pronto a sfidare i migliori campioni del mondo. Abbiamo appena usato al meglio le nostre capacità di pensiero analitico, prestandole al computer ed istruendolo per usare queste semplici regole.

Ora ti mostro un caso simulato che è stato in passato presentato a Deep Thought, l’allora migliore programma di scacchi. La mossa spetta al bianco.

stilldiagram

Ad un occhio umano risulta subito evidente la schiacciante superiorità del nero, il quale, tuttavia, è bloccato dai propri stessi pezzi. Sai cosa ha fatto il computer in quella situazione? Ha mangiato la torre col pedone, liberando la via ai pezzi dell’avversario!

Evidentemente, per quanto in profondo si sia addentrato nell’analisi delle possibilità, non è stato in grado di capire che l’unica scappatoia era quella di lasciare i pedoni dove stavano, e muovere ripetutamente il re fino ad ottenere la patta. Ma questo implica comprensione della situazione, mentre avere un elenco di regole da applicare ciecamente non significa comprendere.

Ed il programma che abbiamo appena creato? Anche applicando all’infinito la sua bella procedura, non arriverà mai ad individuare la giusta mossa.

Ti è mai capitato di non riuscire a districarti in un problema, di ritrovarti sempre al punto di partenza con le stesse soluzioni evidentemente non adeguate? Probabilmente sei finito nella trappola del pensiero analitico, che ti vincola in binari predefiniti precludendoti lo scatto di comprensione.

E’ proprio in queste situazioni che si rivela più che mai utile uscire dal solco, ricordandoci che siamo esseri umani.

Riferimenti bibliografici:

Roger Penrose – Ombre della mente. Alla ricerca della coscienza