Archivio mensile:agosto 2014

Il punto fermo


Sono appena tornato da un giro in bici, è il momento di un po’ di stretching; in posizione eretta, piego la gamba destra e afferro il piede dietro la schiena con entrambe le mani. Sono un po’ affaticato, ho qualche difficoltà a stare in equilibrio, poi ricordo il suggerimento che qualcuno mi ha dato in passato: fissa un punto fermo di fronte a te e ancorati ad esso con lo sguardo.

Funziona! L’equilibrio migliora, riesco a stare nella posizione per almeno i 30 secondi canonici dell’allungamento, ma potrei benissimo andare oltre. Cambio gamba e applico la stessa tecnica, funziona anche con la sinistra.

Nel fare questo rifletto: è ovvio, il cervello per mandare gli impulsi ai muscoli e contrastare la forza di gravità ha bisogno di indicazioni affidabili; ogni minimo e impercettibile scostamento dal punto di riferimento è sufficiente ad inviare le correzioni della posizione. Se però il riferimento non è fisso, i segnali al cervello non sono coerenti ed esso fatica ad organizzare le indicazioni da inviare ai muscoli, perché gli si cambiano in continuazione le carte in tavola.

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Poi mi accorgo che questo principio ha validità generale: anche nella vita abbiamo bisogno di punti di riferimento, se vogliamo condurla in modo equilibrato. Se questi cambiano in continuazione, noi ci adeguiamo ad essi in modo scoordinato e produciamo una marmellata di comportamenti privi di filo conduttore.

Senza riferimenti fissi ogni nostra scelta, la nostra morale, la stessa distinzione fra bene e male, perdono di significato. E allora ho capito che forse è il caso di provare ad individuarlo, questo punto fermo, per gettare finalmente l’ancora ed abbandonare questa navigazione a vista.

Se sei nella mia stessa situazione, vuoi provarci con me?

Mi considerano, ergo sum…


Voglio qui riassumere e sistematizzare un po’ di spunti che ho raccolto negli ultimi tempi in tema pedagogico.

Questo articolo ha due chiavi di lettura:

  • da genitore, come indicazione per evitare alcuni errori che invece io ho fatto a più riprese e sui quali sto attualmente lavorando;
  • da figlio, per capire il perché di certi tuoi atteggiamenti nei confronti della vita, posto che anche tu potresti essere vittima degli stessi errori. Io ho la certezza di esserlo.

Partiamo da una considerazione: cosa ti fa capire che esisti? Detto diversamente: quali sono le informazioni che ti permettono di pensare a te stesso come persona, come individuo?

Poiché l’uomo è un animale sociale, la stragrande maggioranza di questo patrimonio informativo è costituito da stimoli provenienti da altri esseri umani; nell’infanzia in particolare da genitori ed educatori. Di fatto, ti rendi conto di esistere quando ricevi dei feedback da qualcuno. Non solo, dalla tipologia di questi feedback capisci anche che genere di persona sei.

Immagina ora un bambino che riceva solo feedback di tipo negativo: questo è sbagliato, così non si fa, vieni via da lì, stai attento, adesso basta, finiscila, eccetera eccetera; che immagine di sé pensi possa costruire? Quale autostima svilupperà? Quale sarà la sua attitudine ad affrontare le difficoltà della vita?

La tendenza del genitore è spesso quella di intervenire a correzione di comportamenti che non vanno, piuttosto che a corroborare comportamenti virtuosi; se il bambino gioca a palla in un prato non viene considerato granché, se si sposta a fare l’equilibrista su un muretto viene ripreso con vigore. Alla fine si crea un meccanismo che va a filtrare i soli feedback di tipo negativo, posto che quelli di tipo positivo sono ritenuti superflui.

Piano piano si andrà a consolidare la tendenza a costruire un’immagine di sé distorta, sbilanciata a favore del giudizio negativo di sé: ‘tutto quello che faccio è sbagliato!” e quindi: ‘IO sono sbagliato’.

Capisci come, date queste premesse, la tua attitudine ad affrontare imprese ardimentose possa essere bassa? Bada bene, ‘ardimentose’ a giudizio tuo, probabilmente ‘ordinarie’ ad un giudizio obiettivo.

L’educazione tende, in totale buona fede, a soffocare le nostre potenzialità, piuttosto che ad incoraggiarle. Ma c’è di peggio.

educazione-bambino

Al bambino piace l’idea di esistere come individuo, ogni conferma della sua esistenza è gratificante. E siccome esiste quando riceve l’attenzione in particolare di mamma e papà, farà qualsiasi cosa gli permetta di ricevere questa attenzione.

Che succede quindi se mamma e papà lo considerano solo quando fa qualcosa che non va? Farà proprio quella cosa, ovvio!

Io so che i capricci per mangiare non si fanno, però se mangio tutto da bravo bambino la mamma non mi considera granché, mentre se mi lamento e dico che il pranzo non mi piace mi regala un sacco di attenzioni; cosa pensi che farò?

Qui molti genitori avranno da ridire: non è vero, quando mio figlio si comporta bene glielo faccio sempre notare. Certo. Ma vuoi per un attimo paragonare la carica di energia che metti nell’elargire un ‘bravo’ con quella che ti permette di fiondarti sul figlio che sta a tuo avviso per cascare dai due metri del muretto?

Dedica qualche tempo ad osservare queste dinamiche, ne vale la pena.

Cosa succede poi se il figlio cade e, preso dallo spavento, si mette a piangere? Forse in prima battuta lo sgridi, più probabilmente lo prendi in braccio e lo consoli, in ogni caso gli dedichi tutta la tua persona, anche se in definitiva non si è fatto nulla.

Adesso proietta quel figlio nell’età adulta: la caduta dal muretto si traduce in ‘licenziamento’. Pensi che il bambino si rialzerà per cercare una nuova occupazione, oppure si metterà a piangere andando a cercare la mamma dai sindacati?