Archivio mensile:febbraio 2018

Sally: quello che non…


Credo che imboccare un percorso di crescita e sviluppo personale finalizzato a vivere pienamente la propria vita significhi innanzitutto abbandonare i nostri preconcetti su chi pensiamo di essere, o su chi pensiamo di dover sembrare per venire accettati dalla società.

Per farlo le chiacchiere non servono a nulla, bisogna agire; compiere azioni che smantellino le nostre maschere, di fronte al mondo e di fronte a noi stessi, correndo talvolta il rischio di essere presi per sciocchi se non addirittura pazzi, come accadde al Moscarda di pirandelliana memoria.

Si tratta semplicemente di scegliere fra vivere e fingere.

Credo, nel mio piccolo, di avere iniziato a percorrere questa strada, e questo articolo vuole rappresentare un altro passettino del lungo cammino che ho davanti.

Devi sapere che a me piace molto cantare, oltre che suonare la chitarra; fino a poco tempo fa l’ho sempre fatto per me, nell’ambiente protetto delle quattro mura domestiche; per paura del giudizio altrui, fondamentalmente.

Poi mi sono detto: ma se questo ti dà piacere, a prescindere dal risultato della performance, perché non farlo liberamente anche in pubblico? Perché non condividere col mondo questo aspetto di te?

Se sei timido come me allora saprai che, pur sembrando una cosa semplice, in realtà non lo è affatto… e infatti per me non lo è stata; ci sono riuscito facendo leva su un’altra delle mie debolezze: l’egocentrismo. Ed ecco che mi sono esibito nei primi karaoke: non saprei dire con che risultati esterni, ma sono certo che quelli interni ci sono stati. Perché ho liberato una parte di me che era imprigionata.

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Sotto questo punto di vista, potrò dire di essere veramente maturo quando riuscirò ad esibirmi per le strade cittadine, magari con un cappello per le offerte di chi avrà provato qualche emozione grazie a me (sperando che non si tratti di pena); ma per arrivare a questo punto la strada è ancora lunga.

Ti domandi il perché di un obiettivo tanto eccentrico? Perché sarebbe un modo per abbandonare l’attaccamento all’immagine che ho di me e che sto ostentando al mondo. Che direbbero quelli che mi conoscono? Che sono caduto in disgrazia? Che sono patetico? Che sono impazzito? Solo riuscendo ad essere indifferente a tutto questo potrei veramente dire di avere raggiunto un distacco sostanziale. In fondo, a ben pensarci, che reale differenza passa fra il cantare in casa propria o per i vicoli di Genova?

Ma andiamo per gradi. Per ora, un obiettivo sicuramente più abbordabile è quello di condividere le stonature mie e della mia chitarra col pubblico della rete. Ed ecco il motivo di questo articolo, in calce al quale troverai due fra i più cliccati video di YouTube. Ti confesso che rivedermi e riascoltarmi non è per nulla piacevole, perché sono il più spietato giudice di me stesso: ma è soprattutto quel parassita che devo far fuori.

Le canzoni che ho scelto sono fra le mie preferite, ed a mio avviso molto in tema con questo blog; al di là di questo mio giochetto, ti prego di ascoltarne le versioni originali, perché i loro testi sono molto profondi.

Chiudo con un estratto di uno di questi, la canzone Sally di Vasco Rossi.

Forse alla fine di questa triste storia
qualcuno troverà il coraggio
per affrontare i sensi di colpa
e cancellarli da questo viaggio
per vivere davvero ogni momento
con ogni suo turbamento
e come se fosse l’ultimo.

Questo mio sforzo lo dedico a te, Sally, con l’augurio che anche tu riesca a trovare la forza di uscire dal solco. Perché l’importante è essere veri, non perfetti.

Spleen


La giornata è piovosa e uggiosa; le cose da fare, che hai lì davanti a te in minacciosa attesa, ti sembrano problemi enormi, scogli insormontabili; peraltro nulla sembra valer la pena di esser fatta. O forse non hai proprio alcunché da fare, non hai preoccupazioni, eppure ti senti triste, la malinconia permea ogni tuo pensiero.

E allora combatti, cerchi di reagire… perché in fondo, eccheccazzo, non c’è proprio nulla che non vada, e questo tuo stato d’animo decisamente non ti va giù; perché sottrae energia, ti impedisce di godere appieno quanto di bello ti circonda. Hai decisamente la sensazione di buttare al vento la giornata, e maledici ogni volta che ti trovi in questa situazione senza motivo.

Poi, improvvisamente, ti arrendi: ti accorgi che non vale la pena di lottare contro te stesso. E allora metti quella canzone triste che ami tanto, e ti abbandoni; ascolti la malinconia che arriva lenta ma inesorabile fino a raggiungere ogni tua cellula, la accogli indifeso e la lasci fare, senza opporre resistenza.

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Qualche lacrima inizia a fare capolino fra le ciglia, seguita da un’altra, e poi altre ancora, come acqua che ha aperto un varco fra le mura della diga.

Dura una decina di minuti, forse un quarto d’ora; osservi con meraviglia la tristezza che ha finalmente sconfitto quella mente che cercava invano di soffocarla, e quasi la smorfia che il pianto disegna sul tuo viso si tramuta in sorriso; e a questo punto, finalmente, capisci.

Capisci che non c’era alcun problema da risolvere, ma questo già lo avevi intuito; capisci soprattutto che dentro di te c’era solo un bambino che voleva essere ascoltato, compreso, coccolato. Un bambino a cui non importava nulla di sapere che tutto va bene, e che non c’è ragione di esser tristi: lui voleva soltanto piangere fra le braccia della mamma, per ricevere le sue carezze e la sua comprensione.

E adesso che lo hai accontentato, adesso che hai finalmente deciso di ascoltare ed accogliere senza giudizio il fanciullo che è nascosto in te, solo ora il pianto si placa, e tu ritorni alla vita con rinnovata energia; perché ora, cascasse il mondo, non può davvero succedere nulla che possa oscurare anche solo per un istante la tua gioia di essere vivo!

 

Un sano egoismo


L’educazione ci insegna che è bene essere altruisti. L’istinto di sopravvivenza ci spinge verso l’egoismo. Il giusto sta nel mezzo. Bene, ma che bella ricetta! Il problema è che si tratta di un ragionamento piuttosto superficiale, intriso di moralismi e poco aderente a ciò che ciascuno, nel proprio intimo, sente.

Perché diciamocelo, alla fine di un serio percorso altruistico arrivi al punto in cui vorresti prendere le teste di tutti quelli che ti circondano, metterle nel sacchetto della tombola e shakerarle per bene.

Il famoso economista Adam Smith era fautore del principio della mano invisibile, secondo il quale ogni sistema economico deve essere lasciato a sé stesso, ed ogni operatore può agire al suo interno spinto unicamente dal proprio interesse: ciascuno per sé e Dio per tutti; questo garantirebbe il raggiungimento spontaneo di un punto di equilibrio che si stabilizza su una situazione ottimale per tutti.

Peccato che i presupposti di questa teoria si basino sulla libera circolazione dei fattori produttivi (capitale e lavoro) e soprattutto delle informazioni: tutto questo nella pratica è utopistico, e la realtà dei fatti ci mette di fronte ad enormi disparità nella distribuzione del reddito e del benessere. Teoria interessante in linea di principio, ma non applicabile nel quotidiano.

Esistono d’altra parte punti di vista che affermano che il vero altruismo non esiste, in quanto ogni forma di aiuto verso il prossimo nasconderebbe in realtà un qualche tornaconto, anche solo di tipo morale: per esempio il rafforzamento dell’autostima in quanto persona buona, o l’appagamento dell’esigenza di sentirsi utili, di avere uno scopo nella vita, o semplicemente di non sentirsi divorato dai sensi di colpa. Queste forme di egoismo mascherate, in quanto tali, sarebbero di gran lunga peggiori, perché subdole e nascoste.

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Ma fin qui stiamo usando il metro del giudizio: cos’è bene? Cos’è male? A mio avviso questo registro non porta da nessuna parte; proviamo ad essere pratici e ad applicare  il buon senso.

Una verità a mio avviso incontrovertibile è che se non stiamo bene noi per primi, non possiamo essere in grado di aiutare gli altri. Le stesse procedure di emergenza lo suggeriscono: per prima cosa mettere in salvo sé stessi, quindi adoperarsi per gli altri.

A questo punto l’educazione religiosa che hai ricevuto inizierà a parlare attraverso di te, prorompendo con un: ma in base a questo principio ognuno può fare ciò che gli pare, anche rubare o commettere altri delitti, se questo lo fa stare bene. Bisognerà pur dare delle regole, altrimenti ci ritroviamo nel Far West!

Ma le regole ci riportano ad una morale esterna, condivisa quanto vuoi, ma pur sempre arbitraria e non necessariamente in linea con quella che è la vera essenza di ciascuno. Il rischio è quello di un’invasione della sfera privata dell’individuo, riempiendogli la testa di dogmi e precetti spesso obsoleti e talvolta assurdi. Quello che sta accadendo nella società odierna.

Come conciliare quest’apparente paradosso, dunque?

Io sono senza dubbio un fautore del sano egoismo: non ho la presunzione di sapere cosa è giusto per un altro individuo, tendenzialmente cerco di lasciarlo libero di fare ciò che ritiene più opportuno, e non ammetto che mi si venga a dire ciò che dovrei o non dovrei fare.

E di solito non rubo. Cosa me lo impedisce? Dopotutto mi procurerebbe del benessere.

E qui entra in gioco un fattore misconosciuto nella cultura occidentale ma ben noto in quella orientale: yin e yang, la complementarietà degli opposti, l’unitarietà del tutto.

Come ho già sostenuto in questo articolo, la pretesa separazione fra noi e resto del mondo è illusoria, perché tutto è uno! Il sistema universo non è scindibile in una lista di componenti fra loro separate, perché è olistico, come ogni sistema che si rispetti. La separazione che vediamo deriva da esigenze pratiche della mente, ma non corrisponde ad alcunché di reale; è un modello di comodo.

Lo so, questo punta di vista proprio non ti va giù… ma a prescindere che tu sia d’accordo o meno, pensa a dove potrebbe condurre se lo si accettasse: se tutto è uno, che senso ha parlare di altruismo ed egoismo? Non avrebbe alcuna utilità infliggere un torto arbitrario a qualcuno, perché lo infliggerei a me stesso! Pensa alla potenza di questo argomento, e quanti nodi è in grado di sciogliere.

Ha senso farti un taglio ad un braccio? Beh in linea di principio no… ma se applico una piccola incisione per far fuoriuscire un corpo estraneo, allora sì. E se in luogo del braccio, mettiamo un altro individuo, ecco che in certi casi può aver senso andare contro la cosiddetta morale, e procurargli un apparente danno in nome del proprio benessere (ehi tu, moralista dal posto fisso, lo sai che lo stai sottraendo ad un povero disoccupato vero? Saresti dunque disposto a cederglielo, in virtù dei tuoi sani principi?)

Mi dirai che questa visione è arbitraria e può essere facilmente strumentalizzata per fare ciò che si vuole; vero, ma resta il fatto che le tue azioni avranno un risultato, indipendentemente da come riesci a giustificarle; e che se tutto è uno, questo risultato riguarderà inevitabilmente pure te.

Le leggi degli uomini si possono eludere, ma quelle di natura sono di ben altro tipo.