Il segreto non è prendersi cura delle farfalle, ma prendersi cura del giardino, affinché le farfalle vengano da te.
Mário Quintana
Io invece ho commesso l’errore di pensare di dovermi prendere cura delle piante del mio orto, sbagliando obiettivo.
Non sono le piante che vanno curate, ma il terreno. Le piante radicate in un terreno fertile e umido non hanno bisogno di aiuto, se la cavano benissimo da sole.
Lo stesso vale per le persone: non hanno bisogno del mio aiuto. Al più, posso offrire loro il terreno fertile di una relazione genuina.
Sempre che desiderino radicarsi in esso.
O che lo desideri io, in fondo ci sono anche piante infestanti da cui difendersi.
Secondo il contrattualismo, concezione filosofico-politica per la quale lo stato nasce da un contratto fra singoli individui, questi convengono di uscire dallo stato di natura – dove sono eguali e liberi, ma privi di garanzie – e di formare una società civile sottomettendosi volontariamente a un potere sovrano.
Nascono così le collettività organizzate, le leggi, le regole, le mansioni, i ruoli, il tutto all’insegna di un calcolo di consapevole convenienza: rinuncio alla mia indipendenza per non avere problemi. Detta così stimola provocatoriamente in me l’associazione col concetto di pagare il pizzo, ma queste sono pure interpretazioni personali.
Il dato di fatto è che questo contratto ha senso fintanto che c’è un vantaggio, altrimenti ne vengono meno i presupposti; quanto più la società inizia ad essere vessatoria, a limitare oltremodo la capacità di autodeterminazione dell’individuo, tanto maggiore dev’essere la contropartita. Se si perde l’equità dello scambio, il contratto perde di significato.
Il problema è che questo stato di cose è insidioso: quanto più mi abbandono al comfort della calda ala della chioccia, tanto più perdo la capacità di cavarmela da solo. Un uomo delle caverne non avrebbe avuto grossi problemi a rimanere mesi da solo nel bosco, io non sopravvivrei una settimana. L’altra insidia si nasconde nel fatto di aver dimenticato che il mio vero stato è quello di natura, e vivo in uno stato sociale per (quella che dovrebbe essere una) libera scelta; in realtà fin dalla nascita ci viene detto che siamo cittadini, e che non può essere diversamente. E noi ci crediamo.
Alla luce di queste premesse, il cammino che sento il bisogno di intraprendere è più spirituale che materiale; non occorre che diventi Rambo, sono sufficienti pochi, piccoli passi nella direzione dell’autosufficienza: avere un orto, prendere acqua alla fonte, saper riconoscere le erbe spontanee, imparare a costruire con materiale di recupero invece che comprare, usare la bicicletta invece dell’automobile.
Gesti che non cambieranno il mondo la fuori, né le mie possibilità concrete di sopravvivere in autonomia, ma cambieranno profondamente me! Ogni mia cellula saprà con crescente certezza che, qualunque cosa accada, troverò il modo di cavarmela, e da questa certezza nascerà la mia serenità, non dal fatto che godo di una qualche forma di protezione; non ha senso che mi organizzi esternamente per prepararmi, ora, a catastrofici scenari futuri di cui non posso prevedere i contorni, se non per sentito dire; l’unica cosa veramente sensata che posso fare è preparare me, spiritualmente, interiormente, all’idea che questo Stato è destinato alla dissoluzione, perché è diventato uno strumento di oppressione invece che di garanzia. E forse lo è diventato proprio perché è ora che io cresca, che prenda consapevolezza.
E’ un po’ come scoprire che i nostri genitori non sono quei miti che abbiamo sempre immaginato: hanno le loro debolezze, commettono i loro errori, talvolta sono dei carnefici da cui proteggersi e, comunque, prima o poi moriranno. Lo so, fa male. Ma la crescita spirituale è anche questo.
Addio mamma chioccia, grazie per tutto quello che hai fatto per me finora, non ho più bisogno di te.
Ah, dimenticavo: rivoglio indietro quell’abbondate sovrappiù che mi hai portato (e mi stai portando) via ingiustamente, e me lo riprenderò senza sensi di colpa quando ne avrò l’occasione, io non ti devo più nulla.
Le giornate sul pianeta Hydor duravano trenta delle nostre ore, mentre l’anno corrispondeva a ben cinquemila dei nostri.
L’atmosfera era un indistinto e caotico brulicare di molecole di acqua allo stato puro; i potenti raggi della stella Zoe garantivano energia in abbondanza per mantenere quella situazione di vaporosa confusione anche durante la notte.
L’asse di rotazione non era inclinato rispetto al piano di rivoluzione, pertanto il dì e la notte avevano sempre la stessa durata. L’orbita del pianeta era invece fortemente eccentrica, e per questo la sua distanza dalla propria stella variava enormemente nel tempo.
La frenesia caotica dell’atmosfera era solo apparente, perché le radiazioni elettromagnetiche erano tali da infondere alle molecole uno stato di elevata coerenza vibrazionale a livello quantistico; tale coerenza poteva a tutti gli effetti essere considerata il substrato connettivo della coscienza del pianeta, mentre le brulicanti molecole ne erano il supporto materiale, i singoli neuroni.
Dedicata a lei, che da sempre mi protegge e mi dona gioia di vivere.
Perché lei è Gaia.
Re La Do Sol
Re
Il sole che accende la brina d’inverno
La
la nebbia che sfuma i contorni del giorno
Do
la luna che imbianca le fronde del cerro
sol
le nuvole in alto proteggono il mondo
Re
I grilli diffondono l’aura del prato
La
le rondini danzano il viale alberato
Do
la pioggia punteggia la pietra rovente
sol
la neve che avvolge in un manto silente
Re
cicale vibranti nell’afa d’estate
La
un lampo che squarcia le nubi agitate
Do
il picchio che ritma il tempo del bosco
Sol
il rosa del pesco...
Re
E allora stringiti a me (guarda quante fragole)
La
cammina un poco con me (sotto un mare di lucciole)
Mim
il viaggio è molto più ricco
Sim
se mi affaccio ai tuoi occhi a contemplarlo con te
Re
E allora stringiti a me (balla sulle nuvole)
La
cammina ancora con me (senza troppe regole)
Mim
gustiamo questa bellezza rimanendo vicini
Sim
senza avere un perché
Fa#m
lasciamo che la vita
Sim
possa ancora sorprenderci per quello che è
Re
Il coro dei lupi sul monte selvaggio
La
il gallo in cortile che ostenta coraggio
Do
nel cielo i ricami del falco in volo
sol
il buffo latrato di un capriolo
Re
Il tasso progetta l’assalto al pollaio
La
l’odore del giallo che scalda il granaio
Do
grugnito sorpreso di un lesto cinghiale
sol
prorompe fra i rovi di mora e lampone
Re
La salvia civetta con il rosmarino
La
lontano risate di allegro bambino
Do
il ghiaccio che piange baciato dal sole
sol
il profumo di un fiore
Re
E allora stringiti a me (come nelle favole)
La
intona un canto con me (un sussurro flebile)
Mim
doniamo ai nostri fratelli la ricchezza che ognuno
Sim
porta dentro di sé
Re
E allora stringiti a me (tutto è così facile)
La
danza i tuoi passi con me (basta un poco di coccole)
Mim
condividiamo il cammino liberando la mente
Sim
da pensieri e cliché
Fa#m
aspettiamo l’aurora
Sim
che rischiari il sentiero e lasci tutto dov’è
Fa#m
e ringraziamo la vita
Sim
magica e perfetta esattamente com’è
Re
Lo scoglio che infrange la furia del mare
La
la stufa che accoglie con il suo tepore
Do
l’abbraccio dei monti dall’aspro crinale
sol
il tappeto di foglie nel rosso autunnale
Re
Dal campo si spande l’odore del fieno
La
spettrale sorpresa dell’arcobaleno
Do
la chioccia rimprovera il vispo pulcino
sol
concerto di rane nel verde acquitrino
Re
Dal riccio tracima l’obesa castagna
La
la brezza frizzante di alta montagna
Do
il vento che canta fra i rami scroscianti
sol
l’amore di Gaia per i suoi abitanti
Re La Do Sol