E così l’ho fatto.
Un gesto sciocco, secondo molti punti di vista. Un gesto inutile, secondo altri. Un gesto temerario, secondo altri ancora.
Ne avevo bisogno, volevo sentire cosa si prova a stare da quella parte, dalla parte di chi viene visto con sospetto, con curiosità, talvolta con derisione, ma spesso, ahimé, non viene visto affatto.
Lo desideravo da mesi, senza mai trovare il coraggio di farlo. Finché sono riuscito a silenziare il giudice interiore, a soffocare ogni valutazione di merito, a chiudere gli occhi e buttarmi.
Ho preso la mia chitarra e gli spartiti, alcune copie del mio libro e sono andato in piazza a suonare, nel tentativo, miseramente fallito, di venderne qualcuna; ma in realtà era solo un pretesto: il vero obiettivo era vincere ogni spinta che vorrebbe preservare una certa immagine di me, smantellare ogni parvenza di accettabilità all’interno di un certo tipo di società.
Una società che ormai non sento più mia. Ammesso che lo sia mai stata. E dell’immagine che voglio tanto difendere, importa forse a qualcuno, all’infuori di me?
Mi hanno sempre affascinato i suonatori o artisti di strada che regalano un briciolo di gioia al passante distratto, che per un breve istante forse cessa di esserlo, distratto. Almeno a me è accaduto: i miei spiccioli trovano sempre calda accoglienza nel cappello di chi dona un pizzico di sé agli sconosciuti.
In piazza ho sentito l’indifferenza e la lontananza, mi è entrata dentro e mi ha fatto male, riportandomi a momenti della fanciullezza ormai lontani ma sempre vivi in me. In fondo non sono mai stato a mio agio in questo mondo, anche se per qualche breve periodo sono stato bravo a raccontarmela e a convincermi di potercela fare.
D’altra parte è scritta nel romanzo, la mia storia passata, presente e futura; realtà e fantasia si mescolano e si intrecciano, fino a non permettere più di distinguere l’una dall’altra. Che voglia di sfogliare voracemente le pagine fino a cadere nel vuoto che si nasconde oltre la parola ‘fine’!
Dopo questa esperienza vedo un pochino meglio le mie dinamiche, in fondo si tratta solo di un rifiuto, un non voler accettare la mia incapacità di guardarmi dentro; o forse è semplice indolenza, ignavia. Perché di sforzi da fare ce ne sono molti, e la zona di comfort è calda e accogliente.
Quella sterilità che avverto nel mondo che mi circonda è solo un invito a modificare la direzione dei miei sforzi, perché là fuori non troverò mai ciò che io stesso ho sepolto dentro di me.
Quando questo sentire sarà sceso fin giù, nella pancia, anche le cose là fuori inizieranno finalmente a cambiare.
D’altra parte il frutto cade quando è maturo.