La verità si nasconde nelle pieghe della contraddizione.
I matematici sono terrorizzati dalle contraddizioni, i mistici orientali affascinati.
Dal punto di vista della logica, lo stato di verità di una contraddizione permette di dimostrare qualunque cosa.
Ad esempio, partiamo dalla verità dell’assunto contraddittorio:
A: Io sono Piero E io non sono Piero.
Da esso discende la verità dei due assunti più semplici:
B: Io sono Piero
C: Io non sono Piero
Possiamo usare l’assunto B in combinazione con uno arbitrario per crearne un terzo altrettanto vero:
D: Io sono Piero O io sono un canguro
Quindi: o sono Piero o sono un canguro; siccome per la verità di C io NON sono Piero, allora devo essere un canguro.
Ma seguendo questo ragionamento potrei anche essere una carriola, un ruscello, un grattacielo.
La mente viene destabilizzata dalla presenza di una contraddizione, ed è proprio per questo che i mistici orientali ne fanno largo uso, ad esempio nei koan Zen, enigmi assurdi, incoerenti e senza senso aventi lo scopo di scardinare il controllo razionalizzante del pensiero e favorire il processo di consapevolezza.
La contraddizione che produce un insieme vuoto, di conseguenza il nulla e, per complemento, il tutto.
La contraddizione come via per andare oltre il velo di maya.
Cerca di immedesimarti in questa situazione: hai un orto stupendo, con patate in fiore, carote, pomodori rossi rossi pronti da cogliere, peperoncini piccantissimi, proprio come piacciono a te, melanzane tonde e oblunghe, zucchine e insalate di ogni tipo; tutti quelli che passano ne decantano la bellezza e si complimentano con te.
Ti sei calato nella parte? Bene. Un brutto giorno una grandinata scarica chicchi grandi come palle da golf sul campo e ti distrugge il raccolto; cerca di immaginare i sentimenti che provi: rabbia, frustrazione, tristezza, disperazione. Se sei credente, paradossalmente te la prenderai con Dio, in modo più o meno velato. Se non lo sei, invierai imprecazioni ad entità virtuali che sai non esistere giusto per sfogare la rabbia.
Adesso cambiamo finale: sempre il bell’orto di prima, ma questa volta nottetempo cogli sul fatto le capre del vicino che hanno appena terminato di distruggere il raccolto, compiendo un lavoro degno di una grandinata. Che sentimenti provi adesso? Gli stessi di prima? I tuoi istinti omicidi rimangono impassibili o sono in qualche modo solleticati? Cosa cambia da una situazione all’altra?
Altro scenario: sei in ritardo per l’ufficio, devi timbrare entro le 9.00 e sai che se non arriverai in tempo dovrai recuperare nel pomeriggio saltando la palestra. Premi sull’acceleratore, forse prendendo tutti i semafori verdi riuscirai ad arrivare in orario, ammesso che tutto fili liscio come l’olio.
Giri la curva e… una frana blocca la strada! Altro che filare liscio, devi tornare indietro e fare una strada alternativa, il ritardo è di almeno un’ora. Va beh, prenderai permesso. Era destino!
Cambiamo nuovamente finale: giri la curva e… un posto di blocco della polizia! Patente e carta di circolazione prego! E qui ti incazzi! Possibile che questi ce l’abbiano proprio con me, perché non lasciano in pace chi lavora? Perché invece di stare qui a perdere tempo e a farlo perdere alla gente per bene non acciuffano i criminali?
Non vado avanti a descrivere le espressioni colorite, so che hai abbastanza fantasia.
Ma analizziamo un poco le varie situazioni: nel caso dell’orto, per te cosa cambia? Nulla, ti ritrovi comunque con un raccolto mancato. Un agente esterno, un elemento dell’ambiente che ti circonda lo ha rovinato. Perché le emozioni nei due finali sono così diverse? Perché la rabbia nel secondo è maggiore?
Nello scenario due, la frana ti fa ritardare di un’ora, il posto di blocco sì e no dieci minuti. Perché ti arrabbi di più per quest’ultimo? Nuovamente, un agente (davvero!) esterno ha causato il ritardo. Cosa cambia?
Intanto ti chiedo: ti riconosci in questo stato di emozioni? Se non è così e la prendi sempre e comunque con filosofia, questo articolo non ti riguarda.
In caso contrario, voglio stimolarti questa riflessione: non sarà forse la presenza di un responsabile, che magari ce l’ha con noi, a peggiorare la situazione e farci macerare in sentimenti di rabbia e nervosismo? Per chi sta messo peggio, poi, è sempre così: se la prende con Dio, con la sfortuna, a volte con sé stesso, insomma ha bisogno di qualcuno con cui sfogare la propria ira.
Quando invece l’unica cosa sensata da fare è rimboccarsi le maniche e trovare un rimedio. Non cercare un colpevole, ma la soluzione.
Ho già avuto modo di raccontare come le mie galline siano maestre di vita: ebbene, l’altro giorno ne ho avuto l’ennesima conferma; ecco in breve cosa è accaduto.
Dopo che ho aperto la porta del pollaio perché uscissero a razzolare nell’aia, tre di esse si sono prontamente proiettate fuori mentre una quarta, la più distratta, è rimasta a beccheggiare sulla ciotola del mangime; dopo pochi secondi si è però accorta dell’occasione di libertà, avendo visto le colleghe fuori dal recinto, ed ha provato ad unirsi a loro.
Tuttavia, come puoi vedere dal disegno, volendo raggiungere le compagne al di là della griglia, ha cercato di farlo passando per la via diretta, insistendo a proseguire in una direzione che non l’avrebbe portata molto lontano.
La quarta gallina era troppo tesa sull’obiettivo, così tesa da non capire che perseguendolo in un modo così diretto e ossessivo non sarebbe mai stata in grado di raggiungerlo. E più le compagne si allontanavano, più questa si schiacciava contro l’angolo del pollaio e minori possibilità aveva di capire quale fosse la corretta via di fuga.
Se avesse utilizzato la giusta dose di pensiero laterale avrebbe capito che per raggiungere le compagne bisognava prima allontanarsene, così da raggiungere l’uscita che avrebbe poi permesso la successiva ricongiunzione.
E qui scatta l’insegnamento avicolo: quante volte ci troviamo nella stessa posizione? Quanto spesso, per l’affanno di raggiungere un obiettivo a cui teniamo tanto, finiamo in una situazione di stallo e ci troviamo bloccati a pochi passi da quest’ultimo senza riuscire mai a raggiungerlo?
A me è capitato e capita in continuazione: a scuola, sul lavoro, nelle situazioni sentimentali, sempre e ovunque.
Se sei troppo calato nel problema che devi risolvere, finisci col non vederne al soluzione che hai a portata di mano.
Se temi di perdere l’affetto di una persona cara e ti lasci andare ad atteggiamenti possessivi, finisci con l’allontanarla.
Se vuoi dimostrare al tuo superiore quanto sei bravo e ti prodighi in dimostrazioni di bravura, finisci col fare una figura patetica.
Se vuoi essere simpatico ad ogni costo con gli amici, finisci col diventare pesante.
Se vuoi essere un genitore perfetto, produci dei figli frustrati.
Potrei continuare ad oltranza ma, proprio in virtù di quanto vado dicendo, mi allontanerei dall’obiettivo. E allora la cosa giusta è terminare l’articolo, che può ben essere così sintetizzato: nella vita talvolta occorre essere contraddittori, uscire dalla direzione palese, logica e razionale, per seguire le indicazioni del cuore (o, detta in altri termini, le indicazioni dell’emisfero cerebrale destro, che troppo spesso vive relegato in un ruolo da comprimario); solo così avremo qualche possibilità di raggiungere i nostri amici pennuti.
Racconto ora di un evento accaduto in settimana a mia moglie che, recatasi a fare la spesa al supermercato, è stata avvicinata da una giovane donna che le ha chiesto di comprarle qualcosa da mangiare, possibilmente del latte per il figlio, perché si trovava in uno stato di bisogno.
Mia moglie ha dunque comprato un litro di latte in più oltre a quelli che aveva in lista (della marca abc che normalmente compra, un po’ più economica delle altre) e, dopo aver pagato, lo ha portato alla giovane donna che attendeva poco dopo le casse con una busta contenente altri viveri (forse donazione di altri clienti?).
Al momento della consegna la donna ha però rifiutato il latte dicendo che suo figlio consumava solo la marca xyz. Di rimando mia moglie, un po’ spiazzata, ha risposto: ‘Noi invece prendiamo questo perché costa meno” e lo ha rimesso insieme al resto della spesa, tenendolo per sé.
La sera mi ha raccontato questo fatto, dicendomi (a ragione) di come si fosse sentita presa in giro, di come si fosse abusato della sua fiducia, di come questa vicenda potesse andare a discapito di un potenziale futuro ‘vero’ indigente, che forse non avrebbe ricevuto aiuto a causa di un inevitabile aumento di sospettosità.
La riflessione che voglio sottoporre è la seguente: possiamo provare a dare una lettura non convenzionale a questo accadimento? Dopo tutto, il dato oggettivo evidenzia che è stata comunque compiuta una buona azione, e per giunta a costo zero (quel latte poi noi lo abbiamo utilizzato nel naturale ciclo di consumo familiare).
In altri termini: il beneficiario della buona azione deve per forza goderne affinché l’esecutore ‘meriti il paradiso’, o è sufficiente il semplice gesto di mettersi a disposizione? Se la ragazza avesse accettato il latte, e poi a seguito di qualche strana coincidenza questo fosse tornato indietro per altre vie (ad esempio perché la commessa del supermercato richiamava mia moglie dicendo: “Signora, che sbadata, dimenticavo che comprando tre litri di latte questa settimana un quarto è in offerta, passi pure a prenderlo allo scaffale!”), allora si sarebbe intravista una sorta di giustizia divina, ci si sarebbe convinti che le buone azioni prima o poi tornano sempre indietro, insomma ci si sarebbe rallegrati.
Ebbene, in questo caso è accaduto un cortocircuito e la buona azione è tornata indietro all’istante, prima ancora di partire. Non è la stessa cosa? Perché risentirsi? Dove sta la differenza fra le due situazioni, è oggettiva o solo un fatto di percezione?
E da qui possiamo poi passare al caso duale, quello di chi compie una buona azione per suo vantaggio. Un tale atto ipocrita è per molti alquanto deprecabile: il fatto che esista la convenienza fa perder molto alla buona azione, anzi quasi le dipinge attorno una luce maligna. Ma anche qui è opportuno considerare solo i dati oggettivi, non i giudizi di valore: se io faccio bene a qualcuno e nel contempo ne traggo vantaggio, sto incrementando il benessere di due persone. Se lo faccio a mio discapito, probabilmente l’incremento complessivo di benessere è vicino allo zero, in ogni caso inferiore al caso precedente.
E allora? Meglio stare bene in due, oppure devo per forza soffrire per meritare il paradiso?
So che con queste mie considerazioni difficilmente incontrerò la tua approvazione, ma la mia intenzione è quella di provocare uno scossone; se tu fossi d’accordo con me, proseguiremmo allegramente la nostra passeggiata dentro al solco comune, ma allora perché affannarsi a scrivere?…
Ci siamo lasciati mentre giocavi a palla in giardino; bravo, fai bene a giocare anche se sei adulto, il gioco è il modo più efficace per imparare cose nuove.
Adesso però rendiamolo più interessante: invece di lanciare una palla attraverso due porte, proviamo a lanciarne un frammento piccolissimo, addirittura una molecola, attraverso fenditure ridotte delle debite proporzioni (ti ricordo che la molecola è la più piccola parte in cui puoi dividere una sostanza mantenendone inalterate le caratteristiche: una molecola di acqua possiede tutte le proprietà dell’acqua ed è, a tutti gli effetti, acqua; se procedi oltre nella sua scomposizione in atomi, invece, perdi l’identità della sostanza di origine: nella fattispecie ti ritroverai con atomi di ossigeno e idrogeno, molto diversi dall’acqua).
Ora, siccome il concetto di ‘molecola di palla’ è piuttosto indefinito, ti suggerisco di provare l’esperimento seguendo le tracce dei fisici, che lo hanno eseguito usando molecole di fullerene, composte da 60 atomi di carbonio (non so dove si possa comprare del fullerene a buon mercato, lascio a te i dettagli di implementazione).
Le condizioni dell’esperimento sono di fatto le stesse, cambia solo la scala, che adesso è a livello microscopico. Dopo un bel po’ di lanci di queste ‘piccole palline’ ci dovremmo pertanto attendere, nella parete retrostante (che adesso è qualcosa di simile ad una lastra fotografica, in grado di registrare i punti di impatto delle molecole), due strisce più marcate in corrispondenza delle due fenditure.
E invece, sorpresa! Un puntino dopo l’altro, quello che si viene a comporre non è una doppia striscia, ma una serie di strisce di interferenza, come se invece di utilizzare palline avessimo usato onde!
Come dobbiamo interpretare tutto questo? Le particelle a livello microscopico hanno dunque un comportamento ondulatorio, che diventa corpuscolare quando le dimensioni aumentano? Se le cose stanno così, a che scala avverrebbe il cambiamento?
Ma lo sconcerto aumenta se si riflette bene su quello che è successo: noi abbiamo lanciato una molecola alla volta, e ciò è testimoniato chiaramente dal fatto che dall’altra parte appare un singolo puntino per volta; quindi, quando arriva a destinazione, la molecola è chiaramente ‘una pallina’. Però, la sua traiettoria viene decisa come se fosse un’onda: detto in altri termini, sembra che la particella interferisca con sé stessa. Sembra cioè che parta come particella, diventi onda mentre è in viaggio (e non interagisce con alcunché) e si ritrasformi in particella alla prima interazione con qualche altra sostanza (la lastra fotografica).
A questo punto ti potresti chiedere: ma da quale delle due fenditure è passata la molecola-pallina? Quando giocavo felice nel mio giardino la traiettoria era piuttosto evidente, ed era chiaro che era passata da una oppuredall’altra parte. Ebbene, lascia da parte le tue certezze: in questo caso, la risposta è che la pallina è passata da entrambe le fenditure, oppure da nessuna, oppure meglio ancora che la domanda che hai fatto è priva di senso e pertanto non ha risposta!
La verità che ha sconvolto i fisici del primo novecento è proprio questa: finché non effettui una misurazione, la realtà sottostante è indeterminata; ma attenzione: quando dico indeterminata, non intendo in senso blando (la traiettoria esiste, ma io non la conosco), intendo proprio indeterminata: la traiettoria non esiste, e solo la sua misurazione la porta ad esistenza.
A livello microscopico, dunque, non esiste una realtà fatta in un modo o nell’altra indipendentemente dal fatto che la si osservi o meno; l’osservatore contribuisce alla creazione della realtà attraverso il processo di misurazione.
Se tutto questo ti risulta nebuloso, proseguiamo con l’esperimento, non può che peggiorare.
Non sei convinto di quanto dico, e alla fine pretendi una risposta alla domanda ‘da che parte è passata la molecola?’. Quindi, furbo come una faina, piazzi un rilevatore di fullereni, preso in un negozio di cineserie, nei pressi di una delle due fenditure, in modo che ti informi se la pallina è passata di lì, pur lasciandola proseguire indisturbata (questo almeno è quello che credi). Ovviamente viene fuori che nel cinquanta per cento dei casi la molecola passa da una parte, e nel restante cinquanta passa dall’altra (“Visto? lo sapevo!”, dici trionfante).
Certo, ma osserva cosa succede nella lastra fotografica: la figura di interferenza è sparita, adesso è come se non ci fosse più comportamento ondulatorio! Sembra proprio che le particelle ti prendano per i fondelli; siccome volevi conoscere un’informazione circa lo stato corpuscolare della particella, questa ti ha accontentato, ma al prezzo di nasconderti le informazioni di tipo ondulatorio. Essa possiede entrambe le caratteristiche, ma tu sei condannato a conoscerne solo una per volta, non entrambe allo stesso tempo! Fra l’altro ti domandi: ma come faceva la molecola a sapere, quando è partita, che poco dopo la fenditura avrebbe trovato un rilevatore e quindi che doveva assumere aspetto corpuscolare?
Quello che succede, in termini non rigorosi, è questo: la molecola parte dal nostro ‘fucile a fullereni’ ed assume una traiettoria indeterminata, propagandosi come un’onda in tutte le direzioni; finché non incontra nessun’altra particella, l’indeterminazione persiste, ed è come se la molecola esistesse in più posti allo stesso tempo, anche se solo a livello ‘potenziale’; non appena avviene un’interazione significativa con altre particelle (quello che noi chiamiamo ‘misurazione’), l’indeterminazione scompare, e tutti questi diversi stati potenziali sovrapposti (la pallina è qua, là, altrove tutto allo stesso tempo) collassano in un’unico stato (la pallina è là), lo stato che ci è tanto familiare.
Ed il collasso è probabilistico: la pallina apparirà là con una certa probabilità. Più ripetizioni dello stesso esperimento non condurranno a stessi risultati: ecco che quello che la teoria della relatività sembrava averci tolto, il libero arbitrio negato da una realtà predeterminata e bloccata, adesso ci viene restituito a piene mani dalla fisica quantistica, ed in un modo così sconcertante e affascinante al tempo stesso!
Ma la teoria, che a questo punto diventa piuttosto speculativa, ci porta ancor più giù nella tana del Bianconiglio: un possibile modo di interpretare le cose è che esistano infiniti mondi, uno in cui la palla va a destra, uno in cui va un po’ più a sinistra, uno in cui va su, ecc. ecc.; quando effettui la misurazione, ti scindi in tanti te stesso, ed ogni copia di te percepisce una delle possibili traiettorie come reale (mentre in realtà tutte lo sono, e per ognuna esiste una copia di te convinta di essere unica e di aver colto in flagrante la pallina nel suo passaggio, ad esempio, per la fenditura di destra!).
Gli esperimenti che qui ti ho riportato sono reali e fuori discussione, e sono stati eseguiti per la prima volta usando fotoni (l’unità fondamentale di luce), quindi elettroni e, solo da ultimo, molecole quali i fullereni; le spiegazioni del loro perché sono invece più controverse; è indubbio tuttavia che le implicazioni sul nostro modo di percepire il mondo siano notevoli, che si voglia o meno credere alla teoria dei molti mondi. Per ora non andrei oltre, spero comunque di averti lasciato qualche spunto di riflessione e, perché no, la voglia di approfondire la tematica, che per me è estremamente affascinante e coinvolgente.
E le sorprese non finiscono qui: ma ne parleremo in uno dei prossimi articoli.
Immagina di essere in giardino con una palla; davanti a te, ad una ventina di passi, un muro bianco. Calci la palla in modo deciso e questa, seguendo una traiettoria rettilinea, colpisce il muro in un qualche punto. La palla è sporca di fango, per cui lascia un evidente segno nella zona di contatto. Immagina di ripetere più volte l’esperimento (magari prima che arrivi il proprietario del muro): alla fine questo risulterà macchiato in un modo che dipende dal numero e dalla posizione delle collisioni: marcatamente dove è stato colpito più volte, moderatamente altrove.
Adesso complichiamo le cose: mettiamo un altro muro fra te ed il precedente, con una porta aperta; il gioco consiste nel ‘fare goal’, ossia far passare la palla attraverso l’apertura. E’ evidente che a questo punto le collisioni nel muro retrostante andranno a disegnare una figura che riflette la posizione dell’apertura: ci sarà una zona maggiormente segnata e le tracce di fango degraderanno via via che ci si allontana da essa.
Bene. Adesso cambiamo gioco. Sei in riva ad un laghetto; un muro ne delimita il bordo dalla parte opposta a quella in cui ti trovi. Sulla superficie galleggia del materiale fangoso. La giornata non è ventosa, pertanto il lago è in quiete, non vedi una sola increspatura. A questo punto prendi un sasso e lo getti in acqua. Dal punto in cui il sasso si è immerso puoi notare che si dipartono delle onde concentriche, che sollevano e abbassano la superficie dell’acqua, fino a smorzarsi ai bordi del lago. Le onde raggiungono ovviamente anche il muro, lasciandovi tracce di fango in modo più evidente nei punti dove è arrivata la cresta dell’onda. Lanci più sassi nel lago: anche in questo caso si viene a creare una figura nel muro, che dipende dal numero di sassi e dalla posizione in cui questi hanno incontrato l’acqua.
Come prima, introduciamo una complicazione: un muro al centro del lago, che lo separa in due metà comunicanti attraverso la solita apertura. Le onde che generi con i tuoi sassi adesso raggiungeranno il muro retrostante solo dopo essere passate per il varco, che le ‘costringerà’ a colpirlo in modalità più prevedibili: otterrai, come nel caso della palla, una zona centrale maggiormente segnata che degraderà via via che ci si sposta verso la periferia.
Il risultato ottenuto è simile, anche se i fenomeni appartengono a categorie che, almeno a prima vista, sono concettualmente molto distanti.
Dove sta la grossa differenza fra i due fenomeni? Per capirlo, devi pensare di avere non una, ma due aperture nel muro. Cosa succede nel caso della palla? Ebbene, tu deciderai di farla passare ora di qua, ora di là: dall’altra parte si verranno ad evidenziare due zone distinte, individuate dai punti a più frequente contatto.
E nel caso dell’onda? Attenzione: in questo caso succede una cosa completamente diversa, perché la singola onda, che si diparte dal sasso, raggiunge le due aperture del muro intermedio; dall’altra parte si dipartiranno duemovimenti ondosi, che interferiranno l’un l’altro: se l’avvallamento di un’onda si somma alla cresta dell’altra, il risultato è zero: le onde, in quel punto, si annullano a vicenda; viceversa, se due creste si incontrano, il risultato è doppio: si rafforzano a vicenda. Nel muro non troverai pertanto due segni marcati, ma delle strisce di interferenza, la cui struttura è funzione del fatto che i due movimenti ondosi in quel punto si siano reciprocamente rafforzati, annullati o depressi.
Tieni presente che ho descritto il fenomeno con parole mie, in un modo che mi aiuta a capirlo anche se sicuramente non rigoroso dal punto di vista scientifico. Se risultasse chiaro anche a te, preoccupati: potresti avere una struttura cerebrale simile alla mia. Se invece non risultasse poi così chiaro, prova a gettare contemporaneamente due sassi nell’acqua e osserva come si comportano i due treni di onde che si vengono a creare: noterai qualcosa di simile al mio disegno.
A questo punto ti chiederai dove voglio arrivare; forse risulterà più chiaro nel seguito della mia dissertazione, anche se per ora i punti fermi a cui siamo giunti sono: esistono due entità profondamente diverse, le onde e le particelle, e nella nostra visione dualistica del mondo le une escludono le altre; o mi trovo di fronte ad un fenomeno ondoso, e questo ha caratteristiche ben precise, oppure di fronte ad un fenomeno corpuscolare, con tutt’altre regole di funzionamento.
Ma siamo proprio sicuri che la realtà sia questa?
Per il momento credo di averti annoiato a sufficienza, mi fermerei qui. In uno dei prossimi articoli dirò come questi concetti, ora applicati su scala macroscopica, possano riferirsi anche a particelle subatomiche, su scala microscopica: se avrai la pazienza di seguirmi, vedremo che questo ci riserverà parecchie sorprese!
Ti trovi dentro un labirinto. Il muri attorno a te sono alti, imperscrutabili, opprimenti. Riesci a vedere solo un corridoio che termina con una biforcazione: destra o sinistra?
Se ti volti indietro, la situazione non cambia, stessa visuale. Tanto vale andare avanti, prendere una decisione. Andiamo a sinistra.
No, a sinistra non c’è l’uscita, solo una svolta obbligata, questa volta a destra. La sensazione opprimente, claustrofobica, permane. Ti viene ansia, vorresti iniziare a correre per vedere cosa si trova dietro quell’angolo là in fondo. Probabilmente lo fai, inizi a muoverti fra quelle alte mura in modo frenetico, per la fretta di trovare l’uscita e trarti alla svelta da quella situazione di disagio.
Vicolo cieco! Tutto da rifare, bisogna tornare indietro sui propri passi, magari solo fino all’ultimo bivio (qual’era? non ricordi bene, accidenti, avessi ragionato con più calma!) sperando che basti solo un’altra scelta azzeccata prima dell’uscita, anche se, a giudicare da quelle scrostature sul muro là in fondo, hai la sgradevole sensazione di essere già passato da queste parti…
Alla fine trovi l’uscita, ma non senza difficoltà; torni più volte sui tuoi passi, ti trovi più volte nello stesso vicolo cieco, perché nella fretta di risolvere il tuoproblema non hai memorizzato le scelte sbagliate.
Sicuramente, non ti rimane un bel ricordo di questa esperienza.
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Adesso abbiamo una situazione simile, ma questa volta non sei nel labirinto. Devi sempre trovare l’uscita, ma hai una visione aerea della situazione, ti senti perfettamente a tuo agio ed all’altezza del compito. Non solo non provi oppressione, ma trovare la soluzione del problema è per te una sfida coinvolgente, divertente. Tutte le risorse mentali sono a disposizione, non hai fretta di arrivare in fondo, perché tutto sommato finire anzitempo il gioco ti dispiacerebbe.
Ho detto gioco, perché di questo per te si tratta; è divertente analizzare le varie biforcazioni, vedere con distacco i vicoli ciechi da evitare, costruire una mappa mentale del percorso ottimale.
Alla fine trovi l’uscita, sei soddisfatto e carico di energie, che vorresti convogliare nella risoluzione di un nuovo problema, magari un po’ più difficile.
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Non so quante volte hai provato queste sensazioni nella vita quotidiana; a me capita spesso: ovviamente non vivo nel paese dei labirinti, si tratta di pura metafora, ma le emozioni in gioco sono le stesse. A volte mi trovo immerso nei miei problemi, in lavori immensi di cui non vedo la fine, in rompicapo insolubili. Altre volte invece vivo con distacco le situazioni, e proprio per questo sono più lucido e trovo con più facilità la soluzione, ma soprattutto senza ansie e preoccupazioni.
Il distacco: questo è il trucco. Vivere le situazioni come se non ci appartenessero, come se non fossero problemi nostri. Hai notato quanto sia facile risolvere i problemi degli altri, e quanto difficile risolvere i nostri? Non che noi siamo particolarmente sfigati e ci capitino i problemi più difficili: piuttosto, il solo fatto che ci riguardino, e che le conseguenze degli stessi ricadano su di noi, ci mette sotto pressione e ci toglie la calma necessaria per analizzare la situazione con la dovuta lucidità.
Allora, l’esercizio che mi propongo e ti invito a fare per l’anno appena iniziato è proprio questo: eleviamoci al di sopra dei nostri labirinti mentali, distacchiamoci un poco da quella che ci sembra la realtà; non si tratta di una fuga dalla stessa, ma di inquadrarla in una diversa prospettiva: sono convinto che ne trarremo grosso beneficio.
Ci sono 10 categorie di persone: quelle che conoscono la numerazione binaria, e quelle che non la conoscono.
Tu da quale parte ti collochi?
Dolcetto o scherzetto? Sei di destra o di sinistra? Preferisci comandare o essere comandato? Preferisci il dolce o il salato? Meglio le bionde o le brune? Forza, la risposta è semplice: si o no? A chi vuoi più bene tu, papà o mamma?
“Mamma mia che stress, che imbarazzo,
come si fa a non capire che è una domanda del…
deleteria?”
-o-o-
Ho un lucido ricordo che risale all’università, ai (per fortuna) lontani tempi in cui Berlusconi scendeva in campo; ricordo accese discussioni con un collega studente che, ad ogni mia argomentazione contro il Cavaliere, ribatteva dicendo: “Voi invece avete fatto…”, “Voi invece avete detto…”, “E allora voi? …”, “Voi qui…”, Voi là…”.
Quanto mi irritava quel voi: il fatto che io argomentassi contro una categoria mi collocava inequivocabilmente in un’altra. Il mondo si divideva in due: se non stai di qua, per forza devi stare di là. Ed io ribattevo: “non dire voi, io non sono fazioso!”, ma ormai per l’interlocutore ero catalogato, l’etichetta era stata messa, ero un comunista.
Come ho già avuto modo di sottolineare, le suddivisioni in categorie sono comode come base di partenza per un ragionamento, ma non possono avere valore assoluto: l’insieme dei concetti polarizzati da una parola formano una categoria, ma questa è diversa da persona a persona, non possiamo pretendere di attribuire ad essa valore universale.
Allo stesso modo, ma procedendo in senso inverso, come posso pensare di scegliere, fra tutte le parole a disposizione per descrivere un fenomeno, una sola di queste per etichettarne un aspetto, una sola per l’aspetto complementare, e pensare di aver definito correttamente i termini del problema? Due categorie sono davvero tutto ciò che ci serve per capire il mondo, nulla di più?
Ho anche avuto modo di rimarcare come la rigida e immutabile suddivisione fra bene e male sia fuorviante: un pezzo di mondo non è di per sé né bene, né male: dipende dal contesto, o forse è al contempo sia bene sia male, o forse la questione non ha senso e non va posta.
Insomma: quello che ci frega è il dualismo, la logica binaria, quella che fa funzionare così bene i computer ma li rende al tempo stesso tanto stupidi: sono infatti convinto che, per come sono fatti attualmente, non diventeranno mai intelligenti, proprio perché non sono in grado di concepire qualcosa che sia al contempo vero e falso, mentre il nostro cervello ci riesce benissimo, perlomeno finché non utilizza un registro consapevole.
Ti è mai capitato di ragionare, riflettere su un problema, e non venirne a capo? Poi l’indomani, o a distanza di un mese, mentre stai pensando a tutt’altro, ti appare evidente la soluzione e ti stupisci di come hai fatto a non vederla prima?
La colpa delle iniziali difficoltà è del tuo cervello razionale, quello tanto bravo con le parole, che ti ha fatto escludere tutte le idee (apparentemente) contraddittorie, catalogandole come sbagliate. Quindi a livello consapevole hai escluso una grandissima fetta di opportunità. Per fortuna la parte creativa del cervello, quella che non fa il saputello, quella che accetta anche soluzioni sub ottimali, quella a cui non frega nulla di perdere, quella che lavora dietro le quinte e difficilmente viene esposta agli onori della cronaca, riesce a collegare concetti apparentemente distanti, a rielaborarli e riproporli in forma nuova, semplice, inattesa!
Il cervello razionale non ti fa attraversare il torrente se tutte le pietre del guado non sono perfettamente stabili, ogni passo deve essere ben fermo prima di affrontare il successivo. Il cervello creativo invece è più coraggioso e ti esorta: anche se qualche pietra è instabile, non sovrastimarne la pericolosità; fai il passo velocemente e raggiungi la pietra stabile che c’è immediatamente dopo, vedrai che arriverai asciutto all’altra sponda!
Per imparare a ragionare in questo modo occorre abbandonare la logica dicotomica ed essere aperti alla contraddizione; occorrono meno parole e più riflessione introspettiva: nel momento stesso in cui cerchi di verbalizzare un fenomeno, ne stai perdendo l’essenza, perché lo cristallizzi nella sua dimensione razionale.
Non A o B, ma A e B: yin e yang.
Queste parole ti potranno apparire nulla di più se non filosofia spicciola; in fondo il mondo reale è a tutti gli effetti dicotomico, non ammette vie di mezzo o situazioni indeterminate: alla fine della favola, il treno lo prendo o lo perdo; la palla entra nel canestro o va fuori.
Se sei veramente convinto di questo è perché non ti sei mai interessato alla meccanica quantistica: a livello microscopico, dove risiedono le fondamenta del nostro mondo reale, accadono fatti completamente al di fuori dal nostro senso comune, e non è per nulla vero che la palla (microscopica) o è entrata o non è entrata: come avrò modo di descrivere in uno dei miei prossimi articoli, a quel livello la realtà, finché nessuno la osserva, esiste in uno stato sovrapposto in cui tutte le alternative coesistono: la palla entra e non entra nel canestro, l’oggetto è al contempo onda e particella.
Si tratta di fenomeni veramente sconcertanti, suffragati da verifiche sperimentali e ormai accettati dalla comunità scientifica, della cui veridicità avrai sicuramente difficoltà a convincerti. A me hanno insegnato un nuovo modo di vedere il mondo, affascinante e misterioso, riaprendo la porta a ciò a cui, ai miei occhi, la fisica sembrava negare l’esistenza: il libero arbitrio.
Ci capita spesso di interrogarci sul perché esistano le malattie, la violenza, la fame, le calamità naturali; tutti noi auspichiamo di vivere in un mondo in cui il bene trionfi finalmente sul male, ed ogni ingiustizia sparisca.
Ti propongo allora uno sforzo di fantasia: come sarebbe questo ipotetico mondo? Provo a mettermi in gioco e a farlo per te; beh, intanto dobbiamo metterci d’accordo su cos’è bene e cos’è male: direi che il raffreddore è male. Anche la carie è male. Il cibo è bene, e anche il sesso. No, un momento, precisiamo: con Monica Bellucci sicuramente, ma con la tua vicina di casa, non proprio piacente, direi che è male (l’esempio è confezionato per un soggetto eterosessuale di sesso maschile: ovviamente ti prego di adattarlo opportunamente al tuo caso).
Come dici? La tua vicina ha da anni un debole per te? Quindi per lei sarebbe invece bene… eh ma qui entriamo in contraddizione: come può una cosa che per te è male per qualcun altro essere bene? Ora che ci penso, però, ci sono parecchi di questi casi: se mangio tutta la torta in frigo per me è sicuramente bene, ma per mia moglie è male… forse presto lo sarà anche per me, per via del mal di pancia…
Ah, ma sono caduto in un grossolano errore! Ovvio che nel mondo di cui stiamo parlando ci sono torte per tutti, ne posso mangiare senza controindicazioni e la vicina può consolarsi con qualcuno che è molto meglio di te (scusa se ti sminuisco, mi serve solo per l’esempio) che fra l’altro ha gusti stravaganti e quindi è a sua volta parecchio contento.
In questo modo riusciamo ad appianare tutte le contraddizioni? Ho seri dubbi. Ci sono casi in cui una situazione di malessere è necessaria a produrre benessere, e viceversa il benessere conduce a situazioni dolorose; magari tu riesci a immaginarti un mondo in cui questo non accade, ma io non riesco proprio a figurarmelo. Estremizziamo: se non esistesse più la morte, non potrebbe nemmeno esistere la gioia per la nascita di un figlio; se nessuno muore più e continuano a nascere persone, dove le mettiamo? Quanto meno dovrei affrontare il disagio di cambiar casa, che per me è male perché sono affezionato al posto in cui vivo.
Detto in altri termini: male e bene sono due facce della stessa medaglia, uno non può esistere senza l’altro: il piatto di pastasciutta mi dà piacere perché pone fine ad una situazione di fame. Il sonno è piacevole perché sono stanco. La commedia al cinema è divertente perché sono annoiato. Il camino acceso è gradevole perché fuori fa freddo.
Quindi un mondo in cui il male non esiste non sta in piedi dal punto di vista logico: possiamo ovviamente decidere di andare avanti ragionando senza logica, ma allora è inutile condividere un territorio di discussione comune, anzi è inutile perfino comunicare. E allora, la vita è un immenso gioco a somma zero, nel quale ad ogni vincita corrisponde una perdita: è la ragioneria che trionfa, DARE uguale AVERE, nulla si crea e nulla si distrugge!
Gli orientali tendono a cadere meno facilmente nell’errore, ragionando in modo molto più olistico rispetto a noi occidentali: nella loro cultura predomina il concetto di yin e yang, ossia gli opposti che si compenetrano, il nero che sfuma nel bianco, il positivo che convive col negativo: tutto è uno, le divisioni esistono solo nella nostra mente. Molti koan Zen (piccoli motti o frasi che racchiudono verità profonde) usano proprio la contraddizione per stimolare il pensiero: non uno o l’altro, ma uno e l’altro.
Credo che abbiano regione loro.
Allargando questo ragionamento si viene a mettere in discussione anche la nostra logica, basata sui due valori mutuamente esclusivi di vero e falso: forse va rivista? Beh, per ora fermiamoci qui, ne parleremo in uno dei prossimi articoli.