Archivio mensile:settembre 2012

Il gioco della selezione naturale


La complessità del corpo umano; il miracolo della nascita; gli ingegnosi sistemi di sopravvivenza messi a punto dalle più svariate specie animali; i delicati equilibri su cui sono basati i processi biologici: basta un piccolo ingranaggio fuori posto, e tutto il meccanismo crolla. Ti pare davvero possibile che tutto questo sia frutto del caso?

Facciamo un paragone: pensa ad un’opera letteraria, ad esempio la Divina Commedia. Immagina di dare una tastiera ad una scimmia e lasciare che questa giochi a battere dei tasti a caso. Immagina pure che la scimmia sia molto paziente, piuttosto longeva, e che continui ininterrottamente nel suo esercizio per un tempo indefinitamente lungo. Vorresti farmi credere che, prima o poi, dalla battitura della scimmia emergeranno i versi della Divina Commedia? Va be’, te lo concedo, non abbiamo limiti di tempo, la scimmia che invecchia potrà essere sostituita da un’altra più giovane, la tastiera è indistruttibile e il PC a cui è collegata ha risorse illimitate… ma vuoi davvero convincermi che alla fine, per puro caso, salterà fuori un’opera letteraria? No, non ci credo: la Divina Commedia esiste perché qualcuno l’ha progettata, è impensabile che lettere disposte casualmente vadano a comporre una tale meraviglia.

Ovviamente tu sei un evoluzionista, insisti con la tua teoria; allora ti propongo un gioco: invece della Divina Commedia, limitiamoci alla più limitata locuzione “FUORI DAL SOLCO”; inventati un meccanismo per estrarre a caso lettere, esegui più estrazioni ripetute di gruppi di 15 lettere, e fammi sapere dopo quante estrazioni avrai composto “FUORI DAL SOLCO”.

Ti ho convinto? Vedrai da solo che già arrivare ad un risultato così semplice è praticamente impossibile, figuriamoci un’intero poema. Converrai con me, pertanto, che anche la teoria dell’evoluzione va rivista in favore di una più convincente teoria della creazione.

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L’argomentazione che ho ora presentato, che a prima vista appare piuttosto convincente, nasconde in realtà una profonda ignoranza di quelli che sono i meccanismi evoluzionistici; parte erroneamente dal presupposto che i processi coinvolti siano casuali, e da questo trae conclusioni palesemente non realistiche per confutare la teoria; è vero che le mutazioni genetiche e ambientali sono dovute al caso, ma i processi di selezione che premiano i più adatti non lo sono affatto (forse chi ha maturato l’idea opposta è stato fuorviato dalla meritocrazia italiana: non facciamoci confondere, si tratta di altra tematica, e comunque anche lì la casualità non c’entra).

In realtà, la selezione naturale opera secondo criteri che sono tutt’altro che casuali: il più adatto sopravvive e si riproduce, gli altri soccombono (ovvio, non c’è un nesso causa-effetto così rigido, magari occasionalmente si riproduce anche il meno adatto, ma la direzione in media è quella). Ho detto si riproduce; questo significa che la generazione successiva non dovrà ripartire da zero, beneficierà della situazione di vantaggio dei genitori: la selezione è cumulativa, ossia si stratificano i progressi di volta in volta fatti nel corso delle generazioni.

Per analizzare meglio il meccanismo voglio proporti una simulazione nella quale viene considerato un mondo semplificato, così riassumibile:

  • abbiamo una popolazione composta da dieci individui, cinque maschi e cinque femmine;
  • la popolazione è costante: ad ogni cambio generazionale, i genitori muoiono e lasciano posto ai figli: di questi, solo i dieci più adatti sopravvivono, per metà maschi e per metà femmine;
  • ogni individuo è descritto da una sequenza di caratteri alfabetici maiuscoli (il codice genetico);
  • per stabilire i criteri di selezione viene introdotto un individuo ideale, preso come riferimento per misurare l’adattamento ambientale; quanto più ogni elemento della popolazione si avvicina al riferimento, tanto più viene premiato dalla selezione naturale; l’individuo ideale dell’esempio è caratterizzato dal codice genetico ‘FUORI DAL SOLCO’, ma puoi cambiarlo con una sequenza di caratteri alfabetici maiuscoli a piacere;
  • ipotizziamo che l’ambiente sia immutabile, per cui l’individuo di riferimento non cambia;
  • il punteggio di adattamento di ogni individuo è pari al numero di lettere in comune con quello di riferimento.

Esistono due procedure: la selezione NON cumulativa, nella quale ogni generazione riparte da zero, innescata dal pulsante con la lettera (A), e la selezione cumulativa (darwiniana), nella quale ogni generazione trasmette ai figli parte del codice genetico, innescata dal pulsante con la lettera (B).

La procedura (A) è semplice: ogni volta vengono generati nuovi individui con caratteri scelti a caso.

La procedura (B) prevede le seguenti fasi:

  • generazione di una popolazione iniziale con caratteri casuali;
  • accoppiamento: si formano coppie in base ai rispettivi punteggi;
  • riproduzione: da ogni coppia nascono figli che hanno per metà i caratteri del padre, per metà quelli della madre; in più viene applicata una modifica casuale ad uno di questi caratteri (mutazione genetica);
  • selezione: i figli così generati vengono ordinati per punteggio (somiglianza con l’individuo ideale), di questi i primi dieci vanno a sostituire i genitori, gli altri non sopravvivono.

Sei pronto? Clicca su questo link e accedi alla simulazione.

Ti invito a provare i due casi: cliccando più volte sul bottone (A) noterai quanto sia difficile avvicinarsi all’individuo evoluto, perché ogni volta si riparte da zero, non c’è ‘memoria’ degli errori precedenti.
La procedura innescata dal bottone (B) converge invece verso l’individuo di riferimento, e nel giro di qualche decina di generazioni raggiunge l’obiettivo.

Quindi: chi cerca di convincerti dell’improbabilità dell’evoluzione parte dal presupposto che questa sfrutti il meccanismo (A), mentre quello da chiamare in causa è il (B).

Ora ti lascio libero di sfogarti nei commenti, ma alcune precisazioni sono d’obbligo: in primo luogo, questa non dimostra affatto che la teoria dell’evoluzione è giusta, ma semplicemente che l’argomentazione che la vuole negare è sbagliata. In secondo luogo, e a questo tengo particolarmente, mi sembra piuttosto ovvio come, anche sposando la teoria dell’evoluzione, la decisione circa i criteri di selezione non spetti agli esseri umani: chi avesse aspirazioni neo naziste abbia chiaro in mente che gli esseri viventi (tutti) sono oggetto di questo meccanismo, non soggetto attivo. L’olocausto non è colpa di una teoria, ma della stupidità di chi si lascia convincere da interpretazioni distorte della stessa.

Un momento. Ho parlato di esseri viventi. Forse possiamo spingerci oltre? Forse il meccanismo ha portata più generale, forse si può applicare anche alle idee?

Riferimenti bibliografici:

Richard Dawkins – L’orologiaio cieco

Lo spauracchio della prova costume


Credo di non dire nulla di stravagante quando affermo che la mancanza di comportamento etico da parte dell’italiano medio è uno dei principali problemi della società in cui viviamo; lo riscontriamo in particolare in chi sta alla guida del Paese, ma la classe politica non è che il riflesso dell’elettorato che l’ha prodotta, anche se nel tempo ha imparato a distaccarsene e a vivere di vita propria.

Il ‘furbo’ (e le virgolette sono d’obbligo perché per me di vera furbizia non si tratta) è sempre presente ai vari livelli, e non esiste meccanismo che impedisca di fare una legge senza che si trovi l’inganno; come si può uscire da questa impasse? Mettiamo poliziotti ad ogni angolo! Controlliamo di più! Eleviamo multe, ampliamo la caccia agli evasori, combattiamo il lavoro nero con sanzioni severe! Guerra a chi inquina!

Praticamente occorrerebbe un esercito di controllori, purché provenienti da altri Paesi, altrimenti come ci possiamo fidare di loro?

Facciamo un esempio pratico, parliamo dei meccanismi per combattere i nullafacenti negli uffici. Introdurre tornelli o sistemi di timbratura è un sistema medievale, tipico di una società arretrata, basato sul presupposto che la presenza fisica in ufficio corrisponda a lavoro (e l’assenza a non lavoro): se mai vogliamo fare dei controlli, facciamoli su ciò che è stato prodotto (quanto e come…); ovvio che questo non si può applicare a tutti i tipi di lavoro, però ci vantiamo tanto di essere nell’era del WEB 2.0 e poi dobbiamo percorrere chilometri per accedere ad un computer e produrre contenuti digitali… Perché questa ritrosia verso il telelavoro? Perché non ci si fida: si pensa che il fiato sul collo sproni il lavoratore (e in una buona parte è anche vero, ed il comportamento dei molti furbi ha contribuito a rafforzare l’idea), ma questo crea i presupposti per un ambiente stressante, disseminato di fucili puntati.

La leva per un comportamento etico (qualsiasi cosa questo voglia dire) non deve provenire da fuori, ma da dentro ogni individuo: solo così possiamo evitarci un esercito di cani da guardia. Dobbiamo imparare sviluppare quel controllore che è dentro ognuno di noi, con la convinzione che questo sia vantaggioso per noi stessi, e che fare i furbi alla lunga sia controproducente. Se ci comportassimo tutti onestamente sul posto di lavoro, i dirigenti aziendali non guarderebbero con sospetto il telelavoro. Se il ragazzino si dimostra meritevole della tua fiducia, lo lasci libero di uscire da solo.

Questo si può ottenere solo investendo nell’educazione, non c’è altra strada; quando il solco dell’opportunismo è scavato nelle nostre menti è difficile rimuoverlo; ed il deterrente secondo me più efficace ed economico è uno: la disapprovazione sociale.

Non so se hai presente l’ansia di molte persone quando si avvicina l’estate: alcuni iniziano una dieta a tempo per diminuire i rotoli addominali, altri fanno lampade abbronzanti, perché non vorrai mica arrivare in spiaggia a fine maggio bianco come una formaggetta di capra? Mi sono chiesto: cosa origina quest’ansia? Ci sono vigili in spiaggia? No, c’è la spada di Damocle del giudizio altrui (conoscenti e non)!

Ci piaccia o no, siamo animali sociali, ed essere integrati in un gruppo ci fa stare bene (anni di evoluzione hanno probabilmente sancito il vantaggio di una collaborazione rispetto all’isolamento). Se comportamenti dannosi come l’evasione fiscale, l’inquinamento, la nullafacenza sul posto di lavoro fossero messi alla berlina dalla società, a poco a poco diverrebbero fenomeni residuali. Invece sono esaltati: l’evasore è un furbo, che non si fa fregare dallo Stato; l’amico si vanta perché ha trovato un buon posto dove si lavora poco e nessuno ti controlla. Capito? Si vanta, la considera cosa da ostentare! Abbiamo truppe di deputati e senatori indagati per i più svariati misfatti, ma non mostrano la benché minima vergogna di tutto ciò, anzi ne fanno campagna elettorale autoproclamandosi vittime. Vuoi fare successo? Violenta la tua collega, fai in modo che ti licenzino per questo e passa qualche mese in prigione, magari prima assicurati la protezione di un avvocato di grido. Occhio però, la cosa non deve passare inosservata, premurati che tutti ne parlino. Tranquillo, vedilo come un investimento: fra un anno sarai ospite di numerose trasmissioni televisive e verrai ricoperto di soldi. Magari, mentre sei in galera, approfittane per scrivere un libro dichiarandoti vittima delle circostanze… fa sempre effetto.

Pensa invece ad un mondo in cui il teenager che getta la cartaccia per terra viene considerato uno sfigato dai coetanei; un mondo in cui per essere considerato ‘ad un certo livello’ non devi indossare le Hogan ma recarti al lavoro coi mezzi pubblici; un mondo in cui, se trovi un portafogli per terra e lo restituisci, sei invitato a tutti i talk show della prima serata; un mondo in cui se timbri il cartellino ed esci a fare la spesa, alla pausa caffè ti ritrovi da solo.

Utopia? Per ora sì, ma come tutte le cose, forse è solo una questione di massa critica…

Eliminiamo il male dal mondo?


Ci capita spesso di interrogarci sul perché esistano le malattie, la violenza, la fame, le calamità naturali; tutti noi auspichiamo di vivere in un mondo in cui il bene trionfi finalmente sul male, ed ogni ingiustizia sparisca.

Ti propongo allora uno sforzo di fantasia: come sarebbe questo ipotetico mondo? Provo a mettermi in gioco e a farlo per te; beh, intanto dobbiamo metterci d’accordo su cos’è bene e cos’è male: direi che il raffreddore è male. Anche la carie è male. Il cibo è bene, e anche il sesso. No, un momento, precisiamo: con Monica Bellucci sicuramente, ma con la tua vicina di casa, non proprio piacente, direi che è male (l’esempio è confezionato per un soggetto eterosessuale di sesso maschile: ovviamente ti prego di adattarlo opportunamente al tuo caso).

Come dici? La tua vicina ha da anni un debole per te? Quindi per lei sarebbe invece bene… eh ma qui entriamo in contraddizione: come può una cosa che per te è male per qualcun altro essere bene? Ora che ci penso, però, ci sono parecchi di questi casi: se mangio tutta la torta in frigo per me è sicuramente bene, ma per mia moglie è male… forse presto lo sarà anche per me, per via del mal di pancia…

Ah, ma sono caduto in un grossolano errore! Ovvio che nel mondo di cui stiamo parlando ci sono torte per tutti, ne posso mangiare senza controindicazioni e la vicina può consolarsi con qualcuno che è molto meglio di te (scusa se ti sminuisco, mi serve solo per l’esempio) che fra l’altro ha gusti stravaganti e quindi è a sua volta parecchio contento.

In questo modo riusciamo ad appianare tutte le contraddizioni? Ho seri dubbi. Ci sono casi in cui una situazione di malessere è necessaria a produrre benessere, e viceversa il benessere conduce a situazioni dolorose; magari tu riesci a immaginarti un mondo in cui questo non accade, ma io non riesco proprio a figurarmelo. Estremizziamo: se non esistesse più la morte, non potrebbe nemmeno esistere la gioia per la nascita di un figlio; se nessuno muore più e continuano a nascere persone, dove le mettiamo? Quanto meno dovrei affrontare il disagio di cambiar casa, che per me è male perché sono affezionato al posto in cui vivo.

Detto in altri termini: male e bene sono due facce della stessa medaglia, uno non può esistere senza l’altro: il piatto di pastasciutta mi dà piacere perché pone fine ad una situazione di fame. Il sonno è piacevole perché sono stanco. La commedia al cinema è divertente perché sono annoiato. Il camino acceso è gradevole perché fuori fa freddo.

Quindi un mondo in cui il male non esiste non sta in piedi dal punto di vista logico: possiamo ovviamente decidere di andare avanti ragionando senza logica, ma allora è inutile condividere un territorio di discussione comune, anzi è inutile perfino comunicare. E allora, la vita è un immenso gioco a somma zero, nel quale ad ogni vincita corrisponde una perdita: è la ragioneria che trionfa, DARE uguale AVERE, nulla si crea e nulla si distrugge!

Gli orientali tendono a cadere meno facilmente nell’errore, ragionando in modo molto più olistico rispetto a noi occidentali: nella loro cultura predomina il concetto di yin e yang, ossia gli opposti che si compenetrano, il nero che sfuma nel bianco, il positivo che convive col negativo: tutto è uno, le divisioni esistono solo nella nostra mente. Molti koan Zen (piccoli motti o frasi che racchiudono verità profonde) usano proprio la contraddizione per stimolare il pensiero: non uno o l’altro, ma uno e l’altro.

Credo che abbiano regione loro.

Allargando questo ragionamento si viene a mettere in discussione anche la nostra logica, basata sui due valori mutuamente esclusivi di vero e falso: forse va rivista? Beh, per ora fermiamoci qui, ne parleremo in uno dei prossimi articoli.

La corsa agli armamenti


In natura esistono alberi altissimi, alcuni raggiungono il centinaio di metri; pare che uno studio teorico abbia stabilito che l’altezza massima raggiungibile sia attorno ai 130 metri: oltre questo limite la forza di gravità non permette un sufficiente afflusso di acqua alle parti più alte, impedendo il normale ciclo di vita della pianta.

Ovviamente per la pianta mantenere un’altezza così elevata implica un elevato consumo di risorse (acqua e sali minerali), quindi da un punto di vista evoluzionistico sarebbe conveniente mantenere dimensioni più contenute. Perché allora si verifica questa apparente contraddizione?

Una possibile spiegazione, direi piuttosto convincente, è che un’altezza maggiore significa una maggiore esposizione ai raggi solari, indispensabili per la fotosintesi clorofilliana. Immaginiamo un albero solitario in un bel prato, felice di essere irraggiato costantemente. Un giorno nasce un nuovo alberello nelle vicinanze, parzialmente ombreggiato dal primo: quest’alberello crescerà cercando di sovrastare il precedente, in modo da accaparrarsi una maggiore quantità di radiazione. Diciamo meglio: l’albero non ha alcuna volontà di crescere, non sta adottando una strategia consapevole, si tratta di un automatismo codificato nei suoi geni; alberi dai geni diversi, che implicano bassa crescita, semplicemente sono morti (o non sono mai nati perché i progenitori sono morti) perché sopraffatti da quelli con geni ad alta crescita.

Comunque: gli alberi proseguono la ricerca dei raggi solari, si riproducono, il prato è diventato una foresta; immaginiamo che si raggiunga un punto in cui tutti gli alberi hanno più o meno la stessa altezza: ci fermiamo qui? No, perché non è un equilibrio stabile: basta che uno di questi cresca un poco che subito lascia in ombra uno o più concorrenti, rimettendo in moto la corsa agli armamenti.

Se gli alberi potessero mettersi d’accordo, cosa deciderebbero? Ovviamente che non è il caso di proseguire la crescita: è una battaglia da cui tutti escono sconfitti, perché si passa da un livello in cui per vivere servono – supponiamo – 500 unità di risorse ad uno nuovo in cui ne servono 550, a parità di irraggiamento solare.

Un parallelo molto simile si trova in economia: in situazione di oligopolio (ossia quando ci sono pochi produttori di un bene, ad esempio la telefonia), gli operatori sanno che non è conveniente ingaggiare una battaglia di ribasso dei prezzi: i consumatori si sposterebbero da un produttore all’altro costringendo tutti ad allinearsi per non perdere quote di mercato, col risultato che ognuno si ritroverebbe con più o meno la stessa quantità di clienti di partenza, che pagano però un prezzo inferiore.

Ma se ci pensi, questo meccanismo è molto più diffuso, nella nostra quotidianità, di quanto si possa immaginare: nel lavoro si tende a far carriera, perciò si lavora di più per surclassare il collega e farsi bello agli occhi del superiore, col risultato che il tempo libero da dedicare ad altro è spesso ridottissimo; le aziende devono incrementare costantemente il fatturato, ogni anno deve necessariamente essere migliore del precedente, devono inoltre aumentare di dimensioni per sopravvivere, come se potesse esistere una crescita infinita. La crescita del Prodotto Interno Lordo è indice di benessere: un’economia è sana se il PIL cresce, magari poi le malattie da stress dilagano (nessun problema, si possono curare grazie al maggior reddito…).

Attenzione poi perché questa continua rincorsa alla crescita viene sfruttata dai poteri forti: il marketing, i media, i politici ti piazzano davanti la carota per farti correre, e tu lo fai senza pensare, senza riflettere, e i tuoi giorni passano e ti ritrovi vecchio con alle spalle una vita vissuta secondo canoni dettati da altri.

Perché dunque non riusciamo a capire che forse è il caso di rallentare, che bisogna concentrarsi sulla qualità di ciò che facciamo e non sulla quantità? Noi non siamo come gli alberi, noi possiamo concertare una strategia di sviluppo sostenibile… o forse no?

Voglio solleticare ulteriormente lo spirito di contraddittorio dei lettori con una considerazione finale. Un tempo la categoria femminile era meno schiava di questo meccanismo (non entriamo nel merito se per scelta o per costrizione, in questa sede non è pertinente); poi, a seguito di un femminismo secondo me male indirizzato, si è cercato di dimostrare che la donna è in grado di fare tutto ciò che fa un uomo, equiparando di fatto le due figure e ottenendo il risultato (nei casi in cui ci si è riusciti) di liberarla da una pastoia semplicemente per soggiogarla ad un’altra, quella che già da tempo vincolava l’uomo, senza raggiungere il vero salto di qualità, cioè quello di sancire le capacità della donna nella sua diversità rispetto all’uomo.

Oggi vediamo donne in carriera che hanno più testosterone di Schwarzenegger, adottano atteggiamenti aggressivi al pari dei loro colleghi maschi, hanno la sensibilità e capacità di ascoltare di una pentola: per forza hanno raggiunto la parità con gli uomini, morfologia a parte sono degli uomini. Tutto questo mi sembra un clamoroso passo indietro mascherato da passo avanti…

Riferimenti bibliografici:

Federico Rampini – Slow economy. Rinascere con saggezza