Quando l’illuminazione nasce dal profondo della propria interiorità.
Parole e musica di Marco Perasso, Licenza Creative Commons.
La Fa#m La Fa#m
La
Il soffio della vita, per davvero, è tutto qua
Fa#m
ne abbiam le palle piene della spiritualità
Sim
io canto queste strofe con profonda libertà
La
ho finalmente appreso la scioccante verità
La
mi illumino d’incenso, ma che immensa assurdità
Fa#m
se tutto è vibrazione, il vibratore chi ce l’ha?
Sim
distopica esperienza, l’impressione di Degas
La
comprendo la potenza della sua bestialità
La
La mia risposta è il baco del calo del malo
Do
la brezza soffia forte, stramazzo se inalo
Re
fornitemi un appoggio, un albero, un palo
La
quant’è potente il baco del calo del malo
La
Il senso della vita, ti chiederai se c’è
Fa#m
io dico: puoi goderne senza avere alcun perché
Sim
i valori e la morale sono solo dei cliché
La
talmente convincenti che puoi farci un bel bidet
La
e a proposito di questo sento crescer dentro me
Fa#m
una potenza enorme che rilascio nel privé
Sim
la forza del profondo, l’impressione di Monet
La
pneumatico disagio, io ne sono alla mercé
La
Ma quant’è buio il beco del chelo del melo
Do
sonorità tribali che ti strappano il velo
Re
ne sono uscito vivo ma però per un pelo
La
il pelo del beco del chelo del melo
La
Il respiro della vita più o meno è questo qui
Fa#m
non c’è canalizzazione più diretta di così
Sim
è l’origine del vero, lascia perdere il tiggì
La
il ciuffo ti scompiglia e ti sconquassa il pedigree
La
è la tua porta stretta, il passaggio è quello lì
Fa#m
dell’illuminazione è perlomeno l’abici
Sim
saper lasciare andare, l’impressione di Dalì
La
la vittoria è di chi molla, lo sostengo da quel dì
La
Ma quant’è fondo il bico del chilo del milo
Do
la forza dirompente di una piena del Nilo
Re
più siedi dirimpetto e più ne apprezzi il profilo
La
quant’è potente il bico del chilo del milo
La
Il profumo della vita, lo ripeto da un bel po’
Fa#m
potrebbe non piacere, ma si fa quel che si può
Sim
l’illusione di mercato mi propone acqua di Giò
La
su grandi cartelloni alla fermata del metrò
La
Coprire, non sentire... è un po’ l’essenza dello show
Fa#m
distogliere l’olfatto, ambarabaciccicoccò
Sim
per non realizzare, ma prima o poi lo capirò
La
che siamo nella merda dentro a un quadro di Mirò
La
Ma quant’è stretto il boco del colo del molo
Do
s’allarga all’improvviso e tutto rade al suolo
Re
inflata il pirocumulo e prende il volo
La
che presa per il boco del colo del molo
La
L’aroma della vita, se ne apprezzi le virtù
Fa#m
suffimigi di salute, ma che gran tiramisù
Sim
non ti lasciar fregare dalle balle alla tivù
La
e riempi i tuoi polmoni con la forza del grisù
La
ma certo qui non voglio smantellare i tuoi tabù
Fa#m
ognuno ha il suo percorso, tortuoso per lo più
Sim
ma se pensi di guardarmi col nasino all’insù
La
te lo dico una volta e non te lo ripeto più
che puoi baciarmi il
La
baco del calo del malo
Do
Il beco del chelo del melo
Re
Il bico del chilo del milo
La
Il boco del colo del molo
In questo periodo si parla molto, nei vari testi e video di evoluzione spirituale, di passaggio dall’attuale livello di coscienza 3D al nuovo livello 5D. La mia petulante razionalità, che vuole sempre avere voce in capitolo ed è evidentemente ancora saldamente ancorata alla terza dimensione, si è domandata cosa significhi tutto ciò, e in cosa consistano le dimensioni di cui stiamo parlando. Voglio ora condividere con te alcune personalissime conclusioni con cui l’ho messa provvisoriamente a tacere; non prenderle troppo sul serio, sto solo giocando un po’.
Partiamo innanzitutto dal concetto di dimensione logica attraverso un esempio che distingue fra ‘uso’ e ‘menzione’ delle parole.
Se affermo:
Genova è sul mare
sto usando la parola ‘Genova’ nella sua funzione di indicatore semantico che permette di individuare mentalmente la città in questione.
Se invece affermo:
'Genova' è composta da sei lettere
come puoi notare dal virgolettato non sto usando la parola, ma la sto menzionando: non intendo riferirmi alla città, ma, appunto, alla parola stessa (affermare che una città è composta da sei lettere sarebbe privo di significato).
Questo esempio mette in evidenza due livelli fra loro non mescolabili:
al primo livello si parla di oggetti;
al secondo livello si parla di parole, che a loro volta parlano di oggetti; in altri termini, si parla del primo livello: è un linguaggio che parla di un altro linguaggio, ossia un metalinguaggio.
Nel quotidiano questi due livelli tendono a confondersi perché entrambi si avvalgono della lingua naturale, anche se riusciamo implicitamente a distinguerli; talvolta non ci riusciamo e allora nascono incomprensioni o situazioni comiche nella loro paradossalità.
L’esempio qui riportato si può parimenti applicare alla nostra percezione del mondo, che si stratifica lungo diversi livelli di consapevolezza; ciascun livello, o dimensione, si riferisce a (parla di, dà un significato a) il precedente.
Livello delle sensazioni; i sensi mi fanno percepire oggetti intorno a me, che distinguo ma che non comprendo ancora appieno; è il livello della mia conoscenza del mondo.
Livello funzionale, che completa di significato quanto percepito al livello precedente, parlando di esso: distinguo ad esempio una penna, che mi permette di tracciare segni su un altro oggetto, che chiamo ‘foglio di carta’; è il livello della mia conoscenza sul mondo: comprendo le potenzialità degli oggetti, ma non il loro lo scopo ultimo (perché tracciare segni su un foglio? Che senso ha?).
Livello esistenziale, che dà significato al livello precedente, attribuendo una ragion d’essere ai vari oggetti: traccio dei segni su carta perché voglio comunicare. Facendo leva su un’interpretazione teleologica, questo è il livello del giudizio: utile/inutile, innocuo/pericoloso, giusto/sbagliato.
Questi tre livelli descrivono quelle che sono le dimensioni dello stato di coscienza 3D, e si possono applicare, oltre che al mondo circostante, anche alla percezione del sé, secondo la sequenza:
attraverso i sensi mi accorgo di esistere, ma non so nulla di me;
osservando ciò che i sensi mettono a disposizione, comprendo di essere un individuo in possesso di determinate caratteristiche; a questo livello non so ancora qual è il loro scopo, non riesco a dar loro un significato;
osservando quanto appreso al secondo livello, comprendo che posso dare un senso alla mia esistenza ad esempio mettendo a disposizione le mie attitudini, offrendo prestazioni che possano migliorare la vita altrui, ottenendo in cambio una remunerazione che permetta il sostentamento mio e della mia famiglia.
Poiché ogni livello ‘spiega’ il precedente, è evidente che per poter modificare quanto percepito ad un livello occorra ricercare un significato per tale cambiamento, e questo si può fare solo al livello immediatamente superiore.
Posso ammettere che il colore della penna è verde e non rosso come credevo (livello 1), se attribuisco un significato a questo cambiamento giustificandolo col mio daltonismo (livello 2).
Posso accettare di lasciare il mio attuale impiego (livello 2), se riesco a collocare il cambiamento in un contesto di miglioramento professionale che garantisca maggior sicurezza per me ed i miei cari (livello 3).
Nietzsche sosteneva che chi ha un perché abbastanza forte può superare qualsiasi come; dalla lettura delle epistole dei condannati a morte durante l’olocausto si evince come coloro che riuscivano ad attribuire un significato alla propria morte (ad esempio perché sarebbe servita a rovesciare la dittatura) andavano incontro alla pena con maggiore serenità rispetto a coloro che credevano di essere stati giudicati per motivi assurdi.
Va rimarcato che più saliamo di livello più le resistenze al cambiamento di fanno forti: posso accettare di buon grado di aver scambiato una volpe per un gatto, sono assai riluttante nell’ammettere di essermi sbagliato sul conto del mio migliore amico, sono praticamente irremovibile sulle mie convinzioni etiche e morali, al punto che, se crollassero, rischierei la depressione o chissà quali altre patologie.
Fino a qualche anno fa ero in perfetto equilibrio nella mia coscienza 3D, e il significato che la consapevolezza di terza dimensione riusciva a dare alla mia esistenza era sufficientemente convincente; poi, piano piano, hanno iniziato a fare capolino i dubbi, per esempio: OK, OK, lavoro per mantenere me e la famiglia… ma è tutto qui, o c’è dell’altro? Questa è l’unica via per me? Che succede se non mi adeguo, se smetto di fare il bravo? La vita prosegue su binari diversi? Continua ad avere un senso?
Improvvisamente il mondo del counseling, così profondamente imperniato sulla sospensione del giudizio, mi ha aperto le porte del quarto livello di percezione; o almeno è questo che mi piace pensare.
Che significa astenersi dal giudizio? Significa rinunciare alla distinzione fra bene e male, o meglio, trascenderla. La distinzione rimane, ma su un piano diverso: resta nella terza dimensione, e la coscienza la osserva neutralmente dalla quarta.
Da quel nuovo piano perde di importanza lo specifico percorso che scelgo nella vita: ciò che conta è agire, fare esperienza, a prescindere dalla strada imboccata e dai risultati ottenuti; ogni cammino intrapreso sarà un tassello in più nella conoscenza di me; è questo il fine ultimo che, a questo livello percettivo, attribuisco alla mia esistenza.
E per un po’ ho ritrovato l’equilibrio che avevo perduto.
Ora sento che un nuovo senso di angoscioso vuoto mi pervade, sembra che tutto abbia perso valore e significato. L’impianto razionale che ho messo in piedi fin qui non regge più.
Che sia il preludio a un nuovo salto di coscienza? Riuscirò finalmente a dare voce al mio cuore?