Archivio mensile:marzo 2013

Quale storia inventerai per domani?


In questo articolo voglio proporti un modo un po’ stravagante di uscire dal solco e dare una lettura alternativa alla tua vita. Come al solito, ti chiedo di portare pazienza, scardinare i tuoi preconcetti e seguire la lettura fino in fondo, anche se potrà sembrarti un po’ ridicola o sconcertante.

Immagina di essere uno scrittore dalla fantasia piuttosto fervida che produce con trasporto racconti di vita quotidiana; la narrazione usa la prima persona, in un modo così efficace e coinvolgente da risucchiare chi legge all’interno della storia, facendolo immedesimare a tal punto da distinguere con difficoltà la realtà dalla fantasia.

I racconti nascono di notte, mentre dormi: la tua mente in quel momento è infatti libera dai condizionamenti della coscienza e può prendere le strade più imprevedibili e non censurate; in un miscuglio onirico creativo, ogni notte generi il capitolo di un libro che l’indomani trascinerà il lettore in nuove esperienze di vita.

Adesso viene la parte difficile: immagina di essere tu stesso il fruitore delle storie da te prodotte; ogni mattina ti risvegli con un capitolo nuovo nuovo da leggere, ti immergi nella lettura e questa ti coinvolge, ti trascina, scatena emozioni per te reali, ti fa perdere la consapevolezza che si tratti solo di un libro… e allora ti arrabbi per l’automobilista che prevarica lo sfortunato protagonista incolonnato nel traffico, ti dispiaci per le difficoltà che deve superare, ti rallegri per gli accadimenti a lui favorevoli.

Per quanto coinvolto tu possa essere, alla fine ti rendi però conto che si tratta solo di un racconto, non della realtà, e quindi confini le tue emozioni entro i limiti di un accettabile distacco: proprio quando ti rendi conto di esserti calato eccessivamente nella parte, allora capisci che è il momento di prendere una pausa dalla lettura, per ritornare alla realtà.

Bene, se sei riuscito a seguirmi fin qui, questo è l’esercizio mentale che ti propongo: prova per un giorno a comportarti come se la tua vita fosse davvero così; stasera andrai a letto sapendo che durante la notte produrrai il capitolo che descriverà per filo e per segno quanto ti accadrà domani. E domani, ogniqualvolta succederà qualcosa, sia esso positivo o negativo, lo tratterai come un frutto della tua fantasia, con la consapevolezza di essere stato tu ad aver creato quella realtà, l’unico responsabile, l’unico che poteva fare andare le cose diversamente.

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Potrà sembrarti che questo approccio così surreale ti addossi una responsabilità eccessiva, ma se rifletti ha una serie di benefici; primo fra tutti, sposta su di te le leve decisionali: sei tu l’unico che può intervenire, che può fare qualcosa, o ti rimbocchi le maniche o ti rassegni, in ogni caso non c’è nessuno all’infuori di te con cui potrai prendertela. In secondo luogo, elimina alla radice la sensazione di persecuzione presente nella maggior parte di noi, che ci crediamo vittime di un mondo ostile, quando in realtà siamo i soli responsabili di quanto ci accade.

Facciamo degli esempi di come si possa tradurre in pratica tutto ciò.

  • La giornata appena trascorsa non ti ha soddisfatto, torni a casa stanco e infastidito? Cerca di convogliare le tue emozioni verso sentimenti positivi, che ti predispongano benevolmente nell’attività di gestazione notturna, per fare in modo che l’episodio di domani sia più gradevole. Fai il possibile per allontanare le emozioni negative, o il tuo subconscio genererà mostri che dovrai affrontare il giorno dopo.
  • Il capoufficio ha comportamenti irritanti nei tuoi confronti? Sappi che sei tu a dipingerlo così, è un personaggio di tua creazione; prova ad immaginartelo più morbido, cerca di fare in modo che il corso degli eventi nella tua immaginazione prenda un’altra direzione. Visto sotto questa nuova luce, tutto appare ridimensionato, meno preoccupante: in fondo, si tratta solo di un racconto…
  • Mandi curricula a svariate aziende perché vuoi cambiare lavoro ma nessuno ti convoca a colloquio? Non dare la colpa alla crisi economica o all’età avanzata: in realtà il vero responsabile è il tuo subconscio, che teme il cambiamento, non intende affatto fare un salto nel buio e produce coerentemente una storia in cui nessuno ti vuole, per sollevare la tua coscienza dal peso della decisione. Sei tu a non voler cambiare, ma ti sei inventato una storia molto credibile in cui dai la colpa agli altri. Che genio letterario!

Cerca di sovvertire causa ed effetto, contenitore e contenuto: non sei tu ad essere calato nella realtà esterna, ma la realtà ad essere contenuta nella tua mente; nulla esiste realmente là fuori: tu non sei dentro la stanza, è la stanza ad essere nel tuo cervello; questo vale per ogni altra entità: il passerotto sul davanzale, la pioggia, il traffico, la crisi economica, le tensioni in Medio Oriente; tutto è frutto della tua fantasia, sei tu che stai scrivendo il libro, sei tu l’artefice, è il tuo stato mentale a generare mostri o arcobaleni, sono i tuoi incubi o i tuoi sogni notturni a fare la differenza.

Assurdo vero? Eppure non puoi provare che le cose non stiano davvero così. Mi dirai: non è vero, chiedo ad altri cosa vedono là fuori, e questi mi confermano una realtà coerente con quanto da me percepito, quindi la realtà è questa. Ti rispondo: coloro a cui chiedi lumi sono essi stessi prodotti della tua mente, e tu sei un buon narratore, mica scrivi storie campate per aria… per forza ottieni risposte non contraddittorie.

E poi rifletti: per quanto assurdo possa sembrare, se questo esercizio servisse a darti una percezione meno preoccupante e più attiva della vita, perché non provare? Non mi aspetto ovviamente che tu lo riesca a fare con vera convinzione, però puoi iniziare per gioco, anche solo per stemperare con l’aiuto della fantasia alcune situazioni difficili.

Per lo meno, così facendo affiderai a te stesso la scrittura del racconto che ti anestetizzerà la mente, e non allo sciamano di turno che predica da un pulpito o da dietro ad un altare…

Il gioco dei tre secchi (la formazione di un solco)


Nell’articolo precedente ho fatto notare come un successo vissuto in modo superficiale possa spingere verso il dannoso consolidamento di schemi comportamentali, quelli che ci hanno portato in cima al podio. Voglio adesso proporti un gioco per dimostrare come agisca questo meccanismo.

Supponi di trovarti in riva ad un lago ed avere a disposizione tre secchi: uno dalla capacità di 17 litri, uno di 37 e uno di 6; il tuo scopo è misurare 8 litri d’acqua effettuando il minor numero di travasi.

Prima di proseguire nella lettura, ti invito a trovare la soluzione del problema, tutto sommato non difficile per chi se la cava con addizioni e sottrazioni; cerca di non cedere alla tentazione di proseguire oltre se non hai prima risolto il quesito, altrimenti viene meno l’esperimento mentale che ti sto proponendo.

Fatto?

Bene, adesso ti sottopongo un secondo problema; hai sempre tre secchi, questa volta con 31, 61 e 4 litri. Devi misurare 22 litri di acqua.

Tutto OK? Ancora uno: i secchi sono da 10, 39 e 4 litri, devi misurare 21 litri.

Risolto? Bene, cominci a capire il meccanismo. Eccone un altro: i secchi sono da 23, 49 e 3 litri, devi misurarne 20.

Se hai brillantemente risolto tutti e quattro i quesiti, probabilmente ti sarai accorto di uno schema ricorrente nell’individuazione della soluzione: dopo le difficoltà incontrate col primo problema, per il quale hai definito partendo da zero una strategia risolutiva, hai realizzato che la stessa può essere riapplicata a quelli successivi, che adesso ti sembrano banali: il secondo problema ti avrà fatto suonare il campanello di allarme (“ma questo è di fatto come quell’altro!”), il terzo ti avrà confermato la validità del cliché, il quarto sarà stato risolto meccanicamente.

Questo è lo schema mentale più probabile:

  • problema 1: riempio il secchio da 37, da questo travaso acqua in quello da 17 fino a riempirlo (rimanendo con 20 litri), quindi riempio il secchio da 6 (rimanendo con 14 litri), che svuoto e riempio nuovamente (rimanendo con 8 litri)
  • problema 2: riempio il secchio da 61, da questo travaso acqua in quello da 31 fino a riempirlo (rimanendo con 30 litri), quindi riempio il secchio da 4 (rimanendo con 26 litri), che svuoto e riempio nuovamente (rimanendo con 22 litri)
  • problema 3: riempio il secchio da 39, da questo travaso acqua in quello da 10 fino a riempirlo (rimanendo con 29 litri), quindi riempio il secchio da 4 (rimanendo con 25 litri), che svuoto e riempio nuovamente (rimanendo con 21 litri)
  • problema 4: riempio il secchio da 49, da questo travaso acqua in quello da 23 fino a riempirlo (rimanendo con 26 litri), quindi riempio il secchio da 3 (rimanendo con 23 litri), che svuoto e riempio nuovamente (rimanendo con 20 litri).

E qui casca l’asino. Perché l’ultimo problema ha due soluzioni e una di queste implica minori travasi, anche se molto probabilmente tu avrai applicato (senza pensare) quella meno efficiente.

La soluzione migliore è quella di riempire il secchio da 23 e travasare in quello da 3, rimanendo subito con 20 litri.

Il solco mentale che hai scavato si è rivelato utile nelle prime situazioni, ma una trappola nell’ultima, quando hai abbassato la guardia ed applicato il modello senza riflettere.

Nei casi peggiori, questo può portare alla mancata individuazione della soluzione; il concetto può essere meglio rappresentato con l’aiuto di un’infografica.

Supponiamo che la tua struttura cerebrale sia quella di seguito rappresentata: ogni nodo è associato ad un’idea, le idee sono fra loro connesse da linee di attivazione più o meno marcate (i solchi della mente); il loro spessore dipende da quante volte le connessioni si sono rivelate utili, alla luce della tua esperienza.

Immagina di essere alla ricerca di una soluzione ad un problema; l’idea che ti serve si trova in Z, ma per arrivarci devi passare di nodo in nodo (associazione di idee) seguendo i sentieri più marcati.

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Se il tuo ragionamento parte dall’idea rappresentata dal nodo A, seguendo ad ogni bivio la strada più marcata, rimarrai intrappolato in un circuito senza via di uscita; è la classica situazione in cui continui a girare attorno al problema senza trovare soluzioni.

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Se invece parti da un altro presupposto, che magari hai sempre ignorato perché ti sembrava assurdo o ridicolo, e cambi la prospettiva di ragionamento, ecco che la soluzione di appare improvvisamente sotto gli occhi, e magari ti domandi come hai fatto a non vederla prima…

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Tutto questo potrà sembrarti banale, eppure non immagini quante volte giornalmente, sul lavoro, in famiglia, nell’esprimere giudizi, opinioni, o anche nella semplice decisione di un acquisto, hai occasione di incappare in questa subdola trappola…

Riferimenti bibliografici:

Guy Claxton – Il cervello lepre e la mente tartaruga. Pensare di meno per capire di più

Cosa metti in bacheca?


Non sto parlando di quella di Facebook, ma di quella tradizionale, dove sempre tradizionalmente si mettono i trofei; nel collezionarli non ci trovo ovviamente nulla di male: mettere in bella mostra i propri successi fa bene all’autostima, anche se può attirare qualche antipatia o invidia.

Con questo articolo voglio però suggerirti di fare altrettanto con gli insuccessi: potrà sembrare un paradosso, ma se ci pensi bene gli errori possono essere molto utili; quando eseguo alla perfezione un compito, ho fatto qualcosa di positivo nell’ambiente che mi circonda, ma dentro di me poco è cambiato, a parte l’appagante sensazione di aver centrato il bersaglio; anzi, si rafforza in me l’idea che il comportamento adottato sia quello giusto, l’unico giusto: il solco diventa più profondo.

L’errore invece è un maestro, ci evidenzia le lacune, ci offre possibilità di crescita che il successo non dà; al pari del dolore fisico, che in sé è utile in quanto ci segnala situazioni di malfunzionamento, l’insuccesso ci offre la possibilità di migliorarci, a patto che si impari ad osservarlo con occhio neutro e lo si tenga sempre in bella vista.

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Ovviamente la tendenza comune è quella di rimuovere lo scivolone dalla nostra memoria, perché non ci piace l’idea di aver sbagliato, e dalla pubblica piazza, perché teniamo al giudizio altrui; ma analizziamo entrambe le questioni, e vediamo quanto solide siano le basi su cui poggiano.

Il disagio che ci porta l’aver commesso uno sbaglio non dipende dall’errore in sé, ma da come noi ci rapportiamo ad esso: razionalmente sappiamo che errare è umano, ma emotivamente tendiamo a confondere i livelli: identifichiamo la nostra persona col comportamento erroneo, arrivando alla conclusione di essere noi stessi ad avere qualcosa di sbagliato. E’ questa confusione di livelli che ci logora e ci fa vivere malamente gli insuccessi: in realtà non siamo noi, in quanto individui, ad essere messi sotto accusa, ma un nostro comportamento; non è la stessa cosa!

Se riusciamo ad essere più impersonali, ad uscire dal problema, possiamo analizzare con distacco quanto è andato storto, e applicare dei correttivi evitando di ricascarci in futuro, il tutto senza sensazioni di malessere. A questa precisazione tengo particolarmente, perché non si confondano i miei suggerimenti con istigazioni al vittimismo: guardare con serenità ai propri errori non può che apportare dei benefici, così come può farlo la lucida individuazione del dente dolorante senza per questo essere dei masochisti.

Non si tratta di vivere in uno stato di perenne autoaccusa, senza mai essere soddisfatti di sé e sottolineando sempre e solo gli aspetti negativi; tutto è questione di misura: semplicemente quando qualcosa va storto bisogna avere il coraggio di capire quel che è accaduto, guardare in faccia il problema senza fronzoli o giustificativi e applicare i dovuti correttivi.

Per quanto riguarda il giudizio altrui, invece, dobbiamo distinguere due casistiche.

Se stiamo parlando di persone intelligenti, non ci si deve preoccupare di nascondere loro un fallimento per paura di perdere posti in graduatoria: prendiamoci pure gioco di noi stessi, scherziamoci sopra, enfatizziamolo quasi: è un ottimo modo per esorcizzarlo, e non potremo che guadagnare punti ai loro occhi.

Se viceversa si tratta di persone che non brillano per acume… beh, in questo caso, perché mai preoccuparsi del loro giudizio?