Archivio mensile:novembre 2019

Il mondo là fuori


Viviamo in un’epoca, nel nostro mondo occidentale, che idolatra la ragione; la scienza è diventata la religione dominante, forte dei successi ottenuti e del progresso a cui ci ha condotto, e il metodo scientifico è l’unico vero criterio di cui ci si può fidare.

Non mi sottraggo a questa linea di pensiero, per anni ho cercato risposte a domande scomode nei libri di fisica; ma proprio forte di questo mio sentirmi galileiano, non posso non notare una pesante contraddizione di fondo: ci si muove alla ricerca di evidenze sperimentali dando per scontato un fatto per nulla dimostrato, ed un fatto mica di poco conto!

Stiamo dando per scontato che il mondo nel quale ci muoviamo, all’interno del quale facciamo i nostri bravi esperimenti, che interroghiamo giornalmente per avere rigorose risposte scientifiche, esista a prescindere dalla nostra coscienza!

Pensaci bene, tenace sostenitore del metodo scientifico: riesci a dimostrare che il display attraverso il quale stai leggendo questo articolo esiste a prescindere dal fatto che lo stai osservando?

Sono abbastanza certo di poterti fornire la risposta: no!

Non lo puoi fare, perché ogni tentativo in tal senso deve passare attraverso il filtro dei tuoi sensi, della tua coscienza. Lo puoi supporre, ma non lo puoi dimostrare.

La risposta ingenua potrebbe essere che hai testimoni che vedono le stesse cose che vedi tu… ma pure quei testimoni, nel comunicarti ciò che vedono, devono essere registrati dalla tua coscienza, in sua assenza non avrebbero modo di comunicarti alcunché; in definitiva, come potresti dimostrare tu, in totale onestà intellettuale nei confronti di te stesso, la loro stessa esistenza?

Bada, non sto affermando con forza che il mondo non esiste finché tu non lo osservi (anche se le recenti scoperte sulla fisica delle particelle lascerebbero intendere proprio questo), sto molto più blandamente facendoti notare che l’assunto di un mondo oggettivo che evolve al di fuori della tua coscienza non è dimostrato, né è a mio avviso in linea di principio dimostrabile, e che tu, fedele adepto della moderna scienza, non dovresti prenderlo per buono con tanta leggerezza: dopotutto è l’assunto di partenza, quello da cui derivare ogni altra prova sperimentale, non vorrai mica costruire l’intero impianto scientifico su basi così instabili, vero?

Perché?


La mente razionale è in perenne ricerca di spiegazioni. Trovare le cause di ciò che succede tranquillizza, dà la sensazione di avere il controllo della situazione, come se questa conoscenza fosse strettamente collegata alle leve di comando.

In realtà si tratta di una conoscenza a posteriori, che nella migliore delle ipotesi spiega ciò che è accaduto ma non dice alcunché di ciò che accadrà: non è infatti per nulla scontato che gli eventi si ripeteranno nella stessa maniera in futuro.

Eppure noi ci crogioliamo in questa sicurezza illusoria. Ma la ricerca dei perché è un’abitudine parecchio insidiosa che dovrebbe farci sentire tutt’altro che al sicuro.

Il pericolo maggiore sta nel fatto che la ricerca dei perché ci lega al passato: crea delle regole, spesso implicite, che vincolano inesorabilmente, nell’immaginario, gli esiti futuri delle nostre azioni, o il nostro modo di essere rispetto a ciò che è stato.

Lasciami banalizzare con un esempio: se ho preso il mal di gola perché sono uscito in bici sotto la pioggia, e nella mia mente si consolida questa associazione fra causa ed effetto, in futuro eviterò di ripetere l’esperienza.

Ma l’uscita, che secondo la mia idea ha causato il male, è solo una delle possibili concause, mica l’unica: forse quel giorno avevo il sistema immunitario fragile, forse ho incrociato qualcuno che aveva appena starnutito nell’aria tutti i suoi bacilli, forse ho tenuto i capelli bagnati dopo la doccia… forse… forse…

Se prendo l’abitudine di aspettarmi che succeda l’evento B ogni volta che compio l’azione A, rischio di non fare mai A, o di farlo ripetutamente, a seconda che B sia o meno spiacevole. O peggio: se l’evento A, che si è verificato nella mia infanzia, è il perché di certi miei modi di essere, non arriverò mai a pensare di poter cambiare; se ad esempio sono timido perché da bambino ho avuto poche occasioni di interagire con gli altri, mi rassegnerò a rimanerlo per sempre.

Come già affrontato in un altro articolo, piuttosto che andare alla sterile ricerca di cause passate è molto meglio guardare ai possibili scopi futuri. I perché sono la causa prima della nostra burocrazia mentale: ognuno di questi elimina incertezza, ma scava un solco all’interno del quale si rischia di rimanere impantanati.

Le insidie della comfort zone.