Non posso condividere le opinioni di chiunque, questo è un dato di fatto.
Eppure, anche quando mi trovo in disaccordo col punto di vista altrui, posso provare ad incontrare la persona con cui mi sto confrontando su un piano più profondo, ossia quello delle motivazioni che l’hanno condotta al suo modo di vedere il mondo.
In altri termini, se non concordo sulle conclusioni forse posso concordare sul metodo.
Le conclusioni dipendono dallo stato particolare in cui si trova la persona, che sarà inevitabilmente diverso dal mio per storia, esperienze, sensazioni, emozioni, caratteristiche psico-fisiche, ecc…
Il metodo, il ragionamento, si eleva invece su un piano diverso, e se mi prendo la briga di farlo mio, di comprenderlo, allora forse potrei concludere che anche io, nei panni altrui, sarei dello stesso avviso.
E se non concordo neppure col metodo… beh posso provare a salire ancora un gradino, analizzando il metodo che ha portato a quel metodo; ma qui entriamo nell’astratto e non sempre è possibile arrivare ad una comprensione di cosa questo significhi.
Il punto è che scendendo nel profondo ci si avvicina alle radici comuni dell’umanità, perché alla fine siamo tutti guidati dall’istinto di sopravvivenza, anche se ognuno sopravvive a modo suo.
Il che non significa rinunciare alle proprie idee, ma comprendere che chi ci sta attorno è un essere vivente, proprio come noi.
Il paese in cui abito, un piccolo comune in provincia di Genova, è stato più volte oggetto di devastazione per effetto dell’esondazione dei torrenti; la stessa Genova ha vissuto ripetutamente esperienze analoghe.
In tutti i casi, la causa è stata sempre la stessa: la stupida presunzione dell’uomo, che nella sciocca convinzione di dominare i fenomeni della natura ha ristretto gli alvei, arrivando addirittura a coprire di cemento per lunghi tratti l’intero corso di un torrente, come nel caso del rio Carpi a Montoggio e del Bisagno nel quartiere di Genova Foce.
Ma l’acqua non si può imbrigliare; quando può, trova vie alternative per raggiungere il mare; quando non può, devasta con rabbia inaudita ogni ostacolo che incontra.
La voglia di vivere non è diversa dall’acqua; la miope stupidità del nostro tempo sta cercando di fare all’uomo ciò che ha già fatto inutilmente con i torrenti, e gli effetti non tarderanno a farsi sentire.
Sono apertamente e fortemente contrario alla vaccinazione COVID, perché la ritengo non risolutiva e dannosa. Per anticipare le facili tendenze catalogatrici di chi non è abituato a ragionare ad un livello leggermente sottostante quello di superficie, dirò che non mi ritengo un NO-VAX: ciascuno scelga in base alla propria coscienza, fate quel che volete purché non veniate a dirmi ciò che devo fare io.
Ma sempre per restare un poco al di sotto del livello di superficie, aggiungo che l’oggetto di questo articolo non riguarda la vaccinazione, che qui uso solo come pretesto; scriverò invece di quanto la vita a volte sappia essere beffarda: nella fattispecie, per mettere alla prova le mie convinzioni libertarie mi ha sottoposto ad una prova piuttosto dura.
Qualche giorno fa i miei due figli adolescenti, a distanza di qualche ora l’uno dall’altra, mi hanno chiesto il consenso per essere vaccinati (sono ambedue minorenni).
Non è stata una risposta facile da dare, ma è arrivata spontanea ed uguale per entrambi: “sai bene che sono contrario al vaccino, questa situazione per me è molto difficile da affrontare, ma non posso decidere della tua vita, ho fiducia in te e nella tua capacità di compiere una scelta consapevole, la tua libertà è per me più importante di ogni altra cosa.”
Gli strascichi di questo evento sul mio stato d’animo non hanno tardato a farsi sentire: ho cercato di osservare il fastidio che provo, e mi sono chiesto da dove arrivi tutto questo dolore. Certo, il timore per la salute dei miei figli è senza dubbio importante, così come il timore che siano stati vittime di lavaggio del cervello, che abbiano rinunciato alla loro capacità di autodeterminazione.
Ed è proprio su questo versante che sono arrivato al punto: la verità è che mi sento fallito in quanto genitore, perché non sono stato in grado di essere un esempio, di infondere in loro la fiducia nella mia visione del mondo, non sono riuscito ad insegnare loro a ragionare con la propria testa, a svincolarsi dal volere dell’autorità.
Poi, nel bel mezzo di una notte insonne è finalmente arrivato il pensiero liberatorio: qual è la massima forma di autorità per un figlio? Indubbiamente quella paterna (non me ne vogliano le madri se la penso così).
Ciò che è accaduto è che i miei figli hanno preso una decisione importante in aperto contrasto con la principale figura autoritaria di riferimento! Che si tratti di scelta giusta o sbagliata poco importa, di per sé è un fatto potentissimo!
Compresa la portata di questo evento, ho anche capito che il presunto fallimento in quanto genitore riguarda l’ego e il suo bisogno di essere indispensabile per i figli; adesso so che loro possono decidere con la loro testa, e non ci sarà autorità in grado di imbrigliare le loro menti.
Ora sono sereno, io non servo più, anche se per loro ci sarò sempre.
Mi piace pensare che questo sia il vero successo per un genitore, diventare inutile prima possibile.