Archivio mensile:dicembre 2013

La distruzione di Silvio


L’altro giorno ho visitato una mostra sulle opere di Leonardo Da Vinci e di fronte a tanta genialità non ho potuto fare a meno di misurare la distanza fra la sua e la mia persona; questo, invece di infondermi ottimismo sulle immense potenzialità dell’essere umano, ha generato in me tutta una serie di emozioni negative fondamentalmente derivanti dalla mia stupida presunzione, che ho poi analizzato più in dettaglio per capirne la natura; ho deciso di condividere la supposta diagnosi con te, con due scopi: da un lato diffondere la conoscenza di certi meccanismi della mente umana (potrà tornare utile per uscire dal solco), dall’altro puntare i riflettori su una delle mie (tante) personalità che lavorano nell’ombra a mio discapito, nella speranza che metterla alla berlina possa in qualche modo sottrarle energia vitale.

Partiamo dunque dall’esistenza di un io, di cui ero già a conoscenza ma che in quest’occasione si è delineato più nitidamente, che voglio assolutamente far fuori perché mi sta causando parecchi problemi. Te lo presento, tanto per tenere le distanze userò un nome di fantasia, lo chiamerò Silvio. Silvio è cresciuto in me grazie all’educazione, alla scuola, alle esperienze di vita. Mi piace pensare che quando sono nato Silvio non c’era: non è lapalissiano, intendo dire che non fa parte della mia essenza, è venuto dopo.

Silvio è un bambino che va molto bene a scuola, è uno di quei primi della classe che stanno antipatici a tutti ma che fa comodo avere per amici nel momento del bisogno. Quando non hai capito qualcosa sui compiti chiedi a lui, lui ti risolve il problema e si sente fiero. In classe è una star, fuori è nessuno. Lui ne è consapevole, infatti nel suo ambiente ostenta sicurezza, quasi è sbruffone, fuori invece si fa piccolo piccolo, non è mai protagonista, sta sempre sullo sfondo e spesso si sente una macchia che ne altera l’omogeneità. Una delle sue fantasie preferite, quando è fuori dalla scuola che aspetta il pulmino e osserva gli altri bambini giocare, è che arrivi un robot nemico da Vega e attacchi la terra, e lui si trasformi nel supereroe alla guida del robot buono e lo sconfigga fra lo stupore di tutti (per la cronaca ed i meno giovani: si tratta ovviamente di Goldrake).

La madre esalta queste sue doti di bravo studente con chiunque, lo porta in palmo di mano, quando Silvio ha cinque anni lei dimostra ad un conoscente, che domandava come mai Silvio non andasse all’asilo, che non ne ha bisogno, “perché, vede, sa già l’alfabeto”! E come prova Silvio lo recita tutto orgoglioso, invertendo la enne con la emme perché così gli è stato insegnato. Al di fuori di ciò che non è scuola (territorio che la madre non riesce a frequentare in quanto poco scolarizzata), Silvio viene invece protetto e aiutato, perché “è piccolo, non è capace”.

Silvio sviluppa poco a poco una dissociazione fra mondo della scuola (il mondo platonico delle forme dove tutto è perfetto, e per ogni problema c’è soluzione, che Silvio peraltro sa di non avere difficoltà a trovare) e mondo reale (imperfetto, spiacevole, pieno di domande a risposta multipla che a Silvio non piacciono).

In questo contesto, Silvio sogna di dimostrare un giorno a questo mondo che adesso lo ignora che lui è il migliore. E lo fa sviluppando il suo muscolo più pronunciato, quindi studia, legge, si accultura. All’università va alla grande, la sua vita sociale è al top, è un leader, un punto di riferimento!

Quando arriva l’età delle domande sul senso della vita si innamora della fisica, legge libri divulgativi sulla teoria della relatività, la teoria quantistica. Preferisce la matematica alle discipline umanistiche, perché in quel mondo astratto e perfetto fatto di dimostrazioni rigorose si sente al sicuro. Poi scopre l’informatica. Un algoritmo è la sublimazione della perfezione: nulla può uscire dai binari impostati, tutto funziona come un orologio svizzero, non sono ammesse eccezioni, è bello vedere la pulizia di un flusso di operazioni che si susseguono esattamente come hai pianificato! E’ bello avere un interlocutore che esegue alla lettera e senza discutere tutte le istruzioni che gli fornisci!

Per Silvio non sono ammesse soluzioni sub ottimali; le sue azioni devono risolvere il problema in modo perfetto: non gli interessa avvicinarsi all’obiettivo, magari procedendo per approssimazioni successive; o lo centra subito o niente. Avvicinarsi soltanto rappresenta già una sconfitta. Silvio ha anche un’immagine da difendere: nel suo campo deve primeggiare; altrove non vale la pena di sbattersi, non gli interessa. E’ un territorio impuro, lui non si abbassa.

Quindi prima di intraprendere un’azione occorre pensarci bene, perché non si può fallire. E in effetti Silvio riesce quasi sempre nelle poche cose che fa.

Detto questo, va da sé che i punti di riferimento di Silvio non possono che essere figure d’eccellenza, quali appunto Leonardo; ma il suo benchmark preferito è sicuramente Einstein. Qualsiasi opera un uomo possa compiere è poca cosa di fronte a quello che questi uomini hanno fatto, e rappresenta un obiettivo non centrato. Qualsiasi impresa diversa da queste (e nel concreto per Silvio tutte ovviamente lo sono) non vale la pena. Ogni attività di Silvio quindi viene portata avanti senza quella convinzione e quell’energia che sarebbe necessaria, perché tanto è poca cosa… una goccia nel mare, simile a tante altre.

Ecco, in soldoni questo è Silvio: questo è il personaggio a cui ho deciso di dare battaglia, la dichiarazione di guerra formale è rappresentata da questo articolo.

Ti assicuro che è molto forte e subdolo, perché si infila senza farsi notare in ogni cosa che faccio e talvolta mi sprona (‘Dai, fai vedere chi sei! Dimostra a tutti come sei bravo’) talaltra mi frena (‘Per quanto ti impegni, non farai mai qualcosa che sia davvero grande! Riposati che non ne vale la pena’), sbattendomi da un lato all’altro dello spazio delle possibilità. Il suo principale aspetto negativo è che mette davanti a tutto la necessità di dimostrare i propri primati, impedendomi di affrancarmi dal bisogno del benevolo giudizio altrui.

Se sei genitore, fai il possibile per evitare che dentro ai tuoi figli crescano simili personaggi, altrimenti li costringerai a combattere da adulti dure battaglie (ammesso che si rendano conto della necessità di farlo, beninteso).

Per quanto mi riguarda, comunque, il nemico è individuato, adesso è ben visibile, pronto per essere colpito.

Dimostrerò a tutti quanto sono bravo a farlo fuori.

Il virus del blogger


Qualche tempo fa ho ricevuto un commento da una collega blogger col quale mi comunicava di avere nominato Fuori dal Solco per il premio ‘The versatile blogger of the year’.

La cosa mi ha riempito di gioia, perché mi sono sentito apprezzato; la collega cura il blog d’arte La Musa Inquietante, che trovo molto ben scritto anche se non lo seguo molto perché, per mio difetto, non ho particolare sensibilità per le tematiche legate all’arte: ti invito però a dare un’occhiata!

Cliccando sul link fornitomi per vedere di che si trattava ho capito che è una specie di catena di S. Antonio: ogni blogger che sia stato nominato deve scrivere un articolo in cui citare chi lo ha scelto, pubblicare un logo, scrivere sette cose su di sé, quindi nominare altri 15 blogger e comunicarlo commentando qualcuno dei loro articoli.

Di tutte queste cose, l’unica che ho deciso di fare è la prima: ed infatti questo articolo esordisce con i sinceri ringraziamenti e apprezzamenti per La Musa Inquietante. Ma poiché voglio restare fuori dal solco, ho deciso che l’anello di catena che è in me si dovesse spezzare: preferisco invece analizzare il fenomeno per capirne meglio le dinamiche. Quello che andrò a dire potrebbe mostrare di primo acchito connotazioni negative, ma non è questo l’intento, voglio assolutamente rimanere neutro e trarre insegnamento, cerca di proseguire la lettura tenendolo a mente.

Visto con un certo spirito critico, questo fenomeno può essere considerato a tutti gli effetti un virus: si propaga di sito in sito grazie al particolare terreno fertile incontrato, cioè l’entusiasmo derivante dall’essere apprezzato. Appena ricevuta la nomination mi sono infatti sentito importante, ho iniziato a cliccare euforico qua e là per la rete in cerca di informazioni in proposito. Ma questo è un punto debole: facendo leva su di esso, è possibile portare chiunque dove più ci pare; l’obiettivo ultimo del virus non è aiutare il corpo che lo ospita, ma perpetuare la propria esistenza.

Passato qualche minuto, ho cercato di tornare con i piedi per terra e di capire come stessero le cose.

E le cose stanno come ho detto: qualcuno ha avuto l’idea geniale di trasferire nel mondo dei blog il concetto di catena di S.Antonio, dando parziale visibilità ai blogger che diffondevano il messaggio ma immensa visibilità a sé stesso! E fin qui nulla di male, dopo tutto anche i portatori sani del virus hanno ricevuto dei benefici in termini di visibilità; esistono però casi maligni, ad esempio i molti post sui social network in cui si chiede di diffondere notizie false facendo leva su emozioni forti quali pietà, compassione, rabbia. Scatena un’emozione forte in qualcuno nel modo giusto, e gli farai fare ciò che vuoi!

influenza

Ma facciamo un passo oltre: questo meccanismo è vero più in generale per le idee: se sono in grado di fare presa sul substrato che utilizzano per diffondersi (i cervelli), possono replicarsi e perpetuare la specie per secoli (vuoi un caso emblematico? Il Cristianesimo è un’idea che si propaga, assumendo ad ogni passaggio modifiche evolutive – in senso darwiniano – da più di 2000 anni!). Il genetista Richard Dawkins ha utilizzato il termine memi per identificare questa sorta di geni di secondo livello, con argomentazioni che ritengo assolutamente convincenti; i memi si propagano di cervello in cervello così come i geni si propagano di corpo in corpo, e possono essere considerati a tutti gli effetti come entità a sé stanti, che trascendono il particolare supporto che in quel momento li sta ospitando. Ti senti sminuito perché relegato al ruolo di semplice supporto delle tue idee? Scusa. Ma dopotutto è quello che siamo, hardware.

Ma torniamo a noi: che insegnamento possiamo trarre da tutto questo? Direi senz’altro quello di diffidare di ogni tipo di automaticità nella risposta agli stimoli esterni. Tutto ciò che è automatico può essere pericoloso, perché ci fa prendere decisioni che solo apparentemente sembrano nostre; è importante rendersi conto di questo fenomeno, perché sta alla base dei molti meccanismi di marketing, propaganda elettorale, demagogia e quant’altro, che ci fanno comportare come massa non pensante invece che individui coscienti.

E non puoi dire che non ci siano fulgidi esempi davanti ai nostri occhi…

Riferimenti bibliografici:

Richard Dawkins – Il gene egoista, la parte immortale di ogni essere vivente

L’esperimento della radio


Voglio adesso raccontarti di una mia esperienza recente, testimonianza di alcuni tentativi di uscita dal solco.

Per ragioni che non è il caso di approfondire in questo articolo, ho scelto di rinunciare per una quindicina di giorni a tutta una serie di input provenienti da televisione, internet e affini, a meno che non fosse necessario per lavoro o studio.

Per la televisione è stato facile, in casa non ne abbiamo. Per il computer, siccome faccio il programmatore, la rinuncia è stata per lo più rivolta a social network, streaming audio video e similari. Ho incluso della lista anche la radio, di cui normalmente faccio ampio uso durante gli spostamenti in macchina, ed è stata questa l’esperienza più significativa di cui ti voglio rendere partecipe.

Ascoltare la radio per me è un’abitudine molto radicata, e nei primi giorni di ramadan è accaduto sovente che, a livello inconscio e completamente meccanico, appena allacciata la cintura la mia mano andasse a premere il tasto di accensione, salvo poi ricordarsi del fioretto e ritrarsi. Pure durante il viaggio, immerso in altri pensieri, spesso avvertivo una sensazione di mancanza, sentivo un vuoto che andava colmato, e nuovamente mi portavo meccanicamente verso il tasto di accensione.

Come strategia per sopravvivere a questa insopportabile astinenza ho deciso allora di sostituire gli input sonori con altri tipi di input, in particolare osservando meglio il mondo che mi circondava lungo il tragitto casa-lavoro. Mi concentravo di più sui particolari (cercando ovviamente di non uscire di strada, spesso è stato necessario rallentare), ora osservavo meglio quel pino dalla forma strana, perché la galaverna della stagione precedente gli aveva spezzato la punta, quel giardino così ben curato, il ponte a due arcate della ferrovia a scartamento ridotto che, chissà come mai, neanche sapevo esistesse, appena appena si intravvedeva fra gli alberi spogli.

Insomma, per quei quindici giorni mi sono trovato costretto a vivere maggiormente il momento presente, ma soprattutto a violare dei meccanismi automatici a cui ero assuefatto costringendo il mio cervello in qualche modo ad intervenire per gestire una situazione nuova.

Di fatto mi sono reso conto che era possibile prelevare informazioni da una parte della mia vita che, considerata superficialmente, non aveva più nulla da offrirmi visto che si ripeteva più o meno sempre uguale da tredici anni. Capito che significa? Per tredici anni due ore della mia vita praticamente non sono state vissute, in quanto completamente scollegate dalla contingenza presente. Due ore per tredici anni sono circa 460 ore (se consideriamo solo gli spostamenti per il lavoro), una ventina di giorni solari! Considerata da un punto di vista statistico mi conviene smettere con questo vizio ed iniziare a fumare.

Terminato il programmato periodo di rinuncia, mi sono finalmente concesso di riaccendere la radio e, con mia sorpresa… mi sono accorto che mi dava fastidio! Le impressioni che ricevevo dal mondo esterno si erano rivelate molto più nutrienti di quelli che arrivavano via etere.

Diciamocelo, non che questa rinuncia rappresenti chissà quale conquista: fra l’altro non voglio affatto schierarmi contro l’uso della radio, sia ben chiaro: qui l’indice è puntato contro le abitudini. Il punto è che questo esperimento ha dimostrato a me stesso di quanto siano spesso falsi i nostri bisogni, e di quante menzogne possiamo raccontarci pur di non sacrificare la quotidianità.

Questa no, non è cosa da poco.