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Le dimensioni della consapevolezza


In questo periodo si parla molto, nei vari testi e video di evoluzione spirituale, di passaggio dall’attuale livello di coscienza 3D al nuovo livello 5D. La mia petulante razionalità, che vuole sempre avere voce in capitolo ed è evidentemente ancora saldamente ancorata alla terza dimensione, si è domandata cosa significhi tutto ciò, e in cosa consistano le dimensioni di cui stiamo parlando. Voglio ora condividere con te alcune personalissime conclusioni con cui l’ho messa provvisoriamente a tacere; non prenderle troppo sul serio, sto solo giocando un po’.

Partiamo innanzitutto dal concetto di dimensione logica attraverso un esempio che distingue fra ‘uso’ e ‘menzione’ delle parole.

Se affermo:

Genova è sul mare

sto usando la parola ‘Genova’ nella sua funzione di indicatore semantico che permette di individuare mentalmente la città in questione.

Se invece affermo:

'Genova' è composta da sei lettere

come puoi notare dal virgolettato non sto usando la parola, ma la sto menzionando: non intendo riferirmi alla città, ma, appunto, alla parola stessa (affermare che una città è composta da sei lettere sarebbe privo di significato).

Questo esempio mette in evidenza due livelli fra loro non mescolabili:

  1. al primo livello si parla di oggetti;
  2. al secondo livello si parla di parole, che a loro volta parlano di oggetti; in altri termini, si parla del primo livello: è un linguaggio che parla di un altro linguaggio, ossia un metalinguaggio.

Nel quotidiano questi due livelli tendono a confondersi perché entrambi si avvalgono della lingua naturale, anche se riusciamo implicitamente a distinguerli; talvolta non ci riusciamo e allora nascono incomprensioni o situazioni comiche nella loro paradossalità.

L’esempio qui riportato si può parimenti applicare alla nostra percezione del mondo, che si stratifica lungo diversi livelli di consapevolezza; ciascun livello, o dimensione, si riferisce a (parla di, dà un significato a) il precedente.

  1. Livello delle sensazioni; i sensi mi fanno percepire oggetti intorno a me, che distinguo ma che non comprendo ancora appieno; è il livello della mia conoscenza del mondo.
  2. Livello funzionale, che completa di significato quanto percepito al livello precedente, parlando di esso: distinguo ad esempio una penna, che mi permette di tracciare segni su un altro oggetto, che chiamo ‘foglio di carta’; è il livello della mia conoscenza sul mondo: comprendo le potenzialità degli oggetti, ma non il loro lo scopo ultimo (perché tracciare segni su un foglio? Che senso ha?).
  3. Livello esistenziale, che dà significato al livello precedente, attribuendo una ragion d’essere ai vari oggetti: traccio dei segni su carta perché voglio comunicare. Facendo leva su un’interpretazione teleologica, questo è il livello del giudizio: utile/inutile, innocuo/pericoloso, giusto/sbagliato.

Questi tre livelli descrivono quelle che sono le dimensioni dello stato di coscienza 3D, e si possono applicare, oltre che al mondo circostante, anche alla percezione del sé, secondo la sequenza:

  1. attraverso i sensi mi accorgo di esistere, ma non so nulla di me;
  2. osservando ciò che i sensi mettono a disposizione, comprendo di essere un individuo in possesso di determinate caratteristiche; a questo livello non so ancora qual è il loro scopo, non riesco a dar loro un significato;
  3. osservando quanto appreso al secondo livello, comprendo che posso dare un senso alla mia esistenza ad esempio mettendo a disposizione le mie attitudini, offrendo prestazioni che possano migliorare la vita altrui, ottenendo in cambio una remunerazione che permetta il sostentamento mio e della mia famiglia.

Poiché ogni livello ‘spiega’ il precedente, è evidente che per poter modificare quanto percepito ad un livello occorra ricercare un significato per tale cambiamento, e questo si può fare solo al livello immediatamente superiore.

Posso ammettere che il colore della penna è verde e non rosso come credevo (livello 1), se attribuisco un significato a questo cambiamento giustificandolo col mio daltonismo (livello 2).

Posso accettare di lasciare il mio attuale impiego (livello 2), se riesco a collocare il cambiamento in un contesto di miglioramento professionale che garantisca maggior sicurezza per me ed i miei cari (livello 3).

Nietzsche sosteneva che chi ha un perché abbastanza forte può superare qualsiasi come; dalla lettura delle epistole dei condannati a morte durante l’olocausto si evince come coloro che riuscivano ad attribuire un significato alla propria morte (ad esempio perché sarebbe servita a rovesciare la dittatura) andavano incontro alla pena con maggiore serenità rispetto a coloro che credevano di essere stati giudicati per motivi assurdi.

Va rimarcato che più saliamo di livello più le resistenze al cambiamento di fanno forti: posso accettare di buon grado di aver scambiato una volpe per un gatto, sono assai riluttante nell’ammettere di essermi sbagliato sul conto del mio migliore amico, sono praticamente irremovibile sulle mie convinzioni etiche e morali, al punto che, se crollassero, rischierei la depressione o chissà quali altre patologie.

Fino a qualche anno fa ero in perfetto equilibrio nella mia coscienza 3D, e il significato che la consapevolezza di terza dimensione riusciva a dare alla mia esistenza era sufficientemente convincente; poi, piano piano, hanno iniziato a fare capolino i dubbi, per esempio: OK, OK, lavoro per mantenere me e la famiglia… ma è tutto qui, o c’è dell’altro? Questa è l’unica via per me? Che succede se non mi adeguo, se smetto di fare il bravo? La vita prosegue su binari diversi? Continua ad avere un senso?

Improvvisamente il mondo del counseling, così profondamente imperniato sulla sospensione del giudizio, mi ha aperto le porte del quarto livello di percezione; o almeno è questo che mi piace pensare.

Che significa astenersi dal giudizio? Significa rinunciare alla distinzione fra bene e male, o meglio, trascenderla. La distinzione rimane, ma su un piano diverso: resta nella terza dimensione, e la coscienza la osserva neutralmente dalla quarta.

Da quel nuovo piano perde di importanza lo specifico percorso che scelgo nella vita: ciò che conta è agire, fare esperienza, a prescindere dalla strada imboccata e dai risultati ottenuti; ogni cammino intrapreso sarà un tassello in più nella conoscenza di me; è questo il fine ultimo che, a questo livello percettivo, attribuisco alla mia esistenza.

E per un po’ ho ritrovato l’equilibrio che avevo perduto.

Ora sento che un nuovo senso di angoscioso vuoto mi pervade, sembra che tutto abbia perso valore e significato. L’impianto razionale che ho messo in piedi fin qui non regge più.

Che sia il preludio a un nuovo salto di coscienza? Riuscirò finalmente a dare voce al mio cuore?

Resto fiducioso in osservazione di me.

Watzlawick, Paul – Beavin, Janet Helmick – Jackson, Don D. – Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi

Marco Perasso – Fuori dal Solco

Regole e consapevolezza


Il numero di regole da noi ritenute utili è una buona approssimazione del livello di consapevolezza che abbiamo raggiunto.

Mi riferisco qui il termine ‘regola’ nella sua accezione più stringente, ossia quella normativa che associa una penalità al comportamento illecito, ma ne estenderò poi il significato nel prosieguo dell’articolo.

In questo mondo in cui domina l’illusorio principio di causa-effetto è evidente che ad ogni comportamento adottato seguiranno delle conseguenze; quando si introducono delle regole, chi legifera si sostituisce all’ordine spontaneo introducendo delle conseguenze artificiali (sanzione disciplinare, pecuniaria, limitazione della libertà) per poter pilotare il flusso degli eventi evitando conseguenze naturali ben più gravi.

La consapevolezza indica il grado di maturità raggiunto dall’individuo, a prescindere dall’età anagrafica, anche se si potrebbe supporre che con l’avanzare dell’età essa aumenti.

Il genitore dice al bambino di cinque anni di non attraversare mai la strada da solo, perché è pericoloso; se lo fa, lo punisce: una sanzione lieve, ‘certa’, artificiale, tende a evitare una sanzione più pesante, ‘naturale’, anche se solo potenziale: essere investito da un’auto.

Il bambino diventa adulto, la sua consapevolezza aumenta: adesso il divieto di attraversamento non è più assoluto, ma altre figure autoritarie di riferimento lo tengono in vita: è consentito attraversare la strada, ma solo sulle strisce, pena la multa. Il vincolo è rilassato, il meccanismo di base rimane. L’obiettivo finale è sempre quello di evitare un male peggiore.

L’individuo adulto dotato di un certo livello di consapevolezza è, appunto, cosciente di tutto questo, e si concede di disattendere il divieto quando le circostanze lo rendono palesemente insensato: è notte fonda, non c’è anima viva in giro, e le poche auto che dovessero passare si vedrebbero arrivare in lontananza per via delle luci, o se ne avvertirebbe il rumore. Il rischio è talmente basso che a quel punto l’attenzione si sposta su un altro fronte, ossia la possibilità di essere notato da un vigile; sdoganato anche quel pericolo, la regola viene ignorata e si gode il beneficio di risparmiarsi qualche decina di metri di cammino.

Per riassumere: l’individuo viene sottoposto a regole fintanto che non sviluppa una maturità tale da disciplinarsi in autonomia, per il bene proprio e anche per quello della collettività che, in definitiva, coincide col proprio.

Se ci rifletti, questo è valido in ogni circostanza; rubare è vietato perché una società in cui fosse ammesso sarebbe invivibile, ma se questa fosse interamente composta da individui consapevoli non ci sarebbe bisogno di una legge esplicita in tal senso, perché ciascuno saprebbe che a un vantaggio nell’immediato seguirebbe uno svantaggio ben maggiore nel futuro.

Resterebbero solo delle convenzioni utili a scopi pratici, come tenere la destra nelle situazioni di traffico nei due versi di marcia.

Convenzioni per evitare malintesi o vuoti decisionali, insomma, anche se sono convinto che un sufficiente livello di consapevolezza permetterebbe di ‘sintonizzarsi’ al volo con l’altro, e capire immediatamente la direzione da seguire per evitare lo scontro. Fisico e non.

La sintonia potrebbe addirittura arrivare al punto da rendere superflua la stessa convenzione su cui si basa il linguaggio naturale, rendendo così inutili le parole.

Quanto osservato è applicabile a livello sociale, ma anche del singolo: fino a che punto hai bisogno dell’approvazione del prossimo? Quanto ti appoggi all’esterno, per valutare se i tuoi comportamenti sono ‘corretti’? Al di là di leggi o regolamenti: in che misura segui le indicazioni dello specialista di turno, dell’amico esperto, del cuggino tuttologo?

Quanto sei consapevole di tutto ciò?

Reo con-fesso


          Lam 
Adesso confesso, col mio fare sommesso.
       Sol                        Re                       Lam
Ho guardato dentro al cuore con distacco e con discreto successo
   Sol                      Re                     Lam
isolando le concause dei problemi che mi piovono addosso
      Mim                                               Lam
ho cercato, analizzato ma il responso è quasi sempre lo stesso

                Lam 
Ebbene sì lo confesso!
      Sol                         Re                      Lam
io comprendo chi mi lascia con sarcasmo nella scia del sorpasso
      Sol                     Re                      Lam
nella vita sei reietto se non credi alle bugie del progresso
        Mim                                                Lam
e il giudizio della corte è il solo premio che mi viene concesso.

           Lam 
Io sono un fesso!
       Sol                           Re                       Lam
Il mio uscio è sempre aperto, puoi rubarmi il poco che mi è rimasto
      Sol                           Re                        Lam
io mi svendo e non comprendo l’abbondanza di chi siede al mio posto
       Mim                                                Lam
fai un plauso a quest’ingenuo che non vuole far pagare l’ingresso   

              Mim 
Ma che povero fesso...

           Lam 
Io sono un fesso, non difendo me stesso
ghiotta preda di chi al mondo ha la mania del possesso
                   Sol
mi commuove chi mi prega di non piantarlo in asso
scavalcando quei confini che gli avevo concesso
           Re
Io sono un fesso, credo nel compromesso
sono un bimbo di buon senso e muovo il primo passo
                  Lam 
mi difendo col sorriso, faccio quello che posso
e se muoio non risorgo, pure se crocefisso 
                Sol
mi manipola per bene chi sa piangersi addosso
per poi dopo scaricarmi in mezzo a chi è retrocesso
           Re
Io sono un fesso, troppo spesso compresso
sempre a tua disposizione, pure quando sto al cesso

                   Lam            
Pure quando sto al cesso. Ma quante volte è successo! 
                  Sol  
Accade sempre più spesso!
               Re
E poi comunque vada…
         Lam
Sarà sul cesso!
         Sol      Re
Comunque vada…
            Lam
io sarò sul cesso!
               Mim 
Beffa del contrappasso…

           Lam 
Io sono un fesso, non conquisto l’amplesso
sono troppo un buon amico per accedere al sesso
                     Sol
come un cane mi accontento quando mi tiri un osso
vado in guerra con la fionda, sono proprio malmesso
           Re 
Io sono un fesso, qualche volta depresso
penso di dover comprare se disturbo il commesso
                   Lam 
Me ne vado in giro solo troppo a lungo represso
se difendo l’orticello dopo un poco mi stresso
                  Sol
dimmi quanto sono bravo e se mi sfrutti è permesso
ti farò sentir vincente dopo quello che ho ammesso
                      Re
molto lieto che il confronto ti regali il successo
ma il bilancio è prematuro meglio non farlo adesso

                  Lam
meglio non farlo adesso, aspettiamo il trapasso
     Sol                      Re                      Lam
Rimandiamo a quando ci ritroveremo tutti sotto a un cipresso
    Sol                         Re                  Lam
nonostante il tuo giudizio sono fiero di restare me stesso
     Sol                      Re                     Lam
e ti lascio a degustare la vittoria contro un reo confesso
      Sol                     Re                      Lam
Ne riparliamo quando ci ritroveremo tutti sotto a un cipresso

Parole e musica di Marco Perasso, Licenza Creative Commons.

Riflessioni criptiche di un programmatore – Fuori dal solco yin e yang


Uscire dal solco è per me avvicinarsi alla verità, ossia aumentare la consapevolezza.

Una strada è quella di abbandonare giudizi, preconcetti, interpretazioni.

Fare il vuoto, aumentare l’entropia.

L’entropia è la misura, al negativo, della quantità di informazione: maggiore l’entropia, minore l’informazione.

Un’idea è una sorta di avvallamento nella superficie mnesica, un solco; se abbandono l’idea senza sostituirla con un’altra il solco si appiana e l’informazione si riduce, l’entropia aumenta.

E’ come cancellare dei segni da un foglio fino a tornare alla superficie bianca, in cui l’entropia è massima e l’informazione nulla, è quella che definirei la via yin all’illuminazione.

Ma a ben vedere esiste una seconda via altrettanto valida, che definirei yang, e consiste nell’aggiungere informazione.

Via via che si maturano nuove idee la superficie mnesica si arricchisce di solchi, il foglio si riempie di tratti fino ad arrivare a una superficie uniformemente scavata, a un foglio senza più spazi bianchi.

Il massimo dell’informazione equivale a nessuna informazione. L’infinito collassa nello zero. Il cerchio si chiude.

Non importa che strada scegli, l’entropia, per un ben noto fenomeno fisico, è destinata ad aumentare, e alla fine la verità avrà il sopravvento.

E’ solo questione di tempo. The best is yet to come!

Ringrazio Corrado Malanga per i suoi preziosi spunti sull’entropia.

L’economia del dono


“Non riesco proprio a credere che in questo paese si possa vivere senza denaro.”

“Probabilmente non hai abbastanza fiducia.”

“Non vedo cosa c’entri la fiducia… comunque ti sarei profondamente grato se volessi togliermi qualche curiosità, perché davvero sono incredulo!”

“Ma certamente, sono a tua disposizione, chiedi ciò che vuoi… non ti costerà nulla!”

“Grazie! Non so proprio da dove cominciare… ecco, partiamo dal cibo. Supponi che io voglia del pane. Mi stai dicendo che è sufficiente che vada da un panettiere e ne prenda quanto ne voglio?”

“Se per ‘quanto ne voglio’ intendi la quantità di cui hai bisogno, la risposta è sì. Se invece intendi fare scorte per il futuro, allora no: nel nostro paese ciascuno sa che può prendere esattamente quanto gli serve in quel momento, tutti si comportano così. E’ uno dei principi su cui si basa la nostra economia.”

“Ma io potrei volerne un po’ di più per far fronte a imprevisti futuri…”

“Ecco, lo vedi che ti manca la fiducia? Perché mai dovresti prenderne di più? Io so nel mio profondo che, se domani avrò bisogno, troverò ciò che mi serve. Non mi occorre accumulare alcunché, salvo che per evidenti motivi pratici, ad esempio perché prevedo di non uscire di casa nei prossimi giorni.”

“Va bene. E il panettiere? Come fa fronte ai costi per produrre il pane? Avrà pur bisogno di farina, legna da ardere, acqua…”

“Lo sai da te… li troverà messi gratuitamente a disposizione da qualcun altro.”

“E perché mai dovrebbe lavorare senza avere nulla in cambio? Cosa lo spinge a farlo?”

“Il piacere di avere le mani in pasta; il piacere di leggere nei tuoi occhi la soddisfazione provata mangiando il frutto del suo lavoro. Il piacere di avere uno scopo nella società in cui vive.”

“Va bene. Ma chi gli garantisce che troverà le quantità di farina di cui ha bisogno? O la legna per il forno?”

“Ci risiamo, non riesce proprio ad entrarti in testa. La fiducia! E comunque, quando ha deciso di aprire una panetteria sapeva che in zona c’erano dei produttori di farina, d’altro canto queste sono valutazioni preliminari che fate anche nel vostro paese, no? Cambia solo il fatto che, a differenza nostra, voi pagate le materie prime, e la maggior parte delle vostre azioni è guidata dal senso del dovere invece che dal piacere. E’ come se viveste per pagare debiti che pensate di avere ereditato fin dalla nascita; questo atteggiamento mi ricorda tanto un famoso peccato di biblica memoria.”

“In effetti l’idea di prendere del pane senza dare nulla in cambio mi farebbe sentire parecchio a disagio! Penserei di essere debitore, appunto, di dovere qualcosa a quella persona!”

“Questo perché, a differenza sua, non hai fiducia nel fatto che egli avrà un ritorno dalla sua opera, seppure molto indirettamente! La fiducia permette di cambiare drasticamente la prospettiva, non si sente più l’esigenza di avere un ritorno immediato, e a quel punto anche il concetto stesso di ‘ritorno’ perde significato. Procurarsi il sostentamento non è più un problema perché una moltitudine di persone mette a disposizione gratuitamente le risorse, e questo permette a ciascuno di fare ciò che più gli piace, e di farlo anche al meglio, visto che è un piacere e non un dovere. In tal modo permetterà a sua volta ad altri di godere della propria opera.”

“Mi sembra tutto molto utopistico. Credo che prima o poi qualcuno si approfitterebbe della situazione, e inizierebbe a prendere senza mai dare nulla in cambio.”

“Intanto, noto dal tuo linguaggio che ancora non sei entrato nella giusta prospettiva. Non c’è nulla da dare in cambio. Qui da noi le persone non fanno alcunché allo scopo di usarlo come oggetto di baratto; ad esempio il panettiere non produce pane perché vuole scambiarlo, ma perché prova soddisfazione nel crearlo e nel donarlo. Stando così le cose, perché mai qualcuno dovrebbe approfittarsi della situazione, come dici tu, smettendo di fare ciò che gli piace? Sarebbe piuttosto sciocco, non trovi?”

“Ok, ok. E se ciò che piace a una persona non servisse a nessuno? In quel caso, quella persona non sarebbe un parassita della società?”

“Credevo che tu conoscessi meglio l’animo umano! La vera soddisfazione di ognuno nasce dal piacere della condivisione, di relazionarsi agli altri, di sentirsi utili. Sai bene che vita infelice conduce chi lavora solo per soldi, facendo un mestiere che non ama. La persona di cui parli troverebbe prima o poi il modo di appagarsi con un’attività che torna utile a qualcuno.”

“Mi sembra tutto così assurdo! Sarà che arrivo da un mondo in cui il concetto di fiducia è così raro…”

“Penso che tu stia parlando in modo poco consapevole. Dove tieni, ad esempio, i tuoi soldi?”

“Beh, la maggior parte sono in banca.”

“Ecco. E pensi che la banca te li conservi chiusi in cassaforte, in attesa che tu vada a ritirarli?”

“A dire il vero, non so… no, credo proprio di no!”

“Appunto. La banca investe il tuo denaro prestandolo; e lo stesso fa con il denaro di tutti gli altri risparmiatori. Se un bel giorno decideste in massa di riprendervi i vostri soldi, la banca non potrebbe in alcun modo onorare gli impegni. L’intero meccanismo si basa sulla fiducia nella banca stessa e nel fatto pragmatico che non andrete tutti a ritirare i soldi allo stesso momento. Quindi, anche il vostro sistema per certi versi si basa sulla fiducia, tutto sommato. Fiducia che voi riponete nell’istituto di credito e nei suoi meccanismi di funzionamento e garanzia, mentre noi la riponiamo in qualcosa di ben più vasto e, permettimi, affidabile.”

“Quindi, in un certo senso da voi non esiste la proprietà privata…”

“Nulla di più falso. Se non possedessi nulla di mio, come potrei mai farti dono di qualcosa?”

“Forse confondo l’economia del dono con il comunismo…”

“Forse. L’economia pianificata, che in passato ha mostrato tutti i suoi aspetti fallimentari, priva il singolo di ogni proprietà e assegna la gestione di ogni bene e risorsa produttiva allo stato. Ma lo stato è fatto di uomini, e gli uomini che si trovano a gestire ricchezze così ingenti, il tutto inserito in una logica scambista, saranno inclini ad approfittarsi della situazione a discapito dei più. Fenomeno che di fatto è accaduto, nella storia, trasformando il comunismo in una forma di oligarchia mascherata.”

“E’ davvero difficile affidarsi, come dici tu, al fatto che ogni mio bisogno futuro sarà in qualche modo soddisfatto.”

“L’intera vita è una questione di fiducia: lo stesso atto di camminare presuppone per un istante l’abbandonarsi nel vuoto confidando che presto il piede toccherà terra garantendo stabilità. E la vita in fondo non è un cammino? Tutte le sicurezze che ti fanno sentire tranquillo sono in fondo illusorie, la fiducia nella vita è l’unica vera forma di protezione contro ogni preoccupazione.”

“Mi stai convincendo a livello mentale, ma credo che farei molta fatica a mettere in pratica ciò che dici quotidianamente, questo deve diventare proprio un modo di essere…”

“Non ti crucciare, l’economia del dono non nasce da una scelta razionale, ma viene dal cuore. Quando il tuo livello di consapevolezza sarà sufficientemente maturo, ti ritroverai automaticamente circondato di persone che vibrano su questi livelli, e ti accorgerai improvvisamente che quello che chiami modo di essere è diventato una realtà. Ti ritroverai nel nuovo mondo senza neanche averlo deciso; ora non hai altro da fare, se non accrescere la tua consapevolezza.”

Riferimenti bibliografici:

Devana – Eko-nomia. Il futuro senza denaro

Produci, consuma… crepa!


Una colossale diga trattiene enormi masse di acqua, energia immobilizzata da tempo che, se si esprimesse di colpo, potrebbe deflagrare in un’immensa esplosione che devasterebbe e cambierebbe definitivamente i connotati dell’intero mondo circostante.

Eppure il lago sembra fermo e placido, nascondendo a uno sguardo superficiale l’enorme potenziale che racchiude.

Nei momenti in cui riesco a sopraelevarmi, distaccandomi dalla percezione limitata della mia vita, posso vedere questo scenario dall’alto, e allora sento che dovrei fare qualcosa: quella diga deve crollare, il mondo è arrivato a un capolinea, il genere umano sta lentamente consumandosi nell’automatismo dei suoi meccanismi egoici.

Ma quel muro è solido, troppo solido per le mie minute forze; è un’impresa troppo grande per me, non ce la farò mai.

Poi, improvvisamente, mi vedo, e capisco chi sono.

Sono una minuscola crepa, laggiù, in un angolino in basso. Da quella crepa trasuda qualche goccia di acqua.

E poi vedo che ce ne sono altre, più distanti da me, a livello locale distribuite irregolarmente ma, su larga scala, in modo piuttosto uniforme.

Non sono solo.

E allora mi sento pervadere da un rasserenante entusiasmo.

Non è la mia forza che farà crollare il muro. E nemmeno la forza della altre, piccole, crepe. E nemmeno la totalità delle nostre forze messe assieme.

Sarà l’inimmaginabile forza del lago a distruggere la diga che lo sta imbrigliando, grazie a queste crepe che gli offrono uno spiraglio, un aggancio, uno spunto.

Non devo più affannarmi, è sufficiente lasciarsi attraversare dalle sue acque, liberare il più possibile il passaggio, perché questo io sono: un minuscolo canale che, se lasciato sgombero, si amplierà grazie alla forza stessa dell’energia che lo attraversa.

Non serve altro: lasciare scorrere. Ecco quello che accade quando dò libero sfogo alla mia creatività scrivendo un articolo, una canzone, lavorando il legno: mi connetto alla sorgente e lascio che l’energia mi attraversi esprimendosi nel mondo materiale.

E allora capisco anche le mie paure, ciò che mi fa chiudere in me stesso rallentando il flusso vitale: se la crepa si allarga, ad un certo punto si unirà con altre, perderà la propria individualità; paradossalmente, la mia illusoria esistenza è garantita da quei blocchi di cemento solido e immobile che tanto detesto, e che a loro volta tanto mi odiano ed emarginano in quanto pericolosa falla!

Ma se riesco a trascendere tutto ciò, a disidentificarmi da quella fessura nel muro, insignificante e allo stesso tempo così determinate, allora divento parte del tutto: che le forze dell’Universo esprimano la loro potenza attraverso me!

Facciamo gruppo!


Il mondo in cui vivi non è né buono né cattivo, è solo un riflesso del tuo stato interiore.

Per migliorarlo non devi fare nulla là fuori, l’unica strada percorribile è quella di lavorare su di te, sulla tua consapevolezza.

Osservare e lavorare sui propri meccanismi interni di funzionamento, per lo più caratterizzati da reattività e automatismi, è un compito assai arduo, perché i nostri sistemi difensivi tendono a non farceli vedere, mascherandoli in modo da farci attribuire la colpa all’esterno.

Ma finché ti ostini a dare colpe, e non ti riappropri della tua RESPONSABILITA’, che poi si traduce nel tuo POTERE di cambiamento, resterai in balia degli eventi.

La chiave di svolta è comprendere che non ci sono colpe, solo mancanza di consapevolezza.

Se portare avanti questo lavoro da soli è difficile, le cose cambiano quando ci si trova in un gruppo, i cui membri siano animati dallo stesso intento: in un ambiente protetto, privo di giudizio e aperto all’ascolto, ciascuno portando le proprie esperienze, le proprie sensazioni, le proprie emozioni, può fare da specchio agli altri, in un comune cammino verso una accresciuta consapevolezza.

Questo mondo lo cambieremo tornando alla dimensione umana, alla relazione sincera e genuina, al contatto.

Io ho fiducia.

Se vuoi saperne di più, e partecipare ai nostri incontri, contattami.

Scoprire di non essere soli riscalda il cuore.

Entropia e consapevolezza


Recentemente sono venuto a contatto con le teorie del professor Corrado Malanga, secondo le quali esisterebbe un parallelo fra l’aumento dell’entropia, sancito dal secondo principio della termodinamica, e l’aumento della consapevolezza dell’umanità; ho già avuto modo di esporre questo tema, seppure in forma diversa, in un altro articolo.

In prima battuta mi è sembrata una incoerenza: essere consapevoli rimanda a un concetto di ordine, mentre l’entropia rappresenta, nella comune accezione, il disordine: come può l’aumento del disordine corrispondere ad un aumento della consapevolezza?

Poi ho compreso: in realtà ero io a trovarmi in aperta contraddizione col mio stesso tentativo di uscire dal solco, che con questi articoli cerco di portare avanti. Uscire dal solco non significa forse aumentare il disordine? Cos’è un’idea, se non uno stato polarizzato (dunque ordinato) all’interno della mente?

Un’idea è uno strumento cognitivo che ci permette di discernere: è frutto di un’operazione di separazione che mette appunto ordine nelle informazioni: da una parte ciò che è giusto, dall’altra ciò che è sbagliato; è come avere tante palline rosse e blu sparpagliate in una scatola e operare una serie di spostamenti in modo da far chiarezza nella confusione, mettendo le rosse di qua, le blu di là.

Raggiunta questa nuova configurazione (arbitraria come tante altre: avrei potuto ordinare in base al livello di ‘ruvidità’, invece che al colore) mi sento più facilitato a muovermi nel mondo, ma questo resta comunque solo un espediente pratico per prendere decisioni, senza alcuna valenza assoluta.

Uscire dal solco rinunciando alle proprie idee e convinzioni significa agitare con vigore la scatola, lasciando che le palline tornino ad uno stato di apparente confusione, per poi magari tornare ad ordinarle (quanta assolutezza ha perso questa parola, adesso!) in nuove configurazioni, più funzionali alla situazione contingente.

L’esperienza me lo conferma: per quanto salde possano essere radicate nella mia mente, prima o poi accadono eventi che vanno a demolire tutte le mie convinzioni (certo, ammesso che abbia il coraggio di accogliere la realtà per ciò che è, senza piegarne l’interpretazione secondo i miei comodi).

Per quanto ci sforziamo dunque di creare ordine in qualche angolo dell’Universo, o della nostra mente, è bene che teniamo sempre presente che sarà comunque provvisorio, perché il secondo principio della termodinamica è destinato a spazzare via tutto, fino all’appiattimento nella consapevolezza suprema, la presa di coscienza finale: la Morte.

Penitenziagite


Nel medioevo le masse venivano pilotate facendo leva sulla paura del Diavolo e dell’inferno. La Chiesa ha prosperato per centinaia di anni grazie a questo strumento.

Poi ci siamo evoluti, e la religione ha perso il suo ascendente sulla coscienza popolare.

La scienza e il progresso hanno spazzato via antiche forme di superstizione.

Ma la necessità di manovrare le masse è rimasta.

E come ogni liberatore che non tarda a diventare il nuovo despota, la scienza ha preso il posto della religione.

Adesso impera lo scientismo.

Il nuovo Demonio è la malattia. Il nuovo Sacramento è la medicina.

Muta la forma, ma non la sostanza.

La vera liberazione può avvenire solo dall’interno di ciascuno di noi.

Andrà tutto bene un cazzo!


Non ci sono dubbi, l’epidemia rientrerà. Svilupperemo gli anticorpi, come singoli e come comunità. Torneremo a vederci nei pub affollati, ad abbracciarci, ad insultarci negli ingorghi cittadini.

Ma c’è un altro virus che in questi giorni così surreali si sta diffondendo, e pochi lo vedono; è un virus che non si propaga di corpo in corpo, ma di mente in mente, e le moderne tecnologie dell’informazione gli offrono potentissimi canali per dilagare incontrastato.

Avrai certo notato sui social gli innumerevoli post sull’epidemia, talvolta allarmistici, talvolta di speranza, talvolta meramente di servizio, talvolta moralizzatori (ah, quanto ci piace indicare la retta via agli altri!).

In questo fenomeno io ho notato, limitatamente a quel che può valere il mio remoto angolo di osservazione, una società che si lascia facilmente attraversare da queste ‘ondate’ informative: lo strumento principe è l’emozione che, scatenata da un articolo sui social, o da un messaggio in una chat, innesca nell’inconsapevole lettore la compulsione a condividere dopo aver ingoiato l’informazione per intero, senza averla masticata, digerita, assimilata

L’informazione circola quindi velocemente, e non senza effetti pratici, perché provoca nelle persone comportamenti pilotati e per nulla coscienti.

L’anticorpo a queste forme di epidemia è la consapevolezza, e i dati di fatto mi lasciano pensare che nella nostra società sia presente in livelli davvero bassi.

Il nostro corpo è sicuramente più intelligente della nostra mente (anche se da bravi sapiens sapiens crediamo di essere al top dell’evoluzione grazie a quest’ultima), e non ci metterà molto a prendere delle contromisure contro il Covid-19; ma la mente nemmeno sa di avere un problema, tanto è distratta dalla preoccupazione di proteggere il corpo. E anche se realizzasse di averlo, non è poi così forte da resistere alle compulsioni, diciamocelo; è molto abile a inventare scuse per occuparsi d’altro.

E se oggi il virus mentale che circola è tutto dedicato alla pandemia, quando questo tipo di emergenza sarà passato ne circolerà un altro; d’altra parte fino a qualche settimana fa circolavano i virus sull’immigrazione, sul  terrorismo, sui crocifissi nelle scuole.

Per non parlare dell’enorme numero di vittime provocato una ottantina di anni fa dal virus della razza ariana: il Covid-19 gli fa un baffo.

Concludendo: le giuste forme di profilassi che stiamo adottando, unitamente alla intelligenza del nostro sistema immunitario, ci tireranno sicuramente fuori da questa situazione drammatica. Ma se l’umanità resta all’attuale livello di inconsapevolezza, che il fenomeno Covid-19 ha reso ai miei occhi particolarmente evidente, perché mai dovrei aspettarmi che le cose migliorino?