Archivio mensile:aprile 2014

La signora imbizzarrita


Ieri era una bella giornata di sole, sono uscito in mountain bike con gli amici; siamo andati sul monte Lavagnola, lungo l’Alta Via dei Monti Liguri. Si tratta di un sentiero relativamente trafficato, quando è bel tempo incontri escursionisti, gente a cavallo, motociclisti (anche se è vietato).

Giunti in vetta, mentre ci godiamo il meritato riposo, arriva un cavaliere; poco prima di raggiungerci l’animale mostra segni di inquietudine, chi sta sopra di lui rischia di essere disarcionato ma mantiene il controllo. Dice che si tratta di un puledro inesperto e suggerisce di continuare a parlare fra di noi con naturalezza, mentre tenta di invertire ripetuti dietrofront del recalcitrante mezzo di trasporto.

Alla fine ci nascondiamo dietro ad un cippo commemorativo e l’animale si convince che non siamo troppo pericolosi; raggiunge la vetta e si lascia accarezzare mansueto.

Tutto è bene quel che finisce bene, anche se per un attimo ho visto quel signore rischiare di volare giù per il ripido sentiero.

Lavagnola

Dopo qualche minuto cominciamo a scendere; finalmente, dopo tanto pedalare: è una discesa piuttosto divertente, che invita a lasciar andare i freni.

Ad un certo punto incontriamo due escursionisti a piedi, presumibilmente marito e moglie, sulla sessantina. La donna, che ci vede arrivare un po’ disinvolti, si spaventa e si inerpica a bordo del sentiero molto prima del nostro sopraggiungere nelle sue vicinanze; noi rallentiamo e quella inizia a mugugnarci contro in tono polemico che i sentieri sono fatti per andare a piedi e che non dovremmo essere lì, e bla… bla… bla.

Il marito ironizza imbarazzato cercando di stemperare l’atmosfera, le suggerisce di metterci in castigo.

Il compagno che sta di fronte a me inizia a rispondere a tono: i sentieri sono di tutti, e poi noi oltre a percorrerli ne puliamo e manuteniamo anche parecchi, e bla… bla… bla.

Il diverbio finisce quasi subito lì, noi proseguiamo il nostro giro e poco dopo incontriamo dei trialisti che risalgono il sentiero. Rimarrò per sempre con la curiosità di sapere quel che è successo quando hanno raggiunto quei due.

Ma l’osservazione che voglio condividere con te è: perché siamo stati tanto comprensivi con il cavallo, e così poco con la signora? Se ci rifletti, si è trattato della stessa reazione ad una situazione di spavento. Se il cavallo fosse stato dotato di parola, probabilmente non lo avremmo accarezzato così amorevolmente. So per certo che non abbiamo accarezzato la signora.

Nel fare questo parallelo non voglio essere indelicato né con l’uno né con l’altra, cerco soltanto di ribadire che è fuorviante continuare a dare così per scontata la discriminante della coscienza nel decidere i nostri atteggiamenti verso l’esterno. La meccanicità delle dure reazioni istintive in questo caso è stata identica.

Dobbiamo convincercene. Anche se, nella peggiore delle ipotesi, questo dovesse significare mettersi a litigare pure con il cavallo.

L’inevitabile atto di volontà


Voglio adesso tirare un po’ le fila di un discorso abbozzato in articoli precedenti, in particolare quelli in cui parlavo di abitudini (L’inversione dello strumento e L’esperimento della radio) e incazzature dovute a comportamenti altrui (Perché ce l’hanno con me?).

Sembrano argomenti apparentemente scollegati, in realtà sono unificati dal filone portante di questo blog, la presenza di solchi mentali. Ti chiedo la cortesia di farti un po’ di violenza psicologica nel leggere queste righe, perché ho intenzione di turbare, per l’ennesima volta, il tuo amor proprio.

Partiamo dall’ultimo articolo citato: in quell’occasione ho rilevato come, dato un evento esterno che ci danneggia, il nostro livello di rabbia sia molto più elevato se la causa scatenante è umana e non accidentale. Dico ‘accidentale’ proprio per rimarcare la differenza: intendo la totale mancanza di una qualche forma di volontà che causi, direttamente o indirettamente, il danno.

Già, perché se dall’altra parte c’è un evento fortuito, da un lato non ho modo di intravedere una qualche forma di persecuzione nei miei confronti (o, al meglio, colposa mancanza di riguardo), dall’altro non c’è nessuno con cui prendersela, viene meno la liberatoria soddisfazione di attribuire la colpa (anche se molti, affetti da manie di persecuzione, tendono a sottoporre a straordinari la propria fantasia pur di trovare il modo di riuscirci, arrivando persino a catalizzare una temporanea entità divina).

Alla base di tutto sta però un assunto: che ci sia differenza fra l’atto umano e l’evento accidentale. Il primo è causato da una volontà, e pertanto è evitabile, il secondo no: pur se apparentemente casuale, andando ad analizzarne a posteriori la meccanicità riusciamo a consolarci intravedendone l’ineluttabilità; pazienza, era destino! Tutt’altra cosa per quello stronzo del mio vicino che non si è preoccupato di tenere a bada le sue dannatissime capre, che hanno divorato la mia insalata.

Ma sei sicuro che le cose stiano così? Rispolveriamo adesso il discorso delle abitudini. Se ci fai caso, noterai quando queste siano preponderanti nel guidare i tuoi gesti quotidiani, molto più di quanto tu possa immaginare a prima vista. E più avanzi negli anni, più i solchi scavati le consolidano. E cosa sono le abitudini, se non meccanicità? Inevitabilità?

cellulare

Ora, se solo per un momento provi a pensare al tuo vicino come ad un agente permeato da abitudini, da meccanicità, non ti riesce forse più facile annoverarlo fra le cause accidentali? Se la risposta è no, probabilmente è dovuta al fatto che non riesci veramente ad inquadrarlo in quest’ottica.

Non ti chiedo (per ora) lo sforzo di considerare te stesso come un automa per lo più caratterizzato da mancanza di volontà, anche se dalla cosa trarresti enorme beneficio, ma di farlo con chi ti sta attorno. Prova ad osservarli, a notare quante cose fanno in un certo modo perché non possono fare diversamente. Se riesci a vederli in quest’ottica, allora riuscirai forse a giustificarli.

Non è un invito all’impunità, se qualcuno infila la mano nella pentola in ebollizione è normale che si ustioni, anche se lo ha fatto meccanicamente; è certamente opportuno che ciascuno subisca le conseguenze delle proprie azioni, ma questo non significa che non sia meritevole di un minimo di comprensione. Non fosse altro che per evitarci inutili, dispendiosi rancori.

Non ti convince quanto dico? Sii galileiano allora, sperimenta: scegli una delle tue abitudini, una ben radicata, e prova per una settimana a non lasciarti manipolare da essa, a sottrarti. Vedrai quanto sarà difficile, vedrai quanto ti sentirai meccanico.

E ricorda che le abitudini non guidano solo i comportamenti, ma anche le opinioni.