Archivio mensile:agosto 2017

Le fasi del mio allenamento


Quello che scrivo qui di seguito non ha nulla di scientifico, ma si basa unicamente sulle mie sensazioni durante un’uscita in bici o di corsa; prendilo quindi col beneficio di inventario, sottoponilo a verifica attraverso le tue esperienze, come peraltro dovresti fare per tutti gli articoli di questo blog.

Direi che per quanto mi riguarda, è possibile individuare nella prestazione sportiva tre intervalli temporali, separati da due punti di svolta.

Nella prima fase sono ancora freddo e la mia mente suggerisce che forse era meglio fare dell’altro; per il momento non sento ancora fatica, è una fase interlocutoria.

Che termina con il primo punto di rottura, temporalmente non troppo distante dall’inizio: la fatica fa capolino e la mia mente inizia a trovare mille scuse molto plausibili per fare dietro front. Sembra che non ce la possa fare ad andare avanti, più per un fatto di pigrizia mentale che fisico. Durante questa prima fase, l’evento sportivo non ha per me granché di piacevole.

Superato il primo punto iniziale, il motore inizia a girare a pieno ritmo, il cervello rilascia endorfine, e sono contento di non aver desistito: è decisamente piacevole questa pedalata (corsa).

Proseguo per un periodo più o meno lungo in funzione del mio allenamento (ipotizzando che il tempo a disposizione non sia un problema), quindi la stanchezza, quella vera, inizia a farsi sentire.

E qui veniamo al secondo punto di rottura; il corpo inizia a dare segni di cedimento, e la mente urla a gran voce che sono arrivato, stavolta supportata da evidenti prove empiriche. Finora ho fatto quanto il mio fisico mi permetteva dato il livello di allenamento; oltre? Hic sunt leones

Ma ho imparato a conoscermi, e so bene che i meccanismi di difesa del corpo mi fanno percepire il limite prima di dove esso si trovi in realtà. So che, se mi faccio un poco di violenza, posso andare ancora avanti. Più di quanto si possa immaginare.

Se lo faccio, entro nella terza fase, quella al di fuori della mia confort zone. Quella dove la fatica è davvero fatica, ma chissà perché la mente non la percepisce più di tanto, distratta com’è dall’adrenalina e dalle endorfine.

Questa terza fase è quella allenante. Quella in cui il corpo riceve informazioni dall’esterno che dicono che non è attrezzato a dovere, che dovrebbe adeguarsi per poter fare di più.

Quando esco dalla confort zone, pongo le basi per lo sviluppo del mio fisico.

Poi termina la prestazione, e qui è importantissimo il riposo, per permettere al corpo di recuperare, anche grazie ad una adeguata alimentazione. Ha ricevuto segnali di inadeguatezza, sa che potrebbe venirgli chiesto di più di quanto è attualmente attrezzato a fare, e si prepara per far fronte ad un carico di lavoro maggiore in futuro.

Il corpo evolve, migliora.

dumbo-limits

Ed ora proviamo a fare un salto mortale: ebbene, credo che quanto ora descritto per lo sviluppo del fisico, sia applicabile ad ogni altra tipologia di sviluppo personale.

Già, perché se voglio migliorare in qualunque campo, devo fare esperienze, mi devo mettere in gioco, devo iniziare a far cose che non avevo mai fatto prima. Anche qui, la voce nella testa suggerisce di lasciar perdere, eppure bisogna sforzarsi di non ascoltarla più di tanto.

Certo, entro margini ragionevoli: cimentarsi in una esperienza di astronauta dopo anni di vita sedentaria non è forse consigliabile, ma uscire un poco, gradatamente, dalla confort zone, sì.

Esplorare il perimetro di quelli che sono ritenuti i tuoi limiti, ed ogni tanto provare a passarne qualcuno, così, per gioco, per il gusto di vedere che succede.

Per scoprire con stupore che si può fare… che oltre non c’era il baratro, ma meravigliosi territori inesplorati… perfettamente alla mia portata.

La cosa grandiosa di tutto ciò è che, dopo questa esperienza, mi accorgo che la confort zone si è allargata, ed i nuovi limiti sono un pochino più in là… pronti per essere nuovamente superati!

Non pensi valga la pena di provare?

Le carote per il mio ego


Esiste un’applicazione per sportivi che si chiama Strava.

Con Strava puoi registrare le tue corse in bici, a piedi, a nuoto, per poi pubblicarle nel mondo social. Puoi verificare i tuoi progressi e condividerli con gli amici; i quali ti potranno poi elogiare pubblicamente con il classico ‘Mi piace’, o meglio ancora con commenti di stima.

Da appassionato di ciclismo e, di recente, di running quale sono, uso spesso questa applicazione. Molto spesso. Al punto da esserne diventato quasi dipendente: se il GPS ha dei problemi durante un’uscita ed il percorso non viene registrato, si rasenta il dramma: se non pubblico la prestazione è un po’ come se non l’avessi mai effettuata.

Molti miei amici (lo confesso: per lo più maschi) soffrono di questa evidente patologia psichica (e dai, non ti offendere, lo dico con ironia, giusto per sdrammatizzare). Alcuni di loro tengono addirittura a precisare, in fase di pubblicazione, che il GPS non ha registrato l’ultimo Km, oppure che c’era vento contrario, oppure ancora che si trattava di un giro di ‘scarico’ finalizzato al recupero.

Complesso da celodurismo tipicamente maschile, direi. Ma conosco donne, forse più testosteroniche della media, non del tutto esenti dal fenomeno.

Mi sono spesso colpevolizzato per questo mio modo di essere, ed anche un po’ vergognato. L’ho sempre considerata una deprecabile debolezza.

Poi ho riflettuto. Io sono fatto così. E allora?

Affrontare la questione sciorinando giudizi è quanto di più controproducente possa esser fatto. I dati del problema sono questi: invece di additarli o cercare di cambiarli, è molto meglio sfruttarli per generare vantaggi.

Dopotutto, durante una gara il tifo del pubblico è considerato benefico, giusto? Non c’è nulla di male ad essere incitati al fine di produrre endorfine che migliorino la prestazione.

Ebbene, nel mio caso i ‘Mi piace’ dei social sono un surrogato 2.0 del tifo. Il mio ego ha bisogno di queste piccole gioie per collaborare e spingermi a pedalare più forte? E diamogliele! Cosa mi costa in fondo?

Messi da parte i sentimenti auto accusatori, restano i giudizi altrui. Quelli delle persone che dicono che sono un esaltato. Ma che mi frega di loro? Ho bisogno di una carota per muovermi più in fretta, e me la auto fornisco. Se altri non ne hanno bisogno, buon per loro.

asini

Ciò che mi salva dalla patologia è la parziale consapevolezza: io so di avere bisogno di queste piccole cose per avere uno stimolo e, anzi, proprio perché lo so, sfrutto la cosa a mio vantaggio. Magari in una fredda mattina di pioggia non avrei voglia di uscire per allenarmi… ma poi penso a ciò che diranno gli amici quando pubblicherò la corsa con tanto di selfie sotto la pioggia… ed esco lo stesso. Debolezza, certo… bisogno di approvazione, certo… ma intanto alla fine sono uscito, vincendo la parte di me che non voleva abbandonare la comfort zone!

Se pensi di giudicarmi dal calduccio della tua poltrona, fallo liberamente: ti farà star meglio. In fondo anche tu hai diritto alle tue debolezze.