Quello che scrivo qui di seguito non ha nulla di scientifico, ma si basa unicamente sulle mie sensazioni durante un’uscita in bici o di corsa; prendilo quindi col beneficio di inventario, sottoponilo a verifica attraverso le tue esperienze, come peraltro dovresti fare per tutti gli articoli di questo blog.
Direi che per quanto mi riguarda, è possibile individuare nella prestazione sportiva tre intervalli temporali, separati da due punti di svolta.
Nella prima fase sono ancora freddo e la mia mente suggerisce che forse era meglio fare dell’altro; per il momento non sento ancora fatica, è una fase interlocutoria.
Che termina con il primo punto di rottura, temporalmente non troppo distante dall’inizio: la fatica fa capolino e la mia mente inizia a trovare mille scuse molto plausibili per fare dietro front. Sembra che non ce la possa fare ad andare avanti, più per un fatto di pigrizia mentale che fisico. Durante questa prima fase, l’evento sportivo non ha per me granché di piacevole.
Superato il primo punto iniziale, il motore inizia a girare a pieno ritmo, il cervello rilascia endorfine, e sono contento di non aver desistito: è decisamente piacevole questa pedalata (corsa).
Proseguo per un periodo più o meno lungo in funzione del mio allenamento (ipotizzando che il tempo a disposizione non sia un problema), quindi la stanchezza, quella vera, inizia a farsi sentire.
E qui veniamo al secondo punto di rottura; il corpo inizia a dare segni di cedimento, e la mente urla a gran voce che sono arrivato, stavolta supportata da evidenti prove empiriche. Finora ho fatto quanto il mio fisico mi permetteva dato il livello di allenamento; oltre? Hic sunt leones…
Ma ho imparato a conoscermi, e so bene che i meccanismi di difesa del corpo mi fanno percepire il limite prima di dove esso si trovi in realtà. So che, se mi faccio un poco di violenza, posso andare ancora avanti. Più di quanto si possa immaginare.
Se lo faccio, entro nella terza fase, quella al di fuori della mia confort zone. Quella dove la fatica è davvero fatica, ma chissà perché la mente non la percepisce più di tanto, distratta com’è dall’adrenalina e dalle endorfine.
Questa terza fase è quella allenante. Quella in cui il corpo riceve informazioni dall’esterno che dicono che non è attrezzato a dovere, che dovrebbe adeguarsi per poter fare di più.
Quando esco dalla confort zone, pongo le basi per lo sviluppo del mio fisico.
Poi termina la prestazione, e qui è importantissimo il riposo, per permettere al corpo di recuperare, anche grazie ad una adeguata alimentazione. Ha ricevuto segnali di inadeguatezza, sa che potrebbe venirgli chiesto di più di quanto è attualmente attrezzato a fare, e si prepara per far fronte ad un carico di lavoro maggiore in futuro.
Il corpo evolve, migliora.
Ed ora proviamo a fare un salto mortale: ebbene, credo che quanto ora descritto per lo sviluppo del fisico, sia applicabile ad ogni altra tipologia di sviluppo personale.
Già, perché se voglio migliorare in qualunque campo, devo fare esperienze, mi devo mettere in gioco, devo iniziare a far cose che non avevo mai fatto prima. Anche qui, la voce nella testa suggerisce di lasciar perdere, eppure bisogna sforzarsi di non ascoltarla più di tanto.
Certo, entro margini ragionevoli: cimentarsi in una esperienza di astronauta dopo anni di vita sedentaria non è forse consigliabile, ma uscire un poco, gradatamente, dalla confort zone, sì.
Esplorare il perimetro di quelli che sono ritenuti i tuoi limiti, ed ogni tanto provare a passarne qualcuno, così, per gioco, per il gusto di vedere che succede.
Per scoprire con stupore che si può fare… che oltre non c’era il baratro, ma meravigliosi territori inesplorati… perfettamente alla mia portata.
La cosa grandiosa di tutto ciò è che, dopo questa esperienza, mi accorgo che la confort zone si è allargata, ed i nuovi limiti sono un pochino più in là… pronti per essere nuovamente superati!
Non pensi valga la pena di provare?