Archivio mensile:aprile 2016

Non siamo salmoni


Nelle mie letture mi sono spesso imbattuto in un dilemma relativo alle avversità della vita: combattere o rassegnarsi?

Da più parti si suggerisce che accettare la realtà così com’è sia il segreto di una vita serena e libera da frustrazioni; e su questo sono pienamente d’accordo, anche se ancora distante dal metterlo in pratica.

Tuttavia, mi domando: questo significa forse rassegnazione e fatalismo? Dovrei dunque smettere di combattere per ciò in cui credo? Smettere di avere obiettivi? Smettere di sognare?

Non credo proprio che sia questa la chiave di lettura corretta, eppure da tempo mi scervello per capire da dove nasca questa apparente contraddizione.

Provo allora ad avanzare un’ipotesi usando una metafora: immagino di essere un fuscello in mezzo ad un torrente, trascinato dalla corrente della vita.

Ebbene, potrei forse decidere di risalirne il flusso? Per qualche metro forse, al prezzo di sforzi immani. Frustrazione. Solo ai salmoni è concesso di violare la regole, e lo pagano con la vita.

salmoni

Meglio accettare dunque di essere trasportati, senza ribellarsi; ma, a ben vedere, ci sono altre direzioni ammissibili, oltre a quella retrograda. Posso muovermi a destra e sinistra. Posso cavalcare l’onda.

Posso decidere di evitare l’impatto con un grosso masso che mi si para davanti spostandomi un po’ più in là, pur nel turbinio generalizzato che la corrente genera. Posso decidere di approfittare della spinta per raggiungere una posizione favorevole laggiù, più a valle.

Tutto sommato, dunque, non c’è contraddizione. L’unica vera difficoltà è distinguere con chiarezza i movimenti laterali o progressisti da quelli controcorrente. E soprattutto prendere atto che la direzione generale del torrente è quella e non può essere cambiata.

Chi si accontenta gode… così così


Da ragazzino un mio compagno di classe aveva una piccola tastiera elettronica, di quelle con le basi ritmiche ed i vari timbri sonori che simulano diversi strumenti musicali. La desideravo molto, e chiesi ai miei genitori di averla. Non ricevetti esattamente quella, ma qualcosa di simile: l’organo della Bontempi, quello con i tasti a sinistra per gli accordi e la ventola rumorosa. Regalo apprezzato, ma non era l’oggetto dei miei desideri, e rimasi con un velo di amaro in bocca.

Più o meno nello stesso periodo scoppiava l’era dei personal computer; l’articolo allora più in voga era il mitico Commodore 64, ed io ovviamente lo chiesi in regalo. Ebbi un computer che mi diede grandi soddisfazioni, sul quale sviluppai i miei primi programmi e poggiai le basi per quello che è il mio attuale lavoro, però fu un MSX della Philips. Anche in questo caso, soddisfatto ma non del tutto: in edicola c’erano centinaia di giochi spaziali per Commodore, ma era sempre difficile trovare qualcosa di decente per MSX.

Quelli che cito sono solo alcuni esempi di un’infanzia caratterizzata non dico da ristrettezze economiche, ma quantomeno da un briciolo di austerità; un susseguirsi di episodi che mi hanno insegnato ad apprezzare ciò che avevo (che devo ammettere era già parecchio) e a non pretendere troppo dalla vita.

Se questo ha i suoi lati positivi, e forse racchiude le basi per raggiungere la felicità, nasconde però un insidioso pericolo, ed oggi mi rendo conto di esserne stato vittima: mi ha abituato a non credere nei sogni. In realtà ha fatto di peggio: al fine di evitare la delusione di non ricevere quanto desiderato, mi ha abituato a non avere più sogni.

E questo è terribile. Perché sono convinto che se mi impegnassi potrei ottenere tutto ciò che desidero (presuntuosetto eh?), il problema è che non so cosa veramente voglio. Ho perso la capacità di fissarmi degli obiettivi. O forse più semplicemente la capacità di ascoltarmi, ma questo è un altro tema.

desiderare

Resta il fatto che un conto è apprezzare quanto si ha oggi, altro paio di maniche è non attivarsi per migliorarlo e non credere in una possibilità di sviluppo. Lo status quo è la morte: dà sicurezza, ma ti uccide dentro.

Ebbene, ti invito a riflettere sulla tua situazione: stai commettendo anche tu il mio errore? Vivi una forma di rassegnazione e ti accontenti, con un sottile ed appena percettibile retrogusto di insipido in bocca, o usi tutto il buono di cui disponi come capitale da investire per puntare alle stelle?

Ricordando la parabola dei tre talenti, io capisco di avere sbagliato fino ad oggi e mi impegno a cambiare rotta. E tu?