Archivio mensile:novembre 2013

Esiste la cucina di casa tua?


Ritieni che sia più reale qualcosa che hai visto di persona o di cui hai solo sentito parlare? Ad esempio, è più reale l’automobile che hai in garage o il villaggio turistico dove è stato il tuo collega l’estate scorsa e di cui non avevi mai sentito parlare prima?

La domanda è ovviamente retorica, sto solo cercando di portarti, come si dice a Genova, nel mio caruggio.

E’ pacifico che una cosa di cui abbiamo avuto esperienza abbia per noi un carico di sensazioni, ricordi, odori, profumi, emozioni che contribuiscono a darle quella connotazione che noi andiamo etichettando con la parola realtà.

Immagino ad esempio che stamattina avrai fatto un’abbondante colazione nella tua bella casetta; che ore erano? Le 7.30. Bene, non avrai dunque problemi ad affermare che la cucina di casa tua (alle 7.30 di stamattina) esista realmente.

Adesso dove ti trovi? In palestra. Che ore sono? Le 18.30. Anche in questo caso, non avrai ragione di dubitare che la palestra, alle 18.30 di oggi pomeriggio, esista realmente.

Ma che dire della cucina di casa tua alle 18.30? Esiste realmente? Mi dirai ovviamente di sì, che non sei ancora rincasato ma stamattina era sicuramente lì.

Ma non è questo che ti sto chiedendo: io voglio sapere se esiste adesso, alle 18.30.

Pongo la domanda in modo diverso: siccome mi hai appena confermato di dare maggior credibilità a ciò che hai esperito, cos’è per te più reale, la cucina di casa tua alle 7.30 (che hai visto, sentito, toccato, gustato, annusato), o la cucina di casa tua alle 18.30 (che non stai vedendo, sentendo, toccando, gustando, annusando)?

Siamo così inclini ad affermare che il futuro non esista ancora, il presente duri un attimo e il passato non esista più, ma quanto abbiamo più o meno concordato finora sembrerebbe portare da tutt’altra parte; non hai come me il sospetto che la cucina alle 7.30 di oggi debba considerarsi più reale della cucina alle 18.30? O per essere più risoluti: che la cucina delle 18.30 non esista, ed esista quella delle 7.30?

Sto sbagliando qualcosa?

Riferimenti bibliografici:

Rudy Rucker – La quarta dimensione. Un viaggio guidato negli universi di ordine superiore

Il pendolo e le aspettative adattive


E’ da un po’ di tempo che osservo i miei stati d’umore altalenanti, alla ricerca delle loro cause e di un modo per averne maggior controllo.

Esistono in realtà varie spiegazioni del fenomeno, sulle quali non mi voglio qui soffermare; ho voluto invece trovare una mia risposta, per la formulazione della quale mi sono avvalso delle mie reminiscenze degli studi di economia, nella speranza che un probabile premio Nobel possa finalmente livellare la sinusoide delle mie energie psichiche.

No so se hai mai sentito parlare di aspettative adattive: in breve si tratta di un modo (o di una famiglia di modi) con cui si suppone gli operatori economici (produttori, consumatori) formulino le proprie opinioni circa un evento futuro. Dal punto di vista economico è molto importante capire questi meccanismi, perché da loro può ad esempio dipendere il successo di un nuovo prodotto commerciale o di una manovra finanziaria.

Ebbene, secondo questa teoria gli operatori (ma alla fine parliamo di esseri umani) formulerebbero le proprie attese circa gli eventi futuri basandosi sull’esperienza passata, il che è forse un po’ come scoprire l’acqua calda, ma lasciamo pure che anche gli economisti si guadagnino da vivere. Il punto è che, se oggi le cose mi sono andate bene, il mio umore è alle stelle e sono al massimo dei giri, e mi aspetto che domani continui così.

Ciò che mi accade oggi mi crea un’aspettativa su ciò che accadrà domani.

pendolo

Per esemplificare, supponiamo che il mio superiore giudichi positivamente un mio lavoro, mi elogi e proponga un premio produzione. Io sono contento, identifico questo giudizio sul mio lavoro con un giudizio sulla mia persona, e mi pongo mentalmente su un gradino più alto.

Il mio umore è al massimo, oggi è stata una grande giornata. Finalmente le mie capacità sono state valorizzate; chissà poi che dirà il capo quando vedrà questo nuovo progetto che sto portando a termine: lo stupirò ulteriormente, sento aria di promozione.

Ciò che è successo oggi mi crea aspettative per domani; e siccome non mi accontento, devo dare il massimo, per fare ancora meglio: so di essere sulla strada buona.

Passa una settimana, il nuovo lavoro è terminato e lo sottopongo al superiore, che lo accoglie tiepidamente; non lo denigra, mi dice che va bene, ma neppure lo esalta; suggerisce alcuni miglioramenti. Ma come, io ho dato il massimo! Perché non mi viene riconosciuto? Dove ho sbagliato?

Il mio umore inizia a declinare, la terra comincia a mancarmi sotto i piedi; oggi non è stata granché come giornata, e domani non sarà certo migliore.

In realtà si tratta puramente di costruzioni mentali che nulla hanno a che vedere con la realtà; la magagna sta tutta nell’aspettativa sul futuro: tolta quella, tolti i malesseri. Riflettendoci, non avevo alcuna ragione di pensare che anche il nuovo lavoro sarebbe stato accolto con bottiglie di champagne, solo perché ciò è accaduto col precedente; e forse anche il mio superiore si aspettava da me qualcosa di più solo perché avevo svolto bene il compito precedente, e questo ha senza dubbio contribuito ad alzare l’asticella.

Se il buon andamento di oggi mi suggerisce un buon andamento per domani e io me lo aspetto, le probabilità che domani sia percepito peggiore di oggi aumentano, anche solo per un mero fatto statistico e di prospettiva.

Non so come sia per te, ma per quanto mi riguarda tutto questo accade molto frequentemente; nonostante gli sforzi, ancora non riesco ad essere veramente libero da aspettative.

Ho ancora parecchio da lavorare sulla sinusoide.

La quarta gallina


Ho già avuto modo di raccontare come le mie galline siano maestre di vita: ebbene, l’altro giorno ne ho avuto l’ennesima conferma; ecco in breve cosa è accaduto.

Dopo che ho aperto la porta del pollaio perché uscissero a razzolare nell’aia, tre di esse si sono prontamente proiettate fuori mentre una quarta, la più distratta, è rimasta a beccheggiare sulla ciotola del mangime; dopo pochi secondi si è però accorta dell’occasione di libertà, avendo visto le colleghe fuori dal recinto, ed ha provato ad unirsi a loro.

Tuttavia, come puoi vedere dal disegno, volendo raggiungere le compagne al di là della griglia, ha cercato di farlo passando per la via diretta, insistendo a proseguire in una direzione che non l’avrebbe portata molto lontano.

polli alla riscossa

La quarta gallina era troppo tesa sull’obiettivo, così tesa da non capire che perseguendolo in un modo così diretto e ossessivo non sarebbe mai stata in grado di raggiungerlo. E più le compagne si allontanavano, più questa si schiacciava contro l’angolo del pollaio e minori possibilità aveva di capire quale fosse la corretta via di fuga.

Se avesse utilizzato la giusta dose di pensiero laterale avrebbe capito che per raggiungere le compagne bisognava prima allontanarsene, così da raggiungere l’uscita che avrebbe poi permesso la successiva ricongiunzione.

E qui scatta l’insegnamento avicolo: quante volte ci troviamo nella stessa posizione? Quanto spesso, per l’affanno di raggiungere un obiettivo a cui teniamo tanto, finiamo in una situazione di stallo e ci troviamo bloccati a pochi passi da quest’ultimo senza riuscire mai a raggiungerlo?

A me è capitato e capita in continuazione: a scuola, sul lavoro, nelle situazioni sentimentali, sempre e ovunque.

Se sei troppo calato nel problema che devi risolvere, finisci col non vederne al soluzione che hai a portata di mano.

Se temi di perdere l’affetto di una persona cara e ti lasci andare ad atteggiamenti possessivi, finisci con l’allontanarla.

Se vuoi dimostrare al tuo superiore quanto sei bravo e ti prodighi in dimostrazioni di bravura, finisci col fare una figura patetica.

Se vuoi essere simpatico ad ogni costo con gli amici, finisci col diventare pesante.

Se vuoi essere un genitore perfetto, produci dei figli frustrati.

Potrei continuare ad oltranza ma, proprio in virtù di quanto vado dicendo, mi allontanerei dall’obiettivo. E allora la cosa giusta è terminare l’articolo, che può ben essere così sintetizzato: nella vita talvolta occorre essere contraddittori, uscire dalla direzione palese, logica e razionale, per seguire le indicazioni del cuore (o, detta in altri termini, le indicazioni dell’emisfero cerebrale destro, che troppo spesso vive relegato in un ruolo da comprimario); solo così avremo qualche possibilità di raggiungere i nostri amici pennuti.