“Quella laggiù, quella che sta tenendo testa alla leonessa!”
“Leonessa? Scimmia? Ma di che stai parlando?”
“Oh ma insomma, oggi avere un dialogo con te è più faticoso del solito! Laggiù! Non vedi una scimmia muso a muso con una leonessa?”
“Dici vicino a quell’albero?”
“Albero?”
“Albero!”
“Senti, cerchiamo di fare un passetto indietro, non ci stiamo capendo. Io non vedo nessun albero.”
“Mi dici che non vedi quel gigantesco albero di fronte a noi, dal quale si involano due grossi uccelli, e pretendi che io veda invece una scimmia e una leonessa? Dobbiamo farne più di uno, di passi indietro!”
“Senti, non mi prendere in giro, non è possibile che tu non veda quei due animali, sono enormi! Finora abbiamo scherzato, ok, ma adesso torniamo seri, per favore, questo dialogo mi sta mettendo a disagio!”
“A chi lo dici! Se qui c’è uno che sta prendendo in giro, quello sei tu, non è davvero possibile non vedere quella quercia che hai davanti agli occhi!”
“Ti avviso, la mia pazienza sta per terminare. Un bel gioco dura poco, e tu lo stai tirando un po’ troppo, mi sembra. Ti ho già spiegato che mi inquieta non riuscire a confrontarmi con qualcuno sulla realtà, ti prego smettila!”
“E va bene. Mi sembra che qui nessuno sia disposto a fare il minimo passo incontro all’altro. Facciamo così: perché non chiediamo l’intervento di una terza persona?”
“Mi sembra sensato. Ecco, guarda, sta passando Remo, possiamo chiedere a lui.”
“Remo lo svitato? Non mi pare una grande idea!”
“Non vedo nessun altro… meglio di nulla, no?”
“E va bene, lo chiamo io. Remo! Ehi, Remo, scusami…”
“Ciao ragazzi, come va?”
“Bene Remo, bene, grazie. Senti, avremmo bisogno di un favore. Potresti dirci cosa vedi laggiù, dove indica il mio dito?”
“Mmm…”
“Dunque?”
“Intreccio bianco nero.”
“Cosa?”
“Intreccio bianco nero!”
“Nessun albero?”
“Nessuna scimmia? Nessuna leonessa?”
“Intreccio bianco nero!”
“Adesso capisci, perché gli danno dello svitato?”
“Eccome se capisco! Non ha la minima capacità di dare un senso alla realtà!”
Lo so, lo fai in buona fede, per alleviare il malessere che leggi nei miei occhi. Immagino che visto da fuori sia tutto più chiaro, e la soluzione ai miei problemi così evidente che ti domandi com’è possibile che non riesca a tirarmi fuori da questa situazione con pochi semplici passi.
Lo so, probabilmente se mi comportassi come tu suggerisci potrei levarmi d’impiccio.
Lo so.
Eppure, vedi, i tuoi consigli mi sono tutt’altro che di aiuto.
Perché quello che non sai è che il mio malessere non deriva dal problema in sé, ma da come io mi sento in relazione ad esso. E, allora, il grosso nodo da sciogliere non è il primo, ma il secondo.
Vorrei che capissi quanto mi sento inadeguato, sbagliato, impotente; vorrei comprendessi che tutti quei sassolini mi appaiono enormi massi; e vorrei che lo accettassi; vorrei che mi accettassi così come sono, in questo mio essere sbagliato, fragile, indifeso, e mi dicessi: “ehi, lo so che ti senti inadeguato, ma va bene così, non ti crucciare, vedrai che presto troverai le forze per venirne fuori, per ora hai fatto tutto quanto era nelle tue possibilità; ehi, va tutto bene così, adesso riposa un poco, ok?”
Perché da troppo tempo sento la mancanza dell’affettuosa comprensione di un genitore.
In questo modo mi sentirei meno solo, meno incompreso. Meno sbagliato.
Come posso compiere una qualsiasi azione, pur piccola, se mi sento inadeguato? Dove posso trovare l’energia necessaria per muovere anche un solo passo nella giusta direzione, se dentro di me c’è la profonda convinzione che il vero problema sia io?
E’ questo che non comprendi, è questa la mia vera difficoltà. Ed i tuoi consigli, perdonami, non fanno che accentuarla, confermandomi che sì, sono inadatto, e forse un poco sciocco a non vedere una soluzione così evidente, e che lo sono sicuramente nel lamentarmi senza fare alcunché per migliorare la situazione.
I tuoi consigli mi fanno anche pensare (lo so che non è questa la tua intenzione, ma il subconscio è subdolo) che tu mi voglia liquidare con una pasticca anti infiammatoria, per non sentire più parlare del mio malessere.
A me non serve qualcuno che mi risolva i problemi, ma qualcuno che mi stia vicino, creda in me, e mi conceda la sua fiducia. Così potrei trovare più facilmente l’energia per credere a mia volta nelle mie possibilità, e raggiungerla con le mie forze, la mia soluzione.
Se pensi di non potermi dare questo non ti preoccupare, lo so che è difficile, non te ne farò una colpa; cerca però di tenere per te i tuoi consigli: costruirò da solo l’autostima necessaria per andare avanti, ci vorrà forse un po’ più di tempo, ma intanto tu, ti prego, non mi ostacolare.
Qualche giorno fa la mia amica Lisa mi ha raccontato un fatto che mi ha riempito di ottimismo e mi ha fatto riflettere, lo voglio qui condividere con te; beh, in verità lei non si chiama così, uso degli pseudonimi per proteggere la privacy, e per lo stesso motivo non ti racconterò tutti i dettagli della vicenda, ma lascerò inalterato il succo della storia.
Lisa ha per molti anni rivestito un ruolo di aiuto nei confronti di Filippo, che si trovava e si trova tuttora in uno stato di bisogno; inizialmente questo la faceva stare bene, si sentiva utile ed in pace con sé stessa; fra i due si era venuto a creare un legame molto forte, nel quale Filippo era però di fatto dipendente da lei.
Col passare degli anni questa situazione è venuta a pesare a Lisa, che ha iniziato a non provare più lo slancio e la passione che fino ad allora le avevano fatto vivere con gioia quella relazione di aiuto.
Negli ultimi tempi si era resa conto di non riuscire più a ricoprire un ruolo che adesso viveva come un dovere, ma abbandonare Filippo avrebbe significato dargli un dolore immenso, di questo lei era certa; e di riflesso pure lei sarebbe stata malissimo.
Insomma, era imprigionata in una situazione senza via di uscita: questa la sentenza della sua parte razionale.
Improvvisamente, ecco il fatto inaspettato: un’altra persona entra nella vita di Filippo, una persona che catalizza tutte le sue attenzioni; si tratta di un evento eccezionale nella sua improbabilità, un evento davvero imprevedibile, e tuttavia accade; contemporaneamente lei tocca il fondo, capisce che non ce la fa proprio più ad andare avanti in quella situazione, e forte dei nuovi accadimenti prende la decisione: comunica a Filippo che non potrà più aiutarlo.
Sta malissimo per qualche giorno, tormentata dai sensi di colpa… poi poco a poco il ritorno alla normalità. Gli scenari catastrofici presagiti, nei quali lui avrebbe provato un immenso dolore per l’abbandono(?) di lei, non si verificano, anche grazie alla presenza in scena del nuovo protagonista.
Insomma, quella che a priori sembrava una situazione senza via di uscita, alla fine non si è rivelata tale.
A posteriori.
Quando Lisa mi ha raccontato della sua decisione coraggiosa mi sono sentito pervaso da un’ondata di ottimismo e rinnovata fiducia nella vita, ed ho maturato le riflessioni che ora sto condividendo con te.
Perché era così convinta di non avere via di scampo? La risposta che mi sono dato è: perché usava la mente per analizzare la situazione. Il cuore (forse l’anima?) le suggeriva che avrebbe dovuto cambiare, ma la mente intimava che non era possibile, che non c’era margine di azione, tutte le strade disponibili erano precluse perché troppo costose.
Tutte? Ma la ragione non può conoscerle tutte! Essa si basa sul passato, anzi, sulla sola porzione di cui è a conoscenza, e non può fare affidamento sull’infinito bagaglio di possibilità che il futuro ha in serbo.
Insomma, la razionalità è limitata perché non possiede tutti gli elementi necessari per compiere una valutazione adeguata, e tuttavia pretende con presunzione di poterlo fare, col risultato che sovente arriva a conclusioni errate e spesso depotenzianti.
Se penso che la mia tesi di laurea si è basata in gran parte sulla teoria delle decisioni, che pretende di formalizzare dei criteri elevando appunto al rango di teoria tutta questa serie di str… ehm, stupidaggini… mi viene da sorridere e darmi una pacca affettuosa sulla spalla!
Ogni volta che la mente ti intima di lasciar perdere, che non ce la potrai fare, che stai per commettere una sciocchezza… ebbene, mandala delicatamente a quel paese e segui invece ciò che l’istinto suggerisce.
Metti da parte la presuntuosa convinzione di non potercela fare. Anche solo per gioco, così, per vedere almeno una volta che succede. E se non puoi correre e nemmeno camminare, allora impara a volare!
“Non ti rendi conto che di questo passo rimarrai solo? Per stare in mezzo agli altri un minimo di educazione è necessaria.”
“Ma perché, che ho fatto?”
“A volte è tutto OK, ma altre volte, come ad esempio oggi, neanche saluti, sei scorbutico… qualche ‘grazie’ in più o un sorriso ogni tanto aiuterebbero a farti ben volere dagli altri, non credi?”
“Mi stai dicendo che dovrei dire ‘grazie’ per farmi accettare dagli altri?”
“Beh, è un modo per integrarsi.”
“Non trovi che sia piuttosto ipocrita tutto questo?”
“Sono semplici regole sociali, non ci vedo nessuna ipocrisia.”
“D’accordo, supponiamo che sia come dici; ma che valore posso dare alla benevolenza di qualcuno che mi valuta non già in base a quello che sono veramente, ma per la parte che interpreto? Così non diventa forse tutto una recita?”
“Non ti seguo.”
“Io voglio essere accettato per ciò che sono, non per ciò che fingo di essere; se tu apprezzi la mia compagnia solo quando mi adeguo a certe tue aspettative, io non potrò mai essere libero di essere me stesso, quando sto con te. Fingere in continuazione per paura di rimanere soli è un modo di arrivare allo stesso risultato a prezzo di una maggiore fatica: sei solo comunque, perché nessuno ti conosce veramente e nessuno è disposto a confrontarsi coi tuoi veri difetti (che poi potrebbero rivelarsi anche dei pregi, ma non avrai mai la possibilità di scoprirlo), e in più hai fatto i salti mortali per cercare di capire cosa vogliono gli altri da te, e per farglielo avere. Che senso ha tutto questo?”
“Quindi dovrei essere io ad adeguarmi alle tue bizzarrie, a farmi andare bene i tuoi comportamenti che mi danno fastidio? Non sarei forse io, in quel caso, a recitare?”
“Dipende dal tipo di comportamento a cui ti riferisci; se questo ha effetti concreti anche su di te, ad esempio perché voglio tenere la finestra aperta e tu hai freddo, allora hai tutte le ragioni di lamentarti. Ma se gli effetti ricadono esclusivamente su di me, e tu ne sei influenzato solo per via di tue costruzioni mentali, allora no, non hai proprio nessun diritto di volerlo! Il fatto che tu abbia l’esigenza di sentirti dire ‘grazie’ è un’aspettativa sul mio comportamento fine a sé stessa, che non ti aggiunge o toglie nulla.”
“Ammettiamo che tu abbia ragione, che sia una recita; non credi di avere comunque convenienza ad interpretarla? Magari resterai solo ugualmente, come dici tu, ma almeno quando avrai bisogno di aiuto troverai persone ben disposte nei tuoi confronti.”
“Magari sì, magari ne vale la pena; basta essere però consapevoli che lo stiamo facendo per opportunismo, e non perché siamo intrinsecamente ‘brave persone’. Va bene essere ipocriti con gli altri, ma arrivare ad esserlo pure con se stessi no, non lo posso accettare!”
“La chiami addirittura ipocrisia! Mi sembra eccessivo. Quindi saresti disposto a rinunciare alla mia amicizia in nome di un sofisma del genere?”
“Se la tua amicizia nei miei confronti è subordinata a certi schemi che dovrei rispettare, allora tu non vuoi essere amico mio, ma di una persona idealizzata che esiste solo nella tua mente, alla quale dovrei adeguarmi per essere accettato da te; ma io non voglio essere quella persona lì, io voglio essere me stesso.
Quindi, se ti va di essere mio amico, devi accettarmi per come sono realmente, e rinunciare ai modelli mentali che dicono come dovrei essere in un mondo ideale. E, già che ci sei, abbandonali tutti, quegli stupidi modelli mentali, anche quelli che non riguardano persone; perché queste ultime magari vi si adeguano, per compiacerti, ma gli eventi della vita non lo faranno di certo!”
Elio Massa era un tipo tutto d’un pezzo, dal carattere talvolta irascibile e turbolento, anche se di lui non si poteva certo dire che non sapesse donare calore a chi gli stava vicino.
Aveva però un difetto: il suo marcato egocentrismo lo portava a tenere un atteggiamento eccessivamente arrogante, a comportarsi con chiunque come se fosse il centro dell’Universo.
Certo, i fatti dimostravano inconfutabilmente che aveva una notevole influenza su chi lo circondava, anche se c’era chi non si trovava d’accordo e, anzi, non sopportava proprio questa sua presuntuosa convinzione.
La più accanita contestatrice era senz’altro Gaia Mondo, una frizzante e rotondetta giovane dalla lingua tagliente che non teneva certo per sé le sue pungenti e provocatorie osservazioni.
“Dovresti ridimensionarti un poco, ma chi credi di essere?” gli diceva spesso.
“Fai la sostenuta, eh? Ma se mi gironzoli attorno in continuazione, è evidente che sei innamorata di me, accecata dalla mia bellezza! Perché non o ammetti?”
“Bellezza? Ma non farmi ridere, sei sempre così trasandato, hai visto che macchie hai addosso?”
Lui glissava, facendo finta che l’osservazione non fosse mai stata fatta: quando qualcuno toccava certi argomenti avrebbe preferito eclissarsi; spostava allora per difesa l’accento sul comportamento dell’interlocutore, in questo caso sull’attrazione che Gaia provava nei suoi confronti.
Era, questo, uno dei principali motivi di discussione fra i due; a sentire Elio, Gaia gli girava attorno in continuazione, mentre lei era di tutt’altro avviso: non faceva che andare diritta per la propria strada, e se lo ritrovava sempre fra i piedi.
Un giorno si trovarono costretti ad affrontare una volta per tutte la questione: non era possibile che avessero punti di vista così divergenti, la realtà era una sola e uno di loro si stava certamente sbagliando nell’interpretare i fatti; si trattava di capire chi fosse dei due.
Eppure erano entrambi animati da una convinzione così genuina che, per amor di curiosità scientifica, decisero di abbandonare le rispettive posizioni, per andare alla ricerca di un terreno comune che sciogliesse il nodo in modo definitivo.
Perché lui vedeva effettivamente che lei gli girava attorno, di questo era certo; come altrettanto certa era lei nell’affermare di andare sempre diritta per la propria strada.
Fu Alberto, un caro amico di Gaia, a svelare finalmente l’arcano; e lei non perse l’occasione per sbattere la verità in faccia a quel presuntuoso, che sì, aveva in un certo qual modo ragione nel difendere la propria posizione, ma questo non voleva affatto dire che Gaia fosse innamorata di lui perché, a ben vedere, anche lei era nel giusto quando affermava di andare diritta per la propria strada senza considerarlo minimamente.
“La verità, caro il mio Elio Lo Sbruffone, è che tu modifichi lo spazio.”
Elio trasalì. “Modifico lo spazio? Cosa vorresti dire?”
“Proprio quello che ho detto! Anzi, per essere più precisi, modifichi lo spazio-tempo. Me l’ha detto Alberto, quello che lavora all’ufficio brevetti. Siccome hai molta massa (e se mangiassi un filino di meno forse potresti migliorare la situazione), lo spazio-tempo attorno a te si curva, si piega. E guarda caso, io mi trovo a muovermi proprio dentro a quello spazio-tempo che tu hai incurvato. Ma io mica me ne accorgo, che è curvo! Per me è tutto lineare, diritto! E me ne vado per la mia strada, non mi importa affatto di te, come ti ho detto più volte! Se poi, percorrendo la mia strada rettilinea in uno spazio curvo, a te sembra che ti stia girando attorno, questo è un problema tuo! Ma ti ripeto, e spero che ti sia chiaro una volta per tutte, che tu su di me non hai la minima influenza!”
Elio accusò il colpo. Fece fatica ad accettare un tale stato di cose, e una parte di lui forse non l’avrebbe accettato mai; ma si trovò costretto ad arrendersi a questo nuovo modo di vedere la realtà, perché certamente spiegava molti più fatti di quanto non l’avessero fatto in precedenza le loro convinzioni.
E poi… modificare lo spazio-tempo sembrava molto più fico che attrarre a sé fanciulle belle ma dal carattere spigoloso come Gaia.