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L’economia del dono


“Non riesco proprio a credere che in questo paese si possa vivere senza denaro.”

“Probabilmente non hai abbastanza fiducia.”

“Non vedo cosa c’entri la fiducia… comunque ti sarei profondamente grato se volessi togliermi qualche curiosità, perché davvero sono incredulo!”

“Ma certamente, sono a tua disposizione, chiedi ciò che vuoi… non ti costerà nulla!”

“Grazie! Non so proprio da dove cominciare… ecco, partiamo dal cibo. Supponi che io voglia del pane. Mi stai dicendo che è sufficiente che vada da un panettiere e ne prenda quanto ne voglio?”

“Se per ‘quanto ne voglio’ intendi la quantità di cui hai bisogno, la risposta è sì. Se invece intendi fare scorte per il futuro, allora no: nel nostro paese ciascuno sa che può prendere esattamente quanto gli serve in quel momento, tutti si comportano così. E’ uno dei principi su cui si basa la nostra economia.”

“Ma io potrei volerne un po’ di più per far fronte a imprevisti futuri…”

“Ecco, lo vedi che ti manca la fiducia? Perché mai dovresti prenderne di più? Io so nel mio profondo che, se domani avrò bisogno, troverò ciò che mi serve. Non mi occorre accumulare alcunché, salvo che per evidenti motivi pratici, ad esempio perché prevedo di non uscire di casa nei prossimi giorni.”

“Va bene. E il panettiere? Come fa fronte ai costi per produrre il pane? Avrà pur bisogno di farina, legna da ardere, acqua…”

“Lo sai da te… li troverà messi gratuitamente a disposizione da qualcun altro.”

“E perché mai dovrebbe lavorare senza avere nulla in cambio? Cosa lo spinge a farlo?”

“Il piacere di avere le mani in pasta; il piacere di leggere nei tuoi occhi la soddisfazione provata mangiando il frutto del suo lavoro. Il piacere di avere uno scopo nella società in cui vive.”

“Va bene. Ma chi gli garantisce che troverà le quantità di farina di cui ha bisogno? O la legna per il forno?”

“Ci risiamo, non riesce proprio ad entrarti in testa. La fiducia! E comunque, quando ha deciso di aprire una panetteria sapeva che in zona c’erano dei produttori di farina, d’altro canto queste sono valutazioni preliminari che fate anche nel vostro paese, no? Cambia solo il fatto che, a differenza nostra, voi pagate le materie prime, e la maggior parte delle vostre azioni è guidata dal senso del dovere invece che dal piacere. E’ come se viveste per pagare debiti che pensate di avere ereditato fin dalla nascita; questo atteggiamento mi ricorda tanto un famoso peccato di biblica memoria.”

“In effetti l’idea di prendere del pane senza dare nulla in cambio mi farebbe sentire parecchio a disagio! Penserei di essere debitore, appunto, di dovere qualcosa a quella persona!”

“Questo perché, a differenza sua, non hai fiducia nel fatto che egli avrà un ritorno dalla sua opera, seppure molto indirettamente! La fiducia permette di cambiare drasticamente la prospettiva, non si sente più l’esigenza di avere un ritorno immediato, e a quel punto anche il concetto stesso di ‘ritorno’ perde significato. Procurarsi il sostentamento non è più un problema perché una moltitudine di persone mette a disposizione gratuitamente le risorse, e questo permette a ciascuno di fare ciò che più gli piace, e di farlo anche al meglio, visto che è un piacere e non un dovere. In tal modo permetterà a sua volta ad altri di godere della propria opera.”

“Mi sembra tutto molto utopistico. Credo che prima o poi qualcuno si approfitterebbe della situazione, e inizierebbe a prendere senza mai dare nulla in cambio.”

“Intanto, noto dal tuo linguaggio che ancora non sei entrato nella giusta prospettiva. Non c’è nulla da dare in cambio. Qui da noi le persone non fanno alcunché allo scopo di usarlo come oggetto di baratto; ad esempio il panettiere non produce pane perché vuole scambiarlo, ma perché prova soddisfazione nel crearlo e nel donarlo. Stando così le cose, perché mai qualcuno dovrebbe approfittarsi della situazione, come dici tu, smettendo di fare ciò che gli piace? Sarebbe piuttosto sciocco, non trovi?”

“Ok, ok. E se ciò che piace a una persona non servisse a nessuno? In quel caso, quella persona non sarebbe un parassita della società?”

“Credevo che tu conoscessi meglio l’animo umano! La vera soddisfazione di ognuno nasce dal piacere della condivisione, di relazionarsi agli altri, di sentirsi utili. Sai bene che vita infelice conduce chi lavora solo per soldi, facendo un mestiere che non ama. La persona di cui parli troverebbe prima o poi il modo di appagarsi con un’attività che torna utile a qualcuno.”

“Mi sembra tutto così assurdo! Sarà che arrivo da un mondo in cui il concetto di fiducia è così raro…”

“Penso che tu stia parlando in modo poco consapevole. Dove tieni, ad esempio, i tuoi soldi?”

“Beh, la maggior parte sono in banca.”

“Ecco. E pensi che la banca te li conservi chiusi in cassaforte, in attesa che tu vada a ritirarli?”

“A dire il vero, non so… no, credo proprio di no!”

“Appunto. La banca investe il tuo denaro prestandolo; e lo stesso fa con il denaro di tutti gli altri risparmiatori. Se un bel giorno decideste in massa di riprendervi i vostri soldi, la banca non potrebbe in alcun modo onorare gli impegni. L’intero meccanismo si basa sulla fiducia nella banca stessa e nel fatto pragmatico che non andrete tutti a ritirare i soldi allo stesso momento. Quindi, anche il vostro sistema per certi versi si basa sulla fiducia, tutto sommato. Fiducia che voi riponete nell’istituto di credito e nei suoi meccanismi di funzionamento e garanzia, mentre noi la riponiamo in qualcosa di ben più vasto e, permettimi, affidabile.”

“Quindi, in un certo senso da voi non esiste la proprietà privata…”

“Nulla di più falso. Se non possedessi nulla di mio, come potrei mai farti dono di qualcosa?”

“Forse confondo l’economia del dono con il comunismo…”

“Forse. L’economia pianificata, che in passato ha mostrato tutti i suoi aspetti fallimentari, priva il singolo di ogni proprietà e assegna la gestione di ogni bene e risorsa produttiva allo stato. Ma lo stato è fatto di uomini, e gli uomini che si trovano a gestire ricchezze così ingenti, il tutto inserito in una logica scambista, saranno inclini ad approfittarsi della situazione a discapito dei più. Fenomeno che di fatto è accaduto, nella storia, trasformando il comunismo in una forma di oligarchia mascherata.”

“E’ davvero difficile affidarsi, come dici tu, al fatto che ogni mio bisogno futuro sarà in qualche modo soddisfatto.”

“L’intera vita è una questione di fiducia: lo stesso atto di camminare presuppone per un istante l’abbandonarsi nel vuoto confidando che presto il piede toccherà terra garantendo stabilità. E la vita in fondo non è un cammino? Tutte le sicurezze che ti fanno sentire tranquillo sono in fondo illusorie, la fiducia nella vita è l’unica vera forma di protezione contro ogni preoccupazione.”

“Mi stai convincendo a livello mentale, ma credo che farei molta fatica a mettere in pratica ciò che dici quotidianamente, questo deve diventare proprio un modo di essere…”

“Non ti crucciare, l’economia del dono non nasce da una scelta razionale, ma viene dal cuore. Quando il tuo livello di consapevolezza sarà sufficientemente maturo, ti ritroverai automaticamente circondato di persone che vibrano su questi livelli, e ti accorgerai improvvisamente che quello che chiami modo di essere è diventato una realtà. Ti ritroverai nel nuovo mondo senza neanche averlo deciso; ora non hai altro da fare, se non accrescere la tua consapevolezza.”

Riferimenti bibliografici:

Devana – Eko-nomia. Il futuro senza denaro

La mano invisibile


L’economista britannico Adam Smith con la sua teoria della mano invisibile sosteneva che un libero mercato, nel quale ciascun operatore economico è guidato unicamente dal perseguimento dei propri fini utilitaristici, sarebbe presto arrivato ad una condizione di equilibrio tale da massimizzare il benessere collettivo.

Detto in altri termini il comportamento egoistico di ogni individuo, inserito in un contesto in cui tutti agiscono allo stesso modo controbilanciandosi vicendevolmente, avrebbe portato ad una situazione stabile di ottimo generalizzato, come se il sistema fosse guidato da una mano invisibile, provvidenziale e perequatrice.

Questo principio ha permeato i quattro anni di formazione universitaria che mi hanno portato alla laurea in Economia; certo ho incontrato anche posizioni di altro tipo, quali ad esempio quella di John Maynard Keynes che sosteneva invece la necessità dell’intervento statale al fine di evitare distorsioni che portassero a distribuzioni inique delle risorse economiche, ma la filosofia dominante restava sempre quella basata sulla competizione.

Il modello di Smith regge su diverse ipotesi, come la perfetta mobilità dei fattori produttivi e la perfetta trasparenza dei mercati (ossia la perfetta mobilità delle informazioni).

Appare fin da subito evidente come queste condizioni ben difficilmente si riscontrano nella vita reale: per esempio non posso decidere di spostarmi per lavoro a Caltanissetta dall’oggi al domani senza avere alcun tipo di disagio, anche solo organizzativo; e le informazioni in possesso delle grandi multinazionali non sono certamente quelle che la mia parziale visione dei mercati mi mette a disposizione, informazioni indispensabili per compiere scelte economiche razionali.

In sintesi esistono asimmetrie, rigidità e viscosità dei mercati tali da impedire l’assestamento ottimale idealizzato da Smith, la cui teoria resta, per l’appunto, solo una bella teoria; i fatti dimostrano come la collettività sia ben lungi da una situazione di benessere generalizzato, con la stragrande parte del reddito concentrata nelle mani di pochi e tutti quanti, ricchi o poveri, in preda all’ansia, sempre di corsa a inseguire chissà che con il terrore che il vicino, competitor per definizione, porti via loro quanto hanno conquistato col sudore della fronte.

Per anni, nel corso dei miei studi accademici, sono stato sottoposto ad un lavaggio del cervello a suon di nozioni fuorvianti che davano per scontata la necessità di atteggiamenti competitivi, farcite di termini mutuati dal gergo militare come ‘strategia’ e ‘tattica’, il tutto polarizzato dall’utopia di un PIL in crescita come unico indicatore di benessere collettivo.

Da bravo discente, per anni ho dato per scontato che quelle nozioni fossero valide, senza mai essere sfiorato dal dubbio che potesse esistere un’alternativa.

Oggi comprendo di aver percorso la strada sbagliata, perché l’alternativa esiste ed è basata sulla collaborazione, senza che questo significhi necessariamente perdere la propria individualità.

Un buon sostituto all’equilibrio di Smith è l’equilibrio di Nash, formulato dall’omonimo matematico statunitense che ha rivoluzionato l’economia con i suoi studi sulla teoria dei giochi. Peccato che questi studi non vengano poi applicati nella vita quotidiana, che resta permeata dalla visione del prossimo come potenziale nemico.

Al di là delle teorie modi alternativi di vivere esistono, si tratta di ampliare le proprie vedute e adottarli, smettendo di credere alle panzane che ci raccontano le classi dominanti al solo fine di portare avanti i loro interessi egoistici; perché per loro sì, che il modello di Smith funziona.

Mi si perdoni la citazione sessista che riporto ora ma d’altra parte riflette, al di là di idealizzazioni romantiche, un certo tipo di istinto triviale di cui è illusorio negare l’esistenza, e rende bene l’idea. Soprattutto ai maschi, che peraltro sono mediamente i più competitivi.

Adam Smith va rivisto. Perché se tutti ci proviamo con la bionda, ci blocchiamo a vicenda, e alla fine nessuno di noi se la prende. Allora ci proviamo con le sue amiche, e tutte ci voltano le spalle perché a nessuno piace essere un ripiego. Ma se invece nessuno ci prova con la bionda, non ci ostacoliamo a vicenda, e non offendiamo le altre ragazze. E’ l’unico modo per vincere. L’unico modo per tutti di scopare.

Adam Smith ha detto che il miglior risultato si ottiene quando ogni componente del gruppo fa il meglio per se. Incompleto! Incompleto, perché il miglior risultato si ottiene quando ogni componente del gruppo fa ciò che è meglio per sé e per il gruppo. Dinamiche dominanti, signori, dinamiche dominanti. Adam Smith si sbagliava!

Tratto dal film ‘A beautiful mind’

Il moltiplicatore dei depositi, ovvero: la fiducia nel processo


Si tratta di un giochetto contabile che ho imparato studiando economia; per illustrarlo partirò da un esempio, presentandoti innanzitutto i miei amici Paolo, Carlo ed Anna.

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I miei amici vivono in uno strano paese, isolato dal resto del mondo e del quale sono gli unici abitanti; ciascuno ha una dotazione iniziale in moneta e dei beni per il soddisfacimento dei reciproci bisogni; non è il caso di scendere troppo nei dettagli, sappi solo che:

  • Paolo è il più ricco, possiede 90 mercuzi e sogna di acquistare il bene A,  posseduto da Carlo, del valore di 70 mercuzi;
  • Carlo non è molto ricco in termini monetari, possiede solo 30 mercuzi, però ha due beni molto richiesti: il bene A, tanto agognato da Paolo, ed il bene B, del valore di 50 mercuzi, desiderato da Anna; sfortunatamente, per soddisfare i propri bisogni necessiterebbe del bene C, ma questo non è ancora in commercio;
  • Anna, come Carlo, possiede solo 30 mercuzi, però è una brava industriale: potrebbe produrre il pregiato bene C, del valore di 100 mercuzi, ma per farlo necessita della materia prima B, posseduta da Carlo.

Ti piacciono i miei amici? Bene; adesso ti racconto come evolvono i loro rapporti.

Paolo acquista il bene A da Carlo; dopo la transazione, la situazione risulta la seguente:

Paolo: possiede 20 mercuzi ed è felice per avere ottenuto l’oggetto dei suoi desideri;

Carlo: possiede 100 mercuzi, è felice del buon affare ma tuttora insoddisfatto perché ancora alla ricerca del bene C;

Anna: situazione invariata con 30 mercuzi. Vorrebbe acquistare il bene B da Carlo, ma purtroppo non ha soldi a sufficienza. Le sue ambizioni imprenditoriali sono frustrate.

A questo punto i giochi finiscono: la liquidità presente nel sistema non permette altre transazioni. Peccato, perché i bisogni di Carlo ed Anna rimangono insoddisfatti, l’unico contento è Paolo. Però…

Però qualcuno potrebbe prestare i soldi che mancano ad Anna, dopotutto basterebbero solo 20 mercuzi!

Carlo non è disponibile, adesso è diventato il più ricco ma preferisce tenere i soldi nel caso trovasse il bene C… però Paolo non ha problemi: presta i 20 mercuzi che gli rimangono ad Anna e sblocca la situazione.

A questo punto Anna acquista il bene B da Carlo, che diventa ricchissimo; ecco la situazione:

Paolo: ha un credito di 20 mercuzi verso Anna ed è felice con il bene A;

Carlo: ha 150 mercuzi ed è in trepidante attesa che il bene C diventi disponibile;

Anna: ha un debito di 20 mercuzi con Paolo ma è felice perché ora può avviare le attività produttive.

Lo scenario può adesso evolvere ulteriormente: terminata la produzione, Anna vende il bene C a Carlo, e col ricavato può appianare il proprio debito con Paolo; la storia finisce nella soddisfazione generale:

Paolo: è tornato in possesso dei suoi 20 mercuzi e si gode il bene A;

Carlo: possiede 50 mercuzi e si gode il bene C;

Anna: ha finalmente soddisfatto le proprie aspirazioni di industriale, è felice per avere in cassa 80 mercuzi derivanti dall’ottimo affare concluso con Carlo (al netto del rimborso a Paolo) e si sente realizzata.

Cosa è accaduto in questa storia? In pratica la liquidità del sistema era di 150 mercuzi, un livello ed una distribuzione di ricchezza non sufficienti per completare tutti gli scambi commerciali desiderati; il gesto di Paolo, però, ha avuto l’effetto di aumentare in modo virtuale la liquidità totale, perché pur mantenendo la propria ricchezza nominale di 20 mercuzi, ha reimmesso queste risorse nel sistema, dandogli fiducia; il nuovo livello di liquidità (virtuale) è salito a 170, e questo ha permesso la prosecuzione degli scambi fino al coronamento dei desideri di ciascuno.

Paolo ha scommesso sull’affidabilità del processo, ed ha avuto ragione: la sua fiducia ha permesso a ciascuno di realizzare i propri obiettivi, e se andassimo avanti con la simulazione probabilmente scopriremmo che prima i poi i benefici di vivere in questo sistema virtuoso lo avrebbero ricompensato.

Il moltiplicatore dei depositi è proprio questo, ed è un meccanismo che si basa appunto sulla fiducia: ovviamente opera in uno scenario più complesso, con attori che istituzionalmente svolgono l’attività di Paolo, ossia le banche.

Ti faccio una domanda: credi forse che i soldi che hai depositato sul conto corrente si trovino fisicamente nei caveau dell’istituto di credito?

Ebbene, sappi che non è così: perché una parte dei tuoi depositi sono rientrati in circolazione, sotto forma di prestiti: e poiché tu pensi di avere 100 mercuzi in banca, e l’azienda che ha ricevuto il prestito pensa di averne (diciamo) 80, globalmente siete convinti che i mercuzi totali siano 180, quando in realtà continuano ad essere 100.

Per inciso: tecnicamente parlando tu non hai 100 mercuzi in banca, ma un credito di 100 mercuzi nei confronti della banca, che è ben diverso!

Detto in altri termini, la banca centrale stampa moneta per 100, ma siccome ci sono di mezzo gli istituti finanziari che ricevono depositi e concedono prestiti, la liquidità complessiva disponibile è maggiore.

Qual è il punto debole del meccanismo? Ma ovviamente la fiducia: se all’improvviso tutti quanti ci presentassimo in banca per riprenderci i soldi, questa non avrebbe i mezzi per far fronte a tutte le richieste e si arriverebbe alla bancarotta!

Cosa posso però imparare dai miei amici? Mi sembra evidente: la fiducia è un potente amplificatore di risorse, ed è in grado di creare ricchezza dal nulla, semplicemente spostandola nel tempo: è una specie di macchina del tempo virtuosa che rende reali i sogni.

E questo ragionamento non si può certo fermare ai freddi aspetti monetari, non credi? Se vuoi vivere in un mondo migliore, è il caso di iniziare a dargli fiducia! O vuoi continuare ad essere sospettoso come le banche che stanno in realtà abdicando al loro principale ruolo istituzionale?

Il pendolo e le aspettative adattive


E’ da un po’ di tempo che osservo i miei stati d’umore altalenanti, alla ricerca delle loro cause e di un modo per averne maggior controllo.

Esistono in realtà varie spiegazioni del fenomeno, sulle quali non mi voglio qui soffermare; ho voluto invece trovare una mia risposta, per la formulazione della quale mi sono avvalso delle mie reminiscenze degli studi di economia, nella speranza che un probabile premio Nobel possa finalmente livellare la sinusoide delle mie energie psichiche.

No so se hai mai sentito parlare di aspettative adattive: in breve si tratta di un modo (o di una famiglia di modi) con cui si suppone gli operatori economici (produttori, consumatori) formulino le proprie opinioni circa un evento futuro. Dal punto di vista economico è molto importante capire questi meccanismi, perché da loro può ad esempio dipendere il successo di un nuovo prodotto commerciale o di una manovra finanziaria.

Ebbene, secondo questa teoria gli operatori (ma alla fine parliamo di esseri umani) formulerebbero le proprie attese circa gli eventi futuri basandosi sull’esperienza passata, il che è forse un po’ come scoprire l’acqua calda, ma lasciamo pure che anche gli economisti si guadagnino da vivere. Il punto è che, se oggi le cose mi sono andate bene, il mio umore è alle stelle e sono al massimo dei giri, e mi aspetto che domani continui così.

Ciò che mi accade oggi mi crea un’aspettativa su ciò che accadrà domani.

pendolo

Per esemplificare, supponiamo che il mio superiore giudichi positivamente un mio lavoro, mi elogi e proponga un premio produzione. Io sono contento, identifico questo giudizio sul mio lavoro con un giudizio sulla mia persona, e mi pongo mentalmente su un gradino più alto.

Il mio umore è al massimo, oggi è stata una grande giornata. Finalmente le mie capacità sono state valorizzate; chissà poi che dirà il capo quando vedrà questo nuovo progetto che sto portando a termine: lo stupirò ulteriormente, sento aria di promozione.

Ciò che è successo oggi mi crea aspettative per domani; e siccome non mi accontento, devo dare il massimo, per fare ancora meglio: so di essere sulla strada buona.

Passa una settimana, il nuovo lavoro è terminato e lo sottopongo al superiore, che lo accoglie tiepidamente; non lo denigra, mi dice che va bene, ma neppure lo esalta; suggerisce alcuni miglioramenti. Ma come, io ho dato il massimo! Perché non mi viene riconosciuto? Dove ho sbagliato?

Il mio umore inizia a declinare, la terra comincia a mancarmi sotto i piedi; oggi non è stata granché come giornata, e domani non sarà certo migliore.

In realtà si tratta puramente di costruzioni mentali che nulla hanno a che vedere con la realtà; la magagna sta tutta nell’aspettativa sul futuro: tolta quella, tolti i malesseri. Riflettendoci, non avevo alcuna ragione di pensare che anche il nuovo lavoro sarebbe stato accolto con bottiglie di champagne, solo perché ciò è accaduto col precedente; e forse anche il mio superiore si aspettava da me qualcosa di più solo perché avevo svolto bene il compito precedente, e questo ha senza dubbio contribuito ad alzare l’asticella.

Se il buon andamento di oggi mi suggerisce un buon andamento per domani e io me lo aspetto, le probabilità che domani sia percepito peggiore di oggi aumentano, anche solo per un mero fatto statistico e di prospettiva.

Non so come sia per te, ma per quanto mi riguarda tutto questo accade molto frequentemente; nonostante gli sforzi, ancora non riesco ad essere veramente libero da aspettative.

Ho ancora parecchio da lavorare sulla sinusoide.