Archivio mensile:dicembre 2017

Ma tu, chi sei?


Tempo fa scrissi un articolo che parlava di primo piano e sfondo. Allora non mi rendevo conto delle potenzialità a cui poteva portare questo embrione di ragionamento; a distanza di qualche anno desidero ora rivalutarlo, come punto di partenza per trattare una delle domande più delicate, difficili ed utili dell’esistenza: chi sono io?

Immagino che il collegamento fra le due tematiche non sia immediato, ma lascia che provi a spiegarmi; attenzione però: l’argomento è spinoso e per nulla facile da esporre, io poi non sono certo un maestro di dialettica, per cui se vuoi abbandonare la lettura, questo è il momento giusto!

Ma torniamo a noi; partirei proprio col domandarti: ma tu, chi sei?

Ed eccoti rispondere tronfio e sicuro alla mia domanda apparentemente banale:

Ma come chi sono, sono io! Il ragionier Luca Rossi, quello che lavora alla ACME S.p.A, figlio del dottor Mario Rossi, medico di famiglia del paese di Altavalle…

No no, aspetta! Non mi hai capito.

Intanto un ‘sono io’ autoreferenziale non aggiunge alcun contenuto informativo, e lo eviterei.

Non ho poi neppure chiesto qual è il tuo nome, dopotutto non è che un’etichetta arbitraria, una vale l’altra e, anche se ce l’hai appiccicato dalla nascita… non contribuisce certo ad individuare la tua identità: non è che una parola… con dignità di nome proprio di persona, certo, ma alla fine pur sempre un’etichetta: negli Stati Uniti ti sarebbe toccato Luke… che è diverso da Luca, giusto?

Non ti ho neppure chiesto che lavoro fai: ti trovi alla ACME S.p.A. perché lì ti hanno condotto gli eventi, ma potevi benissimo lavorare in banca no? Hai il diploma di ragioniere…

Già, in effetti non ti ho neppure chiesto qual è il tuo titolo di studi… guarda che lo so che, se fosse dipeso da te, ti saresti iscritto al liceo e non a ragioneria… ma dovevi arrivare in fondo ai cinque anni col famoso pezzo di carta in mano, per tranquillizzare i tuoi genitori.

Già, i genitori… beh, loro sono sicuramente più legati a te, se parliamo di identità… i loro geni sono dentro alle tue cellule, ed i loro insegnamenti dentro alla tua struttura neurale… ma individuare un’entità attraverso un’altra non fa che spostare il problema altrove, in una ricorsione infinita prima di utilità: chi sono allora i tuoi genitori? Chi sono i tuoi nonni? E così via. Tant’è che, per spiegare meglio chi è tuo padre, hai sentito l’esigenza di precisarne il nome, la professione ed il luogo in cui esercita. Insomma, una risposta che necessita di altre spiegazioni non è poi una gran risposta.

Giacché hai avuto la pazienza di seguirmi fin qui, adesso voglio vibrarti il colpo fatale: sappi che tutte quelle che hai elencato sono solo false identità che contribuiscono pesantemente a mantenere vivo il tuo stato di infelicità, e sarà opportuno per il tuo bene-essere abbandonarle quanto prima!

Ricordi quando da piccolo ti attribuivano quel fastidioso nomignolo, e tu ti arrabbiavi tanto? Lo sai perché? Perché nella tua mente stavano attaccando il falso io che credevi di essere, rappresentato dal tuo nome che veniva storpiato. Attaccano il mio nome, quindi attaccano me. Dolorosa falsità. Errore di interpretazione.

E lo sai perché sei così legato al posto fisso, e continui a lavorare in ACME anche se sei infelice e vorresti fare tutt’altro? Perché sei convinto di essere quello che fai di lavoro.  Altro che balle sulla sicurezza economica. Se perdi il lavoro, perdi la tua identità. Quante depressioni fra i neo pensionati che non sanno più chi sono. Ma tu non sei il ragioniere, tu fai il ragioniere…

Hai poi mai udito le barzellette sui titoli di studio? Quelle che se la prendono con ingegneri, fisici e matematici in particolare… sono tutti modi per stuzzicare la suscettibilità di alcune persone favorendo un sorriso in altre; e su cosa si basa il giochino? Sull’attacco di una falsa identità, basata sul titolo di studio!

E adesso cominciamo a fare sul serio, gran figlio di puttana!

Pesante vero? Quale insulto peggiore riusciresti ad immaginare? Anche qui, si sta cercando di attaccare una tua falsa identità. Tu non sei tua madre né, tanto meno, l’attività che esercita. E se davvero si occupasse del mestiere più antico, lo stesso varrebbe per lei: fa la puttana, non è una puttana.

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Ti sembrano sofismi, vero? Eppure ragionare in un modo o nell’altro fa la differenza, provare per credere. Perché se davvero non pensi di essere tutto ciò, qualsiasi cosa accada che lo metta in discussione non ti toccherà più di tanto. Non è filosofia, ma pratica di vita.

Se mi stai seguendo, la tua mente sta lentamente sfrondando tutta una serie di falsi io, e sta riducendo all’osso tutte le possibilità, forse abbandonando l’astrazione per arrivare alla fisicità: io sono quello alto un metro e ottanta, con gli occhi verdi ed i capelli castani, il naso pronunciato, magro e poco muscoloso. La stempiatura sta cominciando ad essere fastidiosamente evidente.

Ebbene, mi spiace deluderti, ma sospetto fortemente che tu non sia neppure nulla di tutto ciò. E questo è più difficile da digerire, lo so. Eppure, tu hai gli occhi verdi, non sei i tuoi occhi verdi. Tranquillizzati, non sei neppure la tua stempiatura incipiente. Ricordi il Vitangelo Moscarda di pirandelliana memoria, col suo naso che pende verso destra?

Ma allora, se ti chiedo di abbandonare tutte queste false sicurezze, che cosa rimane alla fine?

Questo articolo è insidioso perché, se lo fai tuo fino in fondo, rischi di creare un vuoto che porta allo smarrimento e forse alla depressione. Ma io so che difficilmente gli attribuirai una qualche validità, perché questo metterebbe a rischio le tue certezze, ti priverebbe di punti di riferimento. Non sei abbastanza folle per farlo.

Per me, che invece non disdegno un pizzico d follia, è stato effettivamente così, finché non ho trovato un modo per riempire quel vuoto; provvisoriamente, perché nessuna risposta deve mai essere quella definitiva.

E l’ho colmato grazie a letture che facevano leva sulla distinzione fra primo piano e sfondo; forse avrai iniziato ad intuire dove voglio andare a parare, ma direi che per il momento ho scritto ed annoiato a sufficienza: è il caso di terminare qui, con l’impegno di proseguire i miei deliri in uno dei prossimi articoli.

E se fosse vero?


Talvolta mi capita di tenere corsi. I discenti che temo di più sono quelli che sanno già tutto: stanno lì ad ascoltarti per educazione, ma in fondo sono convinti di perdere il loro tempo.

Questo atteggiamento, se anche corroborato dalla realtà dei fatti è, per chi lo tiene, estremamente dannoso, perché crea uno strato impermeabile che impedisce qualsiasi forma di arricchimento.

L’estremo opposto, di colui che prende invece per oro colato qualsiasi cosa io gli dica, è altrettanto deprecabile: dopo tutto, potrei benissimo essere un emerito idiota (su quest’ultimo punto sospetto peraltro che ci sia parecchio materiale per una rigorosa dimostrazione basata sui fatti).

Mi sono spesso chiesto quale fosse il giusto compromesso, la via di mezzo che salvi capra e cavoli. Una volta indossato il cappello dello scolaro, che fare? Accettare incondizionatamente come verità ciò che mi viene insegnato, o metterlo continuamente in dubbio paragonandolo a ciò che già so? Il bambino non ha scelta: conoscendo poco o nulla, non ha strumenti per capire quanto sia sensato ciò che gli viene detto; questo è anche uno dei motivi per cui i giovani imparano più in fretta. Nel bene e nel male.

Il fenomeno di rigidità mentale diventa particolarmente accentuato quando le idee che ci vengono proposte sono per noi ‘fuori dal solco’, perché mettono in discussione principi fondamentali che riteniamo inviolabili. In tal caso, la prima cosa è viene da pensare è che si stanno ascoltando un mucchio di sciocchezze, e si spegne l’ascolto. Credo di avere mietuto parecchie vittime in tal senso, con questo blog.

ieri x era uguale a 5

Un approccio che mi sembra promettente è quello del “e se fosse vero?”

Consiste in questo: in una prima fase devi, e confesso che lo trovo parecchio difficile, fare tabula rasa di tutti i tuoi preconcetti e metterti in una situazione di ascolto e accettazione incondizionata; quello che ti viene detto è vangelo. Devi lasciare il tempo al docente di completare l’esposizione, di chiudere il cerchio. Non puoi permettere che il censore intervenga prima del tempo, perché non sa ancora dove si sta andando a parare; un particolare detto in conclusione potrebbe dare senso e coerenza a tutto il resto.

Solo al termine, e magari anche dopo, quando sarai sicuro di aver compreso appieno ciò che il docente ti voleva trasmettere, potrai fare le tue valutazioni. Ma, anche allora, falle tenendo presente che, pur se in contrasto con la tua verità, le sue idee continuano ad avere una loro validità, che magari deciderai di non fare tua, ma non per questo sarà meno degna di rispetto; di tanto in tanto domandati: “e se fosse vero?”

Questa domanda apre scenari interessanti, se la poni a te stesso con fare giocoso; il ‘trucco’ di farlo per gioco aiuta a distrarre per un poco l’inquisitore che è in te, che con troppo zelo si adopera in continuazione per non farti passare per pazzo; ma tu lo tranquillizzi, perché non stai facendo sul serio, stai solo giocando; e così facendo supponi solo per un istante che quell’idea così assurda sia vera: dove ti porta questa assunzione? Porta a conclusioni contraddittorie o discordanti con l’esperienza? Oppure, pur nella sua assurdità, contiene frammenti che si possono salvare, estrapolare ed inserire in un nuovo modo di vedere il mondo, diverso sì dal suo, ma diverso pure dal tuo, e pertanto arricchente, se non per entrambi, quantomeno per te?

Lo so, è difficile, e quanto più si invecchia, tanto più lo diventa. Ma riuscire ad imparare sempre qualcosa, senza considerarsi mai arrivati, è un ottimo modo per rimanere sempre giovani, non credi?