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La spontaneità della patata


Ecco il raccolto di stamattina.

Cosa c’è di speciale? Che queste patate non le ho seminate.

O meglio, sono il frutto di tuberi di piccole dimensioni sfuggiti al raccolto dell’estate passata, rimasti silenziosi nella terra in calma attesa per tutto l’inverno, scampati ai famelici denti della moto zappa che li ha sparpagliati qua e là nel terreno, e infine spuntati a macchia di leopardo un po’ ovunque, piccole timide piantine che ho trapiantato con cura dedicando loro un’area dell’orto, fra zucche e fagioli.

La loro tenacia mi ha stupito e mi è di insegnamento.

L’anno prossimo voglio essere ancora qui, accada quel che accada!

Grazie.

La fine del contrattualismo


Secondo il contrattualismo, concezione filosofico-politica per la quale lo stato nasce da un contratto fra singoli individui, questi convengono di uscire dallo stato di natura – dove sono eguali e liberi, ma privi di garanzie – e di formare una società civile sottomettendosi volontariamente a un potere sovrano.

Nascono così le collettività organizzate, le leggi, le regole, le mansioni, i ruoli, il tutto all’insegna di un calcolo di consapevole convenienza: rinuncio alla mia indipendenza per non avere problemi. Detta così stimola provocatoriamente in me l’associazione col concetto di pagare il pizzo, ma queste sono pure interpretazioni personali.

Il dato di fatto è che questo contratto ha senso fintanto che c’è un vantaggio, altrimenti ne vengono meno i presupposti; quanto più la società inizia ad essere vessatoria, a limitare oltremodo la capacità di autodeterminazione dell’individuo, tanto maggiore dev’essere la contropartita. Se si perde l’equità dello scambio, il contratto perde di significato.

Il problema è che questo stato di cose è insidioso: quanto più mi abbandono al comfort della calda ala della chioccia, tanto più perdo la capacità di cavarmela da solo. Un uomo delle caverne non avrebbe avuto grossi problemi a rimanere mesi da solo nel bosco, io non sopravvivrei una settimana. L’altra insidia si nasconde nel fatto di aver dimenticato che il mio vero stato è quello di natura, e vivo in uno stato sociale per (quella che dovrebbe essere una) libera scelta; in realtà fin dalla nascita ci viene detto che siamo cittadini, e che non può essere diversamente. E noi ci crediamo.

Alla luce di queste premesse, il cammino che sento il bisogno di intraprendere è più spirituale che materiale; non occorre che diventi Rambo, sono sufficienti pochi, piccoli passi nella direzione dell’autosufficienza: avere un orto, prendere acqua alla fonte, saper riconoscere le erbe spontanee, imparare a costruire con materiale di recupero invece che comprare, usare la bicicletta invece dell’automobile.

Gesti che non cambieranno il mondo la fuori, né le mie possibilità concrete di sopravvivere in autonomia, ma cambieranno profondamente me! Ogni mia cellula saprà con crescente certezza che, qualunque cosa accada, troverò il modo di cavarmela, e da questa certezza nascerà la mia serenità, non dal fatto che godo di una qualche forma di protezione; non ha senso che mi organizzi esternamente per prepararmi, ora, a catastrofici scenari futuri di cui non posso prevedere i contorni, se non per sentito dire; l’unica cosa veramente sensata che posso fare è preparare me, spiritualmente, interiormente, all’idea che questo Stato è destinato alla dissoluzione, perché è diventato uno strumento di oppressione invece che di garanzia. E forse lo è diventato proprio perché è ora che io cresca, che prenda consapevolezza.

E’ un po’ come scoprire che i nostri genitori non sono quei miti che abbiamo sempre immaginato: hanno le loro debolezze, commettono i loro errori, talvolta sono dei carnefici da cui proteggersi e, comunque, prima o poi moriranno. Lo so, fa male. Ma la crescita spirituale è anche questo.

Addio mamma chioccia, grazie per tutto quello che hai fatto per me finora, non ho più bisogno di te.

Ah, dimenticavo: rivoglio indietro quell’abbondate sovrappiù che mi hai portato (e mi stai portando) via ingiustamente, e me lo riprenderò senza sensi di colpa quando ne avrò l’occasione, io non ti devo più nulla.

Canzone per Gaia


Questa è la mia prima canzone d’amore.

Dedicata a lei, che da sempre mi protegge e mi dona gioia di vivere.

Perché lei è Gaia.

Re La Do Sol

Re                             
Il sole che accende la brina d’inverno
La
la nebbia che sfuma i contorni del giorno
Do
la luna che imbianca le fronde del cerro
sol
le nuvole in alto proteggono il mondo


Re                             
I grilli diffondono l’aura del prato
La
le rondini danzano il viale alberato
Do
la pioggia punteggia la pietra rovente
sol
la neve che avvolge in un manto silente

Re                             
cicale vibranti nell’afa d’estate
La
un lampo che squarcia le nubi agitate
Do
il picchio che ritma il tempo del bosco
Sol
il rosa del pesco...

                     Re
E allora stringiti a me (guarda quante fragole)
                    La
cammina un poco con me (sotto un mare di lucciole)
                       Mim
il viaggio è molto più ricco 
                                      Sim
se mi affaccio ai tuoi occhi a contemplarlo con te

                     Re
E allora stringiti a me (balla sulle nuvole)
                   La
cammina ancora con me (senza troppe regole)
                   Mim
gustiamo questa bellezza rimanendo vicini
                  Sim
senza avere un perché



                Fa#m
lasciamo che la vita 
                                         Sim
possa ancora sorprenderci per quello che è

Re                             
Il coro dei lupi sul monte selvaggio 
La
il gallo in cortile che ostenta coraggio
Do
nel cielo i ricami del falco in volo
sol
il buffo latrato di un capriolo

Re 
Il tasso progetta l’assalto al pollaio
La
l’odore del giallo che scalda il granaio
Do
grugnito sorpreso di un lesto cinghiale
sol
prorompe fra i rovi di mora e lampone

Re 
La salvia civetta con il rosmarino
La
lontano risate di allegro bambino
Do
il ghiaccio che piange baciato dal sole
sol
il profumo di un fiore 


                     Re
E allora stringiti a me (come nelle favole)
                    La
intona un canto con me (un sussurro flebile)
                 Mim
doniamo ai nostri fratelli la ricchezza che ognuno
                Sim
porta dentro di sé

                     Re
E allora stringiti a me (tutto è così facile)
                       La
danza i tuoi passi con me (basta un poco di coccole)
                Mim
condividiamo il cammino liberando la mente
                Sim
da pensieri e cliché


               Fa#m
aspettiamo l’aurora  
                                         Sim
che rischiari il sentiero e lasci tutto dov’è

               Fa#m
e ringraziamo la vita 
                                Sim
magica e perfetta esattamente com’è  


Re                             
Lo scoglio che infrange la furia del mare
La
la stufa che accoglie con il suo tepore 
Do
l’abbraccio dei monti dall’aspro crinale
sol
il tappeto di foglie nel rosso autunnale 

Re 
Dal campo si spande l’odore del fieno
La
spettrale sorpresa dell’arcobaleno
Do
la chioccia rimprovera il vispo pulcino
sol
concerto di rane nel verde acquitrino

Re 
Dal riccio tracima l’obesa castagna
La
la brezza frizzante di alta montagna
Do
il vento che canta fra i rami scroscianti
sol
l’amore di Gaia per i suoi abitanti

Re La Do Sol

Resta qui al mio fianco


Nei momenti più difficili e bui, quando la personalità è messa alle strette e non ha più carte da giocare per affermare le sue egoiche posizioni, l’anima fa capolino e ci rivela chi davvero siamo.

Ritornato nell’ego, ho la presunzione di pensare che sia grazie a questo che ho potuto scrivere la mia prima canzone.

Sarò dunque autocelebrativo: ecco il messaggio di speranza che ti lascio, il mio piccolo contributo per affrontare questo oscuro periodo.

Lam
Il profumo del silenzio
            Mim
che risuona calmo e forte dentro me
Lam
echi onirici di assenzio
           Mim
liberan la mente da ogni suo perché

Do                                       Sol
Muovo passi nudi e incerti dentro il sottobosco fresco e umido
Rem
sentimenti riscoperti
                  Lam
dietro a un chiaroscuro verde pallido

Lam
La rugiada piange gocce 
             Mim
dalle foglie ai sassi, ai rovi tremuli
Lam
muschio sulle rocce
                     Mim
abbraccia soffice di caldo volti ruvidi

Do                                  Sol
Un anelito di vento annuncia fiero: il sole è dietro la collina
Rem
vibrazioni forti, quando arriveranno 
Lam
nulla sarà come prima

Sol
Sarà come prima…

Fa
A te che dici che la vita 
            Do
è un nemico duro che non lascia scampo
            Sol
io rispondo vieni, annusa quel silenzio
                 Lam
resta qui al mio fianco

Fa
A te che dici che la vita
             Do
è un cammino triste attraverso il pianto
             Sol
io rispondo siedi, senti che profumo,
                 Lam
resta qui al mio fianco

                 Sol
Resta qui al mio fianco…


Lam
Il ruggito del torrente
              Mim
riempie greve l’aria di un verso animale
Lam
scroscia impertinente 
                    Mim
rovesciando a valle strascichi di un temporale 

Do                                 
Rabbia cieca e devastante che ti avverte, 
Sol
attento: non mi puoi fermare
Rem
io sono del mondo, adesso che son nato 
Lam
nulla mi può più imbrigliare

Sol
mi può più imbrigliare…


Fa
A te che dici che la vita
             Do
è una prigione chiusa dietro al disappunto
             Sol
io rispondo guarda, senti quanta forza,
                 Lam
resta qui al mio fianco

Fa
A te che dici che la vita
                Do
è senza senso e tutto è solo disincanto
             Sol
io rispondo ascolta il battito del cuore
                 Lam
e rimani accanto

                 Sol
Resta qui al mio fianco…

Emozioni Tribali


Percorro la strada asfaltata che si allontana in discesa dall’ultimo centro abitato per immergersi nella selvaggia Val Pentemina.

Non occorre molto, meno di cinquecento metri, e sulla mia destra trovo il sentiero che scende alla meta; sento lo scrosciare del torrente (acqua!) che echeggia sulle ripide erte del verdeggiante Monte Moro che si innalza dirimpetto.

L’imbocco del sentiero diventa subito un tunnel nella boscaglia, reso buio e cupo dall’incombente imbrunire; provo un vago senso di inquietudine nell’addentrarmi al suo interno.

Le fronde mi abbracciano, la vista si adatta lentamente alla minor luce, presto l’inquietudine muta in una sensazione di protezione: la macchia mi avvolge come il collo di un utero materno, ed io immagino di tornare alla calda oscurità che mi accoglieva prima di venire al mondo, quando ancora non conoscevo la luce, e vengo improvvisamente raggiunto da un profondo senso di pace.

Li uccelli mi rassicurano e mi accompagnano, non c’è nulla da temere; scendo con cautela, il fondo del sentiero è reso a tratti scivoloso dal fango (terra!) che resiste miracolosamente all’estate inoltrata.

Lentamente le fronde si diradano, per dischiudersi definitivamente sull’ampio prato pianeggiante che si staglia contro il Monte Moro, che dalla mia prospettiva appare maestoso e protettivo. Il senso di soffocamento provato prima si tramuta in un’improvvisa apertura del cuore, un’ondata di luce che spazza via ogni impervietà; una lieve brezza (aria!) accompagna questa distensione: non ricordavo che l’utero materno fosse così vasto e arioso, pur nella sua confortante protettività.

Lo scrosciare del torrente Pentemina è ora più forte e distinto; un grosso capriolo viene sorpreso dalla mia inattesa entrata in scena e si dilegua con grazia nella boscaglia, immergendosi nel canto dei grilli che fa da sfondo al petulante e armoniosamente discontinuo cinquettio degli uccellini.

Il cerchio di pietre è laggiù, sulla sinistra, in prossimità delle boscose fasce di terreno che ridiscendono ripide dalla strada; sembra volersi proteggere, con successo, dagli sguardi indiscreti del mondo.

Presa visione del luogo torno sui miei passi e mi immergo nuovamente nel buio della boscaglia, che offre generosa l’abbondante legna secca di alcuni alberi abbattuti dalle intemperie.

Ne raccolgo quanto basta per accoglierla in un caloroso abbraccio, quindi ridiscendo verso il cerchio di pietre: è tempo che l’energia del sole, rimasta a lungo intrappolata per dar vita a quei rami, venga rilasciata nel calore di una ardente fiamma (fuoco!).

Il fuoco prende vita e si irradia entrandomi in profondità nei muscoli e nelle ossa, la mia mente si spegne ipnotizzata dall’imprevedibile danza di quelle lingue luminose.

L’udito si perde nello scoppiettante ardere dei rami secchi, che ben presto si fonde e confonde col canto dei grilli, degli uccelli e del fintamente rabbioso latrato d’amore dei caprioli nel bosco.

Arriva il buio profondo, e con esso una nuova dimensione: ombre, colori, prospettive, profondità, tutto assume nuove connotazioni, e il mondo conosciuto non è più quello; il fuoco è lì, a dirmi che tutto va bene, che c’è lui a darmi il calore e la luce di cui ho bisogno, e io mi sento tranquillo.

Poi accade il miracolo.

Il cielo si popola di una miriade di puntini luminosi, e con lui il prato attorno a me; stelle fisse che portano testimonianze lontane miliardi di anni, e lucciole intermittenti che ripropongono, da vicino, l’equivalente di migliaia di pulsar remote, concreta prova nel qui ed ora del miracolo dell’Universo.

Lo sguardo non è più in grado di distinguere il cielo dalla terra, se non per la più marcata mutevolezza della vicina Via Lattea di lucciole; è come se fossi stato risucchiato dalle profondità dell’Universo e vi fossi immerso totalmente.

La fiamma lentamente si placa e muta in un brulicare di tizzoni ardenti che via via affievoliscono il proprio impulso vitale lasciandomi sprofondare nel buio punteggiato dalle migliaia di stelle in amore che volano sul prato in cerca di una compagna: il miracolo della vita è lì, innegabilmente attorno a me, e io sono parte di esso.

Resto in silenzio ad ascoltare la vivida ricchezza delle mie sensazioni; ora che mi ha rivelato i suoi preziosi segreti, non temo più mia oscurità.

Quello che hai dentro


Ti chiedo, prima di proseguire nella lettura, di guardare attentamente questo video.

Sei riuscito ad arrivare fino in fondo? Bene. Adesso prova a descrivere ciò che hai visto, e le emozioni che hai provato.

Hai visto crudeltà? Ferocia? Sofferenza? Cinismo? Spietatezza? Hai provato compassione? Odio?

Oppure hai visto armonia, leggiadria, perfezione, equilibrio? Hai provato ammirazione, stupore?

Cerca di mettere bene a fuoco questi sentimenti, perché contrariamente a quanto puoi immaginare, non hanno nulla a che fare con la scena del video.

Ipotizziamo che tu abbia provato una sensazione di crudeltà; ebbene, sappi che il ghepardo non è affatto crudele: ha semplicemente aperto il freezer e tirato fuori il suo pasto, esattamente come fai tu quotidianamente, anche se con molto meno fatica.

Se davvero hai visto crudeltà, prendi coscienza del fatto che essa non risiede nel video, ma si trova da qualche parte nascosta in te, ed emerge in quanto evocata da quella scena.

Tutti questi sentimenti appartengono all’uomo, e nascono da interpretazioni della sua mente. L’odio non esiste nel regno animale, se da tale regno abbiamo cura di tenerci fuori; se non fosse spinto dalla fame, al ghepardo non passerebbe nemmeno per l’anticamera del cervello di sbattersi tanto in questa eccezionale impresa, emblema di perfezione ed equilibrio.

Quello che vedi là fuori è nel tuo cuore. Come vedi il mondo, e come vorresti invece che fosse? Non è forse il caso che inizi a prenderti la tua parte di responsabilità?

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