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Io sono


Siamo esseri infiniti, e come tali sfuggiamo ad ogni tentativo di classificazione o definizione.

Eppure, sin dalla nascita siamo esposti a una miriade di forme di etichettatura e catalogazione.

Lasciali fare, non puoi impedirlo, ma non commettere l’errore di crederci: non permettere che ti imprigionino!

Mim La Mim La Mim La Mim La
Mim
Apri il libro e mi parli del fiore
          La
l’ape, il frutto, si nasce, si muore
                   Mim
e non sai dirmi il perché
   La   	  Mim
ma dopo che c’è?

Mim
Se io studio potrò lavorare
         La
e i miei figli potranno mangiare
                Mim
appoggiandosi a me
   La   	  Mim
ma dopo che c’è?

Do
Son domande che è meglio non fare
     Sol
sono soglie da non superare
                   Mim
è assai meglio per te
       La   	    Mim
lascia stare i perché!

Do
Sguardo a terra, e ogni dubbio scompare
                  Sol
il cielo è troppo alto per poterlo toccare
           Mi
o capire dov’è
  La       Mi
affidati a me!

Mim La Mim La Mim La Mim La

Mim
Mamma scienza mi mostra l’altare
       La
del pensiero da idolatrare
                   Mim
sorseggiando un caffè
   La   	    Mim
ma dietro chi c’è?

Mim
La mia mente ha bisogno di schiere
     La
di domande e risposte sicure
                   Mim
che definiscano il sé
   La   	    Mim
ma dietro chi c’è?

Do
Terre oscure da non esplorare

                     Sol
vecchi armadi che non devi più aprire
               Mim
lascia tutto com’è
  La           Mim
puoi scordarti di te!

Do
Ora siedi e sintonizza il canale
        Sol
c’è una serie che saprà sistemare
                        Mi
il guastafeste che è in te
  La       Mi
affidalo a me!

NO!

Sol
Io sono un uomo
                  Re
stringo i pugni e tuono
           Mi      La Mi
non voglio limiti!

Sol
In quanto umano
         Re
non condivido

        Mi      La Mi
riposte sterili

Sol
Io sono un uomo
         Re
io soffro e amo
        Mi      La Mi
con i miei simili

Sol
Sconsacro il duomo
                Re
della scienza e vivo
             Mi      La Mi
tutti i miei stimoli

Sol
Io sono un uomo
          Re
respiro e godo
             Mi      La Mi
di questi attimi

Sol
Seguo il richiamo
           Re
di ciò che sono
             Mi      La Mi
smetto di crederti               

La mia ex moglie (forse non lo sai ma pure questo è amore)


Un tempo ero sposato.

Non si trattava di una donna, ma di un’azienda; eh, sì, lo ammetto, sono un po’ strano. Ma, a ben riflettere, non molto: perché, se ci pensi, il rapporto di lavoro dipendente (quanto è brutta questa parola!) è molto simile al vincolo matrimoniale: non è ammessa l’infedeltà, visto dalla parte dell’imprenditore è praticamente inscindibile, e ti obbliga a passare assieme almeno otto ore al giorno (in verità molte di più di quante ne passeresti col coniuge).

Dopotutto un’azienda è, a tutti gli effetti, un essere ‘senziente e pensante’, con una volontà propria che scaturisce dagli equilibri di forza degli individui che la compongono, talvolta polarizzati dalla presenza di un capo carismatico.

Perché il divorzio? Beh, i motivi sono elencati in un articolo che scrissi al tempo della separazione. In breve, dopo tredici anni, la mia vita lavorativa era diventata una routine: io e te, tu ed io, che barba, che noia. Ma, soprattutto, era diventata opprimente: obblighi di varia natura (orario, procedure da seguire, aspettative a cui adeguarsi) mi facevano sentire in prigione, per quanto il lavoro in sé continuasse a piacermi, e capi e colleghi continuassero ad essere persone gradevoli con cui confrontarsi.

Da qui la decisione di licenziarmi. Presa non senza dubbi, sofferenza e paure di sorta. Che successe poi? Dopo un breve intervallo di riflessione, mi sono armato di partita IVA e ripresentato sul mercato del lavoro, stavolta come lavoratore autonomo.

Così è ricominciata la collaborazione con la mia ex, in veste rinnovata; collaborazione che dura ormai da tre anni, e che ha ridato smalto ad un rapporto ormai logoro. Perché il problema non era lei, non ero io, ma il legame malato che ci univa.

Oggi in pratica continuo a fare lo stesso lavoro di prima, ma da spirito libero: niente più vincoli di orario, di presenza fisica in ufficio, di procedure da rispettare; nessun obbligo di fedeltà (nel frattempo ho svolto anche lavori minori per altre aziende), solo obiettivi di risultato.

Adesso mi presento saltuariamente in azienda, ma ci vado volentieri, a volte anche più del necessario (e la battuta ormai scontata dei colleghi non si fa attendere: ‘sei di nuovo qui?’).

Quanto ho imparato da questa esperienza è evidente: non siamo nati per stare in gabbia, ma per esprimere liberamente la nostra individualità. Eppure viviamo in una società che ci opprime con i suoi tentativi di incasellarci in ruoli standard, uguali per tutti: dipendente, coniuge, amico.

Esiste ovviamente la necessità pratica di creare rapporti stabili, ma si è scelto la via più semplicistica per saldare il legame: la coercizione. Ma così non funziona, non può funzionare. Così si creano solo persone infelici e frustrate. La stabilità deve basarsi su fondamentali solidi, su un collante che vada al di là degli obblighi di legge o di contratto.

Il nuovo rapporto con la mia compagna di lavoro non si scioglierà finché io potrò dare qualcosa a lei, e lei qualcosa a me. Forse terminerà già a partire da domani, forse no. Ma non importa. Se non altro è genuino, perché da entrambe le parti c’è la consapevolezza che nulla è per sempre.

Finché buon senso non ci separi.

I vincoli della libertà


Una delle mie supposte di saggezza recita:

Lasciatemi libero di scegliere la mia prigione.

Voglio ora delineare meglio questo argomento.

Da sempre aspiro alla libertà, perché da sempre mi sento in catene; in realtà però credo di non aver mai compreso appieno da dove nasca questa sensazione, e quale sia la vera natura della mia irrequietudine.

Ho sempre dato per scontato che i vincoli venissero da fuori: obbligo di andare a scuola, di fare i compiti, di andare a militare (ahimé questo rivela certe scomode informazioni anagrafiche), di andare in ufficio, di fedeltà coniugale finché morte non vi separi e così via, risalendo con livelli crescenti di nobiltà dell’entità vincolante fino a giungere ai famosi dieci comandamenti.

Poi mi sono chiesto: cos’è questa tanto anelata libertà? Va intesa come assenza di alcun limite? Non è logicamente possibile, perché ogni nostra azione è fonte di vincoli. Prendo l’aereo per Parigi? Sono obbligato ad andare in quella città. Vendo la macchina? Devo spostarmi con mezzi alternativi. Accetto quel posto di lavoro? Devo recarmi ogni giorno in ufficio. Finisco le scorte alimentari? Devo uscire a fare la spesa.

Guardando l’intera faccenda da quest’altra prospettiva, l’origine delle mie limitazioni non sono gli altri, ma io stesso.

Questa è al contempo una brutta e una bella notizia. Brutta, perché non posso più riversare sull’esterno la colpa delle mie sfighe. Bella, perché se le leve del comando sono in mano mia, posso fare qualcosa per migliorare.

Questo, accettato fino alle sue estreme conseguenze, porta ad un’altra presa di coscienza, la più difficile da metabolizzare: la vera libertà non consiste nel fare quello che più ci piace, ma nel rispettare rigorosamente gli obblighi che ci siamo auto assegnati. Sì, perché se è relativamente semplice andare a messa nei giorni comandati o prendere le medicine prescritte dal dottore, non lo è altrettanto seguire la dieta, smettere di fumare, rinunciare alle nostre malsane abitudini.

favola-volpe-gallina-liberta

Questa è la nostra vera prigione, ma non la vediamo, pensiamo sia altrove e forse ci fa comodo così: la prigione sta nella nostra impossibilità di prendere decisioni e portarle a compimento con ferrea volontà.

Libertà allora significa imporci degli obiettivi e perseguirli con determinazione, tracciare dei binari che conducano ad un risultato ed avere la forza di non deragliare mai. Sembra paradossale, eppure è dall’incapacità di rimanere aderenti ad un comportamento prefissato che scaturisce la nostra vera natura di schiavi.

Tu credi che posticipare l’inizio della dieta sia stato frutto di una tua libera scelta (ma sì, inizia pure dopo le feste) mentre in realtà non hai fatto che adottare l’unico comportamento che la tua natura umana ti metteva a disposizione. Non c’era possibilità di scelta, ma la tua mente, con un prodigio di strategia psicologica, ti ha convinto sia stata una tua decisione.

Lo so, pensi si tratti di sciocchezze. Dimostramelo. Anzi, fai qualcosa di più utile: dimostra a te stesso di avere ragione. Scegli, in totale libertà ed onestà, di rinunciare per un mese ad una delle tue abitudini. Sempre in totale libertà, prova a metter in pratica questo intento.

Misura, con galileiano metodo scientifico, quanto sei libero di raggiungere l’obiettivo.