Ti chiedo uno sforzo immaginativo: visualizza un grosso tubo con una sorgente luminosa ad una delle estremità, che proietta la sua luce su una parete situata di fronte all’estremità opposta.
All’interno del tubo ostruzioni di varia natura impediscono il pieno passaggio delle onde luminose, producendo ombre cinesi sul muro.
Tu agisci sulla disposizione e la forma delle ostruzioni e poi osservi le ombre, e ti senti pervaso da una piacevole sensazione di controllo, perché ad ogni cambiamento che apporti vedi un corrispondente adattamento delle forme.
A lungo andare ti convinci di essere quelle ombre. Hai un bisogno viscerale di questa identificazione, perché è l’unico strumento a tua disposizione per sapere che esisti; ogni tua azione produce sistematicamente una reazione, peraltro conforme a certi schemi prevedibili che via via maturano nel tuo campo intellettivo: una perfetta verifica sperimentale della tua esistenza.
Ci provi gusto, e col tempo aggiungi elementi: nuove ostruzioni proiettano altre ombre sul muro, permettendoti di creare ulteriori forme che vanno via via a riempire il campo luminoso. Hai la sensazione di crescere, ti senti appagato e rassicurato dalla fedele sistematicità con cui le ombre rispondono ad ogni tua mossa.
Ma poco a poco inizi ad avvertire un senso di oppressione: il tubo diventa sempre più ostruito e il buio inizia a dominare la parete su cui un tempo si stagliava un radioso cerchio di luce.
Ogni tua azione produce ora forme confuse e sovrapposte, non hai più una chiara percezione dei risultati che sei in grado di ottenere. Il tubo è troppo pieno, e la luce non riesce più a mostrarti chi sei.
A questo punto cadi in una profonda depressione, dalla quale riesci finalmente a tirarti fuori solo quando scopri l’errore che hai commesso.
Tu non sei quelle ombre; le ombre servivano solo per creare quelle discontinuità che potessero farti percepire, per contrasto, l’esistenza della luce, che in assenza di termini di confronto non saresti stato in grado di apprezzare, nella sua uniforme e accecante radiosità.
Questa presa di coscienza ti permette di trascendere: tu non sei le ombre, non sei neppure le ostruzioni all’interno del tubo, ma sei il tubo.
Sei un canale attraverso cui fluisce la luce, ora che l’hai compreso non hai più bisogno di prove, e ti preoccupi solo di lasciarlo il più possibile sgombro, affinché l’energia della vita possa attraversarti.
Non è stato tempo perso: hai avuto bisogno di passare nell’oscurità e nell’inganno, per comprendere quanta luminosità potevi canalizzare.