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Gli scrutini


Finalmente i quadri erano usciti.

Laura si fece largo nel capannello di studenti che concitati si avvicendavano davanti alla lunga sequenza di stampati appesi al muro dell’aula magna della Life University.

Come di consueto un filo d’ansia la teneva sospesa sull’esito della prova, anche se sapeva di avere tutto sommato la coscienza a posto: si era comportata a suo avviso in modo irreprensibile.

Quando finalmente raggiunse la prima linea e si lasciò alle spalle gli ultimi istanti necessari per scorrere l’elenco e trovare il proprio nome, un sobbalzo le fece palpitare il cuore, un misto di sorpresa, incredulità, delusione.

Respinta, prova da ripetere. Mondo di rinvio: Terra. Coordinate spazio temporali secondo lo schema di riferimento ivi vigente: Ansley, Nebraska, Stati Uniti, 15 giugno 1746.

Bocciata! Non era possibile, ci doveva essere senz’altro un errore!

Decise di avvalersi dello strumento di contestazione, e prese un appuntamento con la commissione di esame per discutere il suo caso, per avere delucidazioni, chiarimenti, spiegazioni.

Il presidente della commissione aveva uno sguardo bonario, accogliente. La invitò ad esporre le sue ragioni.

“Prego, signorina, mi dica qual è il suo problema.”

“Ecco, vede… io non capisco perché sono stata respinta.”

“Dunque… vediamo…” disse l’uomo scorrendo velocemente il fascicolo della studentessa che teneva sotto mano.

“Signorina, la prova prevedeva come di consueto lo sviluppo della capacità di donarsi, e lei è stata piuttosto carente in questo, ne conviene?”

“Beh, veramente non sono d’accordo… ho speso un’intera vita a donarmi agli altri. Mi sono occupata di volontariato, ho passato gran parte dei miei pranzi di Natale presso le comunità, mi sono spesso prestata come intrattenitrice nel pensionato per anziani sotto casa… ho organizzato parecchie raccolte fondi per gli indigenti, e comunque, al di là dell’impegno sociale, nella vita quotidiana mi sono sempre prodigata per rispettare il prossimo, sono sempre stata accondiscendente e benevola, non ho mai dato fastidio a qualcuno. Se adesso voi mi dite che avrei dovuto fare di più, non posso che demoralizzarmi… non saprei proprio che cosa fare, più di questo.”

 “Signorina, credo che abbia frainteso la prova. Non le chiediamo affatto di più. Ha fatto bene a consultarci, così evitiamo di rimanere nel malinteso.”

“Frainteso? Come, frainteso?”

“Dunque, vediamo, come posso spiegare… le faccio una domanda: le è mai capitato di piangere di fronte a qualcuno?”

“Beh, sì… da bambina, quando mi sbucciavo un ginocchio, ad esempio.”

“No no, intendo da adulta. Ha mai mostrato una sua debolezza a qualcuno?”

“Beh… non ricordo bene ma… direi raramente: ho sempre cercato di dare sicurezza alle persone che mi stavano attorno. Era anche questo un modo di donarmi.”

“Ha mai condiviso le sue paure?”

“Quasi mai…”

“Perché?”

“Dovevo apparire forte agli occhi del mondo, per essere credibile… come avrei potuto essere di aiuto altrimenti?”

“Come fa ad essere così sicura che mostrare le proprie debolezze non possa essere di una qualche utilità?”

“Beh, mi sembra così evidente… la gente ha bisogno di sostegno, non di pesi aggiuntivi.”

“Non stiamo parlando di far gravare sugli altri le proprie debolezze, o almeno quelle che crediamo tali, ma solo di mostrarle, di essere genuini. E le sue passioni? Ha mai fatto conoscere al mondo le sue passioni?”

“Non vedo cosa c’entrino le mie passioni… comunque non sapevo fare nulla di utile; mi dilettavo a suonare la chitarra, ma per piacere mio. Al mondo serve aiuto concreto, non strimpellatori, ed è questo che io ho dato.”

“Leggo qui, nel suo incartamento, che ha anche scritto della canzoni. Le ha mai fatte conoscere a qualcuno?”

“No, come le dicevo era per mio diletto, chi poteva mai essere interessato alle mie canzoni?”

“Che sarebbe successo se le avesse fatte ascoltare?”

“Boh… sicuramente mi avrebbero preso per una sciocca.”

“E’ dunque per questo che ha sempre tenuto i suoi talenti nel cassetto? Per timore di essere mal giudicata?”

“Forse… forse sì. Non era solo timore, era una certezza!”

“Signorina, vede, proprio in questo sta la sua incapacità di donarsi, ed è per questo che non ha passato la prova. La paura di mettersi in gioco, del giudizio altrui, l’ha sempre tenuta chiusa al sicuro dentro a una cassaforte. Era troppo concentrata su sé stessa per riuscire a donarsi davvero al prossimo.”

Laura cadde dalle nuvole. Lei, proprio lei, troppo concentrata su sé stessa? Le suonava davvero incredibile. Il commissario esaminatore proseguì impietoso.

“Ha fatto molte cose per gli altri, ha sempre tenuto un comportamento irreprensibile ed altruista. Ma se ci riflette, sempre in nome della sua immagine. Non è questo il motivo per cui è stata mandata sulla terra.

Lei è stata mandata con un bagaglio di qualità che la rendevano unica, ed era quello che doveva condividere con gli altri. Ha fatto molte cose utili, ma che erano teoricamente alla portata di ogni persona di buona volontà, quando le veniva richiesto di mettere a disposizione del mondo le sue vere qualità, che sono solo sue, preziose nella loro unicità.

Il fatto poi che le giudichi di scarso rilievo ha aggravato la sua posizione, in quanto imperdonabile atto di presunzione. Si è arrogata il diritto di mettere in discussione gli strumenti di cui l’abbiamo dotata, dimenticando che lei deve imparare, non giudicare.

Sono queste le motivazioni che hanno portato alla sua bocciatura. La invitiamo a ripensare a questi errori e, per la prossima prova, a concedersi la possibilità di sbagliare: la sua smania di perfezione l’ha tradita.”

“Credo di avere compreso il mio errore, adesso capisco di avere sprecato la mia vita!” disse sommessamente Laura.

“Non dica così, nulla è sprecato. Questo errore le ha portato un insegnamento prezioso che non avrebbe potuto raggiungere altrimenti, è stato evidentemente un passaggio necessario e le siamo grati di averci interpellato per avere chiarimenti e poterlo così mettere a frutto.

Adesso è finalmente pronta a donarsi al mondo, libera da giudizi e condizionamenti. Faccia buon uso delle qualità di cui disporrà quando arriverà nel Nebraska, cerchi di comprenderle a fondo e sia finalmente sé stessa.”

E mentre Laura si allontanava, in parte rassicurata dal nuovo livello di consapevolezza che aveva raggiunto, il commissario le rimandò un ultimo, prezioso consiglio.

“Ah, dimenticavo: cerchi di divertirsi, la smetta di vivere la vita come se fosse un esame, è stato proprio questo a fregarla!”

La vetta: OK, target panic!


La vedo, è lassù, illuminata e riscaldata dal sole; dalla cengia umida e ombrosa in cui mi trovo riesco a scorgere piuttosto chiaramente il cammino che porterebbe a riscaldarmi le ossa e l’anima; so benissimo che è alla mia portata e che dipende esclusivamente da me, e tuttavia resto qui, a contemplare dalla distanza.

E so anche perché.

Perché, tutto sommato, chi sono mai io per meritare questo? Perché arrogarmi in prima persona i benefici di quel posto al sole? Perché sottrarlo a qualcun altro più meritevole di me?

Prendere l’iniziativa sposta su di me il peso psicologico dell’esito delle mie azioni; molto meglio reagire ai casi della vita, potrò sempre raccontare agli altri e a me stesso che mi ci sono trovato costretto.

E poi… dove mi trovo è freddo e umido, certo, ma si tratta di un posto che gode di una notevole stabilità, da qui non posso certo cadere. Mentre, se salissi lassù… eh, che diamine, da lassù le possibilità di caduta sono molteplici. Come mi sentirei se arrivassi in vetta, godessi appieno di quel bel sole, e poi con uno scivolone improvviso ruzzolassi di nuovo giù, per piombare dolorante nel luogo di partenza o, peggio, ancora più sotto? Il dolore alle ossa sarebbe nulla in confronto a quello che proverei al cuore al ricordo dell’agio ottenuto e poi perduto, per sempre.

C’è inoltre da considerare che a questo mondo se sei felice non sei mica tanto ben visto. Chissà perché, sembra sempre che il tuo star bene in qualche modo implichi lo star male di qualcun altro. Ed in effetti, se vado ad occupare quel posto nessun altro potrà goderne. Ma a prescindere da questo: che brutta persona sarei ad essere felice quando attorno a me c’è pieno di gente triste? Quanto mi farebbe sentire in colpa starmene lassù al caldo a guardare dall’alto la sofferenza altrui?

No, meglio rimanere qui. Non è affatto confortevole, ma almeno so cosa aspettarmi, so che ho poco da temere. E poi, ostentare la propria sofferenza ha il suo bel perché, il fatto di portare una croce è sempre ben spendibile in società.

Ma devo essere onesto; questa strategia di vita è per molti versi comprensibile, e tuttavia in cuor mio so di non avere il diritto di fare una cosa: recitare il ruolo della vittima. Perché la situazione che sto vivendo nasce da una scelta tutta mia, e sarebbe davvero ipocrita dare la colpa al destino, al mondo, agli altri.

Fare la vittima significherebbe rifiutarsi di guardare in faccia la realtà, perché alla fine anche la non azione è una scelta ben precisa che si compie, anche se molto più facile da lasciar passare inosservata.

E mentre faccio queste considerazioni e ammiro la vetta tuttora libera, alcuni dubbi provenienti dal cuore si insinuano striscianti nella mia mente.

Non sarà forse che, a sommare tutti questi periodi di sofferenza, latente ma sopportabile, lungo l’arco di una vita, alla fine incassare qualche saltuario ruzzolone sia il male minore? Nell’economia generale dei profitti e delle perdite, non converrà forse rischiare?

Soprattutto: e se quel bel posto lassù, che al momento è vacante, mi fosse stato riservato da una qualche sorta di equilibrio cosmico? Passami per comodità un linguaggio religioso, d’altra parte finora sono stato moralista a mio svantaggio: e se fosse un posto che  Dio ha creato proprio per me, nella sua infinita benevolenza? Parlo dei famosi talenti della parabola, con riferimento ai quali abbiamo un ben preciso compito: quello di farli fruttare e non tenerli nascosti al sicuro in cassaforte.

Che arrogante, supponente, presuntuoso e irriconoscente sarei in questo caso, a rifiutare una simile opportunità!