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Io sono Francesco


Il mondo cambia ad una tale velocità che nozioni imparate oggi non saranno più valide fra qualche anno; più che i concetti è importante allenare la flessibilità, la capacità di adattamento, la creatività, l’intuizione: sono queste le caratteristiche che ci impediranno un domani di essere sostituiti dalle macchine, sul posto di lavoro come in ogni altro ambito dell’esistenza.

Da ragazzino adoravo disegnare storie a fumetti; ricordo il giorno che la maestra, dopo che ebbi consegnato un compito insoddisfacente, mi disse: «invece di perdere tempo con tutti quei fumetti sarebbe meglio che studiassi di più».

Ecco come uno sprone maldestro può diventare la pietra tombale della creatività: non è un caso se proprio ora, mentre scrivo queste parole, mi sforzo con fatica di ignorare una voce di sottofondo che sussurra che dovrei dedicarmi a qualcosa di più utile.

Non è cambiato molto da allora: la scuola odierna è, salvo rare eccezioni, un chiaro esempio di come la rigidità mentale possa portare a confondere lo strumento con l’obiettivo: dal punto di vista dell’insegnante l’importante è trasmettere una nozione, si è perso di vista lo scopo per cui questa sarà un domani utile al ragazzo; si è perso di vista il fatto che la nozione è uno strumento, e la si è trasformata in un fine.

Dal punto di vista del discente, l’importante è posizionarsi al di sopra della sufficienza o, per i più ambiziosi, ottenere voti alti; si è totalmente perso di vista il fatto che il voto è uno strumento per misurare l’apprendimento: il voto è diventato il fine, e l’apprendimento il mezzo per ‘avere una buona media’.

La scuola attuale è una fabbrica di valutazioni, la fucina del giudizio, quell’invalidante abitudine che ci si segnerà e limiterà per tutta la vita.

Auspico che i ragazzi abbiano sufficiente apertura mentale per non lasciarsi imbrigliare da questi meccanismi, e trarre quanto di buono gli insegnanti possono ancora offrire loro; l’invito mi arriva dal profondo: ragazzi, non lasciatevi sintetizzare da un numero, non potete impedire che lo facciano, ma potete smettere di credere che sia reale.

L’inversione dello strumento


La linea guida di questo blog vuole mettere in guardia il lettore dai solchi delle sue abitudini mentali; la porto avanti con tale convinzione che mi sono reso conto di correre il rischio di essere frainteso, e voglio ora sgomberare il campo da eventuali equivoci.

Mi ha portato a questa riflessione un’amica osservando, pur se in un contesto completamente differente, come il combattere le nostre abitudini finisca il più delle volte col sostituirne una con un’altra. E allora mi sono chiesto: perché accade ciò? E soprattutto: è davvero un male che accada?

Pensa un attimo a come sarebbe la tua vita senza automatismi: per ogni piccolo gesto da compiere, il tuo cervello si troverebbe impegnato in innumerevoli decisioni: è meglio che prenda prima il barattolo del caffè o il latte dal frigo? E prima ancora: stamattina faccio colazione? E prima ancora: è meglio spegnere la sveglia con la mano destra o con la sinistra?

Ti renderai condo che una situazione del genere è da manicomio: ti ritroveresti già spossato prima ancora di arrivare sul posto di lavoro.

Quindi l’operato del nostro cervelletto è utile. E allora perché scriverne tanto?

Ci ho riflettuto su, e sono giunto a questa conclusione: l’automatismo è uno strumento che ci aiuta a raggiungere determinati obiettivi in modo più o meno efficace; in sé è dunque molto utile. Non va demonizzato.

Il problema sorge quando da strumento si trasforma in obiettivo.

Quando un’abitudine, che si è consolidata a causa della sua ripetizione, ti costringe a compiere gesti privi di scopo se non quello di reiterare un comportamento, lì si crea la distorsione. E la mancanza di consapevolezza di tutto ciò garantisce il perdurare della situazione e ne costituisce un’aggravante.Evolution-Of-Robot

Quante volte senti dire da persone di esperienza che una determinata attività “si fa così!”? Ma si fa così per motivi di opportunità, o perché si è rivelato utile in passato e a furia di farlo ci si è abituati?

Credo sia questo il criterio con cui discriminare: l’abitudine, il solco, è uno strumento che l’evoluzione ha sviluppato in noi perché è vantaggioso, sta a noi capire quando ci sta prendendo la mano ed evitare che accada.

Per analogia: il telefono e Internet sono strumenti di comunicazione utilissimi; ma nel momento in cui ne diventi schiavo e li usi solo per il piacere di farlo (o perché senti una pulsione che ti spinge a farlo), in quel momento diventano dei bisogni: l’inversione è avvenuta.

Se ne sei consapevole, continua a non esserci nulla di male.

Se ne sei consapevole.