Il mondo cambia ad una tale velocità che nozioni imparate oggi non saranno più valide fra qualche anno; più che i concetti è importante allenare la flessibilità, la capacità di adattamento, la creatività, l’intuizione: sono queste le caratteristiche che ci impediranno un domani di essere sostituiti dalle macchine, sul posto di lavoro come in ogni altro ambito dell’esistenza.
Da ragazzino adoravo disegnare storie a fumetti; ricordo il giorno che la maestra, dopo che ebbi consegnato un compito insoddisfacente, mi disse: «invece di perdere tempo con tutti quei fumetti sarebbe meglio che studiassi di più».
Ecco come uno sprone maldestro può diventare la pietra tombale della creatività: non è un caso se proprio ora, mentre scrivo queste parole, mi sforzo con fatica di ignorare una voce di sottofondo che sussurra che dovrei dedicarmi a qualcosa di più utile.
Non è cambiato molto da allora: la scuola odierna è, salvo rare eccezioni, un chiaro esempio di come la rigidità mentale possa portare a confondere lo strumento con l’obiettivo: dal punto di vista dell’insegnante l’importante è trasmettere una nozione, si è perso di vista lo scopo per cui questa sarà un domani utile al ragazzo; si è perso di vista il fatto che la nozione è uno strumento, e la si è trasformata in un fine.
Dal punto di vista del discente, l’importante è posizionarsi al di sopra della sufficienza o, per i più ambiziosi, ottenere voti alti; si è totalmente perso di vista il fatto che il voto è uno strumento per misurare l’apprendimento: il voto è diventato il fine, e l’apprendimento il mezzo per ‘avere una buona media’.
La scuola attuale è una fabbrica di valutazioni, la fucina del giudizio, quell’invalidante abitudine che ci si segnerà e limiterà per tutta la vita.
Auspico che i ragazzi abbiano sufficiente apertura mentale per non lasciarsi imbrigliare da questi meccanismi, e trarre quanto di buono gli insegnanti possono ancora offrire loro; l’invito mi arriva dal profondo: ragazzi, non lasciatevi sintetizzare da un numero, non potete impedire che lo facciano, ma potete smettere di credere che sia reale.
Laura si fece largo nel capannello di studenti che concitati si avvicendavano davanti alla lunga sequenza di stampati appesi al muro dell’aula magna della Life University.
Come di consueto un filo d’ansia la teneva sospesa sull’esito della prova, anche se sapeva di avere tutto sommato la coscienza a posto: si era comportata a suo avviso in modo irreprensibile.
Quando finalmente raggiunse la prima linea e si lasciò alle spalle gli ultimi istanti necessari per scorrere l’elenco e trovare il proprio nome, un sobbalzo le fece palpitare il cuore, un misto di sorpresa, incredulità, delusione.
Respinta, prova da ripetere. Mondo di rinvio: Terra. Coordinate spazio temporali secondo lo schema di riferimento ivi vigente: Ansley, Nebraska, Stati Uniti, 15 giugno 1746.
Bocciata! Non era possibile, ci doveva essere senz’altro un errore!
Decise di avvalersi dello strumento di contestazione, e prese un appuntamento con la commissione di esame per discutere il suo caso, per avere delucidazioni, chiarimenti, spiegazioni.
Il presidente della commissione aveva uno sguardo bonario, accogliente. La invitò ad esporre le sue ragioni.
“Prego, signorina, mi dica qual è il suo problema.”
“Ecco, vede… io non capisco perché sono stata respinta.”
“Dunque… vediamo…” disse l’uomo scorrendo velocemente il fascicolo della studentessa che teneva sotto mano.
“Signorina, la prova prevedeva come di consueto lo sviluppo della capacità di donarsi, e lei è stata piuttosto carente in questo, ne conviene?”
“Beh, veramente non sono d’accordo… ho speso un’intera vita a donarmi agli altri. Mi sono occupata di volontariato, ho passato gran parte dei miei pranzi di Natale presso le comunità, mi sono spesso prestata come intrattenitrice nel pensionato per anziani sotto casa… ho organizzato parecchie raccolte fondi per gli indigenti, e comunque, al di là dell’impegno sociale, nella vita quotidiana mi sono sempre prodigata per rispettare il prossimo, sono sempre stata accondiscendente e benevola, non ho mai dato fastidio a qualcuno. Se adesso voi mi dite che avrei dovuto fare di più, non posso che demoralizzarmi… non saprei proprio che cosa fare, più di questo.”
“Signorina, credo che abbia frainteso la prova. Non le chiediamo affatto di più. Ha fatto bene a consultarci, così evitiamo di rimanere nel malinteso.”
“Frainteso? Come, frainteso?”
“Dunque, vediamo, come posso spiegare… le faccio una domanda: le è mai capitato di piangere di fronte a qualcuno?”
“Beh, sì… da bambina, quando mi sbucciavo un ginocchio, ad esempio.”
“No no, intendo da adulta. Ha mai mostrato una sua debolezza a qualcuno?”
“Beh… non ricordo bene ma… direi raramente: ho sempre cercato di dare sicurezza alle persone che mi stavano attorno. Era anche questo un modo di donarmi.”
“Ha mai condiviso le sue paure?”
“Quasi mai…”
“Perché?”
“Dovevo apparire forte agli occhi del mondo, per essere credibile… come avrei potuto essere di aiuto altrimenti?”
“Come fa ad essere così sicura che mostrare le proprie debolezze non possa essere di una qualche utilità?”
“Beh, mi sembra così evidente… la gente ha bisogno di sostegno, non di pesi aggiuntivi.”
“Non stiamo parlando di far gravare sugli altri le proprie debolezze, o almeno quelle che crediamo tali, ma solo di mostrarle, di essere genuini. E le sue passioni? Ha mai fatto conoscere al mondo le sue passioni?”
“Non vedo cosa c’entrino le mie passioni… comunque non sapevo fare nulla di utile; mi dilettavo a suonare la chitarra, ma per piacere mio. Al mondo serve aiuto concreto, non strimpellatori, ed è questo che io ho dato.”
“Leggo qui, nel suo incartamento, che ha anche scritto della canzoni. Le ha mai fatte conoscere a qualcuno?”
“No, come le dicevo era per mio diletto, chi poteva mai essere interessato alle mie canzoni?”
“Che sarebbe successo se le avesse fatte ascoltare?”
“Boh… sicuramente mi avrebbero preso per una sciocca.”
“E’ dunque per questo che ha sempre tenuto i suoi talenti nel cassetto? Per timore di essere mal giudicata?”
“Forse… forse sì. Non era solo timore, era una certezza!”
“Signorina, vede, proprio in questo sta la sua incapacità di donarsi, ed è per questo che non ha passato la prova. La paura di mettersi in gioco, del giudizio altrui, l’ha sempre tenuta chiusa al sicuro dentro a una cassaforte. Era troppo concentrata su sé stessa per riuscire a donarsi davvero al prossimo.”
Laura cadde dalle nuvole. Lei, proprio lei, troppo concentrata su sé stessa? Le suonava davvero incredibile. Il commissario esaminatore proseguì impietoso.
“Ha fatto molte cose per gli altri, ha sempre tenuto un comportamento irreprensibile ed altruista. Ma se ci riflette, sempre in nome della sua immagine. Non è questo il motivo per cui è stata mandata sulla terra.
Lei è stata mandata con un bagaglio di qualità che la rendevano unica, ed era quello che doveva condividere con gli altri. Ha fatto molte cose utili, ma che erano teoricamente alla portata di ogni persona di buona volontà, quando le veniva richiesto di mettere a disposizione del mondo le sue vere qualità, che sono solo sue, preziose nella loro unicità.
Il fatto poi che le giudichi di scarso rilievo ha aggravato la sua posizione, in quanto imperdonabile atto di presunzione. Si è arrogata il diritto di mettere in discussione gli strumenti di cui l’abbiamo dotata, dimenticando che lei deve imparare, non giudicare.
Sono queste le motivazioni che hanno portato alla sua bocciatura. La invitiamo a ripensare a questi errori e, per la prossima prova, a concedersi la possibilità di sbagliare: la sua smania di perfezione l’ha tradita.”
“Credo di avere compreso il mio errore, adesso capisco di avere sprecato la mia vita!” disse sommessamente Laura.
“Non dica così, nulla è sprecato. Questo errore le ha portato un insegnamento prezioso che non avrebbe potuto raggiungere altrimenti, è stato evidentemente un passaggio necessario e le siamo grati di averci interpellato per avere chiarimenti e poterlo così mettere a frutto.
Adesso è finalmente pronta a donarsi al mondo, libera da giudizi e condizionamenti. Faccia buon uso delle qualità di cui disporrà quando arriverà nel Nebraska, cerchi di comprenderle a fondo e sia finalmente sé stessa.”
E mentre Laura si allontanava, in parte rassicurata dal nuovo livello di consapevolezza che aveva raggiunto, il commissario le rimandò un ultimo, prezioso consiglio.
“Ah, dimenticavo: cerchi di divertirsi, la smetta di vivere la vita come se fosse un esame, è stato proprio questo a fregarla!”
Ti sembra paradossale vero? In effetti lo è, si tratta di una mera provocazione: purtroppo o per fortuna, al ruolo di padre o madre non è possibile prepararsi in anticipo; genitori non si nasce, si diventa, l’esperienza va fatta sul campo e non ci sono libri o maestri che ti possano aiutare, perché ogni bambino è diverso da qualunque altro, non ci sono pattern da applicare, se non quello di aprirsi alle indicazioni del proprio cuore.
Il ruolo del genitore è spesso fatto di paradossi, di contraddizioni, di non sensi; i figli ti cambiano il modo di vedere la vita, a patto che tu sia disposto ad imparare qualcosa dagli errori che sicuramente commetterai nel rapportarti a loro. Chi è genitore non avrà difficoltà ad essere d’accordo con me, quante volte si sente pronunciare la frase: “se non hai figli non puoi capire”…
Eppure non ci si rende conto di una cosa: il campo di applicazione di queste mie considerazioni è molto più vasto, non si limita al rapporto coi figli. In ogni attività della vita quello che alla fine veramente conta è l’esperienza, le dichiarazioni d’intenti o le considerazioni teoriche lasciano il tempo che trovano. L’unico modo che hai per imparare a fare una cosa, o per sapere se sarai mai in grado di riuscirci, è quello di farla!
Credo nell’importanza della scuola, certo, ma il ruolo prioritario che un tempo assegnavo alla teoria mi ha portato più volte fuori strada; vale più la pratica della grammatica, si dice, e credo sia vero. Per troppo tempo sono stato un teorico, uno che sapeva come si fanno le cose e che non sbagliava mai, certo, perché non metteva nulla in pratica: chi non fa non falla, questo è sicuro.
Ma col tempo mi sono convinto che è meglio commettere errori piuttosto che rimanere inerti, una scelta sbagliata è migliore dell’indecisione; è meglio fare che parlare. E allora, il mio suggerimento è questo: non aspettare di raggiungere l’onniscienza prima di lanciarti in un’impresa, è tutta un’illusione: informati sul tema, cerca di capire dove si va a parare, ma poi buttati; leggendo migliaia di libri non imparerai mai a nuotare o ad andare in bicicletta, la vita è questa, non temere gli errori, perché sarà grazie a loro, e non ai libri, che potrai diventare esperto!
E bada: quella di indugiare sulla preparazione teorica il più delle volte è solo una bugia che ti stai raccontando, il cui vero scopo è quello di procrastinare l’inizio dell’attività per paura del fallimento.
«Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.» (Mahatma Gandhi)