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Il controllo


La potenza è nulla senza controllo.

Così recitava un famoso spot della Pirelli di molti anni fa, un tormentone pubblicitario rimasto nella storia.

Avere il controllo della situazione ci tranquillizza, e tutti ne andiamo alla ricerca. Ma cosa significa esattamente? E fino a che punto è possibile averlo?

Nella lingua inglese il verbo controllare possiede almeno due traduzioni dai significati molto diversi:

  1. to control, che significa comandare, regolare, dominare, governare, manovrare;
  2. to check, che significa verificare, spuntare, monitorare.

Esistono poi molte altre traduzioni dai significati più specifici, tutti riconducibili a queste due categorie più generali.

Partiamo dalla prima: credi veramente che sia possibile avere il dominio sul mondo che ti circonda? A mio avviso questa è la più grande illusione e fonte di frustrazione dell’essere umano, ben evidente a chi è genitore.

Molti vorrebbero avere una vita con certe caratteristiche, e da un lato si piangono addosso perché la realtà è alquanto diversa, dall’altro si affannano in un perenne inseguimento di qualcosa che sfugge di mano.

La verità è che tu non hai il dominio sulla freccia, una volta che è scoccata: puoi metterci tutto l’impegno, la concentrazione, la perizia, la forza di volontà… ma una volta che apri le dita, devi accettare il fatto che miliardi di altri fattori andranno ad influenzare la direzione del dardo, e da quel momento avrai perso il tuo potere. E la vita è un susseguirsi di frecce scagliate, migliaia di azioni che compi quotidianamente il cui esito non dipende esclusivamente da te.

Beh, obietterai tu, d’accordo, ma almeno fino a che sto tendendo l’arco posso ben dire di avere il controllo, almeno questo mi rimane.

Ne sei proprio sicuro? Sei davvero sicuro di avere il dominio sul bersaglio che hai (o pensi di avere) deciso di colpire? Oppure anche questo va al di là dei tuoi margini di manovra? Fino a che punto puoi modificare il tuo battito cardiaco, il tuo respiro, il tuo sistema immunitario, il tuo sistema endocrino? Fino a che punto puoi tenere a bada le tue emozioni, che dei primi sono manifestazione? Fino a che punto puoi manovrare le tue reazioni istintive quando un pericolo ti minaccia, o più semplicemente quando un automobilista di taglia la strada, o qualcuno ti insulta? Fino a che punto gli obiettivi che ti affanni ad inseguire sono stati davvero decisi da te?

Se lasci da parte per un momento le manie di grandezza e ti osservi nei comportamenti quotidiani con la sufficiente dose di umiltà ed onestà intellettuale, dovrai convenire con me che neppure su questo hai il controllo: ti comporti per la maggior parte del tempo come un automa in balia degli eventi, esterni o interni a te.

Cosa rimane, dunque? Rimane per l’appunto quella che ha condotto a questa presa di coscienza: l’osservazione. Rimane l’altra accezione del verbo controllare, la costante verifica di ciò che sta accadendo, quella che in economia aziendale prende il nome di controllo di gestione: una attenta ed imparziale analisi degli scostamenti su ciò che è e ciò che doveva essere, una comprensione a posteriori di ciò che è accaduto.

To check.

Sembra poco, ma è la base per l’auto consapevolezza. Ed è solo con questa che puoi comprendere come funzioni, i tuoi automatismi, i tuoi vincoli interiori.

Mi dirai: tante grazie, ma una volta che ne ho preso atto, a che mi serve? Che me ne faccio, se poi tutto accade in maniera meccanica?

Beh, non aspettare una risposta che non ti posso dare… prova sulla tua pelle. Per quanto mi riguarda, posso dirti che l’auto consapevolezza (le poche volte che riesco a raggiungerla) modifica alla base le leve che muovono i miei automatismi, ed in questo senso mi dà maggior padronanza della situazione, seppur indirettamente; è un po’ come hackerare il sistema, per dirla in gergo informatico: io rimango un automa che risponde meccanicamente, ma cambiando alla fonte i dati in ingresso anche l’output prodotto è diverso.

Ma chi sono io per dire che funziona così anche per te? Mica ho il controllo… prova, e fammi sapere.

La signora imbizzarrita


Ieri era una bella giornata di sole, sono uscito in mountain bike con gli amici; siamo andati sul monte Lavagnola, lungo l’Alta Via dei Monti Liguri. Si tratta di un sentiero relativamente trafficato, quando è bel tempo incontri escursionisti, gente a cavallo, motociclisti (anche se è vietato).

Giunti in vetta, mentre ci godiamo il meritato riposo, arriva un cavaliere; poco prima di raggiungerci l’animale mostra segni di inquietudine, chi sta sopra di lui rischia di essere disarcionato ma mantiene il controllo. Dice che si tratta di un puledro inesperto e suggerisce di continuare a parlare fra di noi con naturalezza, mentre tenta di invertire ripetuti dietrofront del recalcitrante mezzo di trasporto.

Alla fine ci nascondiamo dietro ad un cippo commemorativo e l’animale si convince che non siamo troppo pericolosi; raggiunge la vetta e si lascia accarezzare mansueto.

Tutto è bene quel che finisce bene, anche se per un attimo ho visto quel signore rischiare di volare giù per il ripido sentiero.

Lavagnola

Dopo qualche minuto cominciamo a scendere; finalmente, dopo tanto pedalare: è una discesa piuttosto divertente, che invita a lasciar andare i freni.

Ad un certo punto incontriamo due escursionisti a piedi, presumibilmente marito e moglie, sulla sessantina. La donna, che ci vede arrivare un po’ disinvolti, si spaventa e si inerpica a bordo del sentiero molto prima del nostro sopraggiungere nelle sue vicinanze; noi rallentiamo e quella inizia a mugugnarci contro in tono polemico che i sentieri sono fatti per andare a piedi e che non dovremmo essere lì, e bla… bla… bla.

Il marito ironizza imbarazzato cercando di stemperare l’atmosfera, le suggerisce di metterci in castigo.

Il compagno che sta di fronte a me inizia a rispondere a tono: i sentieri sono di tutti, e poi noi oltre a percorrerli ne puliamo e manuteniamo anche parecchi, e bla… bla… bla.

Il diverbio finisce quasi subito lì, noi proseguiamo il nostro giro e poco dopo incontriamo dei trialisti che risalgono il sentiero. Rimarrò per sempre con la curiosità di sapere quel che è successo quando hanno raggiunto quei due.

Ma l’osservazione che voglio condividere con te è: perché siamo stati tanto comprensivi con il cavallo, e così poco con la signora? Se ci rifletti, si è trattato della stessa reazione ad una situazione di spavento. Se il cavallo fosse stato dotato di parola, probabilmente non lo avremmo accarezzato così amorevolmente. So per certo che non abbiamo accarezzato la signora.

Nel fare questo parallelo non voglio essere indelicato né con l’uno né con l’altra, cerco soltanto di ribadire che è fuorviante continuare a dare così per scontata la discriminante della coscienza nel decidere i nostri atteggiamenti verso l’esterno. La meccanicità delle dure reazioni istintive in questo caso è stata identica.

Dobbiamo convincercene. Anche se, nella peggiore delle ipotesi, questo dovesse significare mettersi a litigare pure con il cavallo.