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Lettera al figlio


Lo so che questi discorsi ti annoiano, ma siediti un secondo e, per favore, ascolta alcune cose che ho da dirti.

Voglio che tu sappia che quando sei nato hai meravigliosamente cambiato la mia esistenza, hai riempito di senso la mia vita. Da quel giorno mi sono impegnato a diventare un papà perfetto: sarei sempre stato presente, avrei soddisfatto ogni tuo bisogno, ti avrei aiutato ad evitare ogni errore, almeno quelli che io già avevo fatto.

E così mi sono assentato dal lavoro per sei mesi, quelli che mi spettavano per legge, ho letto, mi sono informato, ho cercato di essere sempre al tuo fianco.

Perché un papà perfetto deve crescere un figlio perfetto.

Via via che il tempo passava, io cercavo di indirizzarti laddove mi sembrava più opportuno, per il tuo bene. Sei molto simile a me, e allo stesso tempo così diverso! Ed è proprio questa diversità che mi ha spesso portato a correggerti, perché la interpretavo presuntuosamente come un difetto che avresti pagato in futuro.

Ebbene, ho sbagliato.

Perché tu non dovevi diventare perfetto, già lo eri nel momento stesso in cui sei venuto alla luce. La mia cecità mi ha impedito di capirlo.

E così, tutti i miei tentativi per aiutarti a diventare migliore hanno rischiato di allontanarti da quella perfezione che già avevi; ti hanno trasmesso un messaggio non vero, facendoti credere di essere sbagliato, convincendoti che la strategia più giusta fosse quella di non fare, per non commettere errori.

Ti ho insegnato ad ubbidire, perché un figlio ubbidiente va sempre dove gli dici tu, e sai che potrai indirizzarlo là dove non ci sono pericoli.

Anche qui ho sbagliato, cercavo di proteggermi dalle mie insicurezze.

Perché non ho la più pallida idea di dove sia opportuno che tu vada. Ma allora ero convinto del contrario.

Ho sbagliato, e per questi errori ti chiedo perdono. Ma non mi aspetto il perdono della religione, io non ho peccati da espiare; ti chiedo piuttosto di comprendere che, se ti ho fatto del male, è stato perché ero inconsapevole, è stato perché ero convinto che ciò che stavo facendo fosse la cosa più giusta.

Il perdono che ti chiedo consiste nell’accettare la mia fallibilità.

Ti chiedo un’altra cosa: adesso che sai come si fa ad ubbidire, per favore, impara la disobbedienza. Non dare retta a tutti quelli che ti mostrano come devi essere, a quelli che ti dicono che non vai bene, che ti insegnano come devi vivere la tua vita. Cercano solo di infilarti in un gregge, non ascoltarli: accettane i costi se necessario, ma disubbidisci! La vita è fuori dalle regole, commetti i tuoi errori, ne hai diritto!

Soltanto una persona è in grado di sapere ciò che è più giusto per te, e quella persona sei tu. E se spesso senti una vocina nella testa, una vocina giudicante che dice che non ce la puoi fare, che stai sbagliando, che presto verrai punito per come ti comporti… ebbene, non darle retta. Quella vocina non sei tu, ma quel rompicoglioni di tuo padre che è entrato nella tua mente: liberatene al più presto e vivi la tua vita come ritieni più opportuno. E se avrai bisogno di appoggio, io ci sarò, finché mi sarà possibile; ma nei modi e nei tempi che mi saprai indicare.

Ti voglio bene.

E figlia, figlia, non voglio che tu sia felice,
ma sempre contro finché ti lasciano la voce;
vorranno la foto col sorriso deficiente,
diranno: Non ti agitare, che non serve a niente,
e invece tu grida forte,
la vita contro la morte.

Roberto Vecchioni

Perdono, perché sono egoista


Secondo Wikipedia, il perdono è

la cessazione del sentimento di risentimento nei confronti di un’altra persona; è quindi un gesto umanitario con cui, vincendo il rancore, si rinuncia a ogni forma di rivalsa di punizione o di vendetta nei confronti di un offensore.

La nostra cultura cattolica ci fa poi associare il concetto di perdono a quello di porgere l’altra guancia.

E’ dunque piuttosto naturale che il nostro istinto di sopravvivenza ci renda riluttanti a perdonare, perché vediamo questo atto come una pericolosa apertura nelle nostre difese, che ci lascia in balia dell’ennesimo attacco di chi già una volta ci ha trattato male.

Ma per come la vedo io, il perdono non è nulla di tutto ciò, ed è ben lontano dall’essere un atto altruistico.

Se ci rifletti, la rinuncia ad ogni forma di vendetta lascia di fatto inalterato il destinatario del tuo perdono, che magari neppure ne è a conoscenza; ha invece enormi benefici su di te!

Eccoti un esempio per spiegare meglio cosa intendo.

Qualcuno ti fa un torto, ed in quel momento tu provi una certa sofferenza; te la leghi al dito e ti riprometti di fargliela pagare in futuro.

La tua mente, per aiutarti a non dimenticare questo sano proposito, continua a proiettarti il film del torto subito, e tu riprovi le stesse emozioni provate in origine; l’evento si è verificato una volta sola, ma tu lo rivivi più e più volte, per mantenere vivo l’intento di vendicarsi.

Ecco che la sofferenza che potevi provare solo per qualche minuto, grazie all’aiuto dell’efficace memoria di cui sei dotato, si protrae per un tempo indefinito. E’ un po’ come se un virile maschio si tagliasse gli attributi per fare un dispetto alla moglie, non trovi?

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Che succede invece se perdoni?

Perdonare significa accettare il fatto accaduto, che essendo appunto accaduto è ormai ineluttabile: desiderare il contrario è privo di senso. Non significa certo non prendere precauzioni affinché non si ripeta: si tratta solo di smettere di continuare a rimuginare su quanto è successo.

Vuol dire accettare il fatto che qualcuno si è comportato in un certo modo perché, secondo la sua scala di valori (che magari è molto diversa dalla tua) era corretto fare così.

Hai idea del risparmio di energia che permette tutto questo?

Magari non sarai d’accordo con me, il tuo desiderio di vendetta è troppo forte, e poi che diamine, è una questione di principio e di immagine, non puoi lasciare che ti si veda come un debole che accetta di farsi fare qualunque cosa senza fiatare.

Non ti sto suggerendo questo, ma di chiudere con il passato, smettere di tenerlo in vita con tutto il suo carico di dolore, e andare avanti.

Io sono sufficientemente egoista da fare così, e perdono non già per altruismo, ma perché mi voglio troppo bene per permettere a chi mi ha già fatto del male una volta nella realtà di continuare a farlo ripetutamente nella mia immaginazione.