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La sequenza


Ho in mente un’idea favolosa che voglio trasmettere scrivendo questo articolo; cerco di andare con ordine, se butto giù i concetti alla rinfusa rischio di non farti capire nulla.

Devo seguire un filo logico ma ho molte difficoltà, perché è difficile imporre una sequenza a pensieri molto legati fra loro; la tentazione di divagare è sempre dietro l’angolo.

Ad esempio ora sto pensando di entrare nell’argomento ‘X’, a cui voglio poi far seguire ‘Y’, e mi accorgo che potrei altrettanto efficacemente collegare ‘Z’, ma in tal caso la storia prende un’altra piega.

Mi sento come quando leggo un libro in cui sono presenti molte note a piè di pagina: che fare, seguire il flusso principale e poi tornare sulla nota in un secondo momento, oppure leggerla subito? Ma allora perché mettere una nota, se andava letta subito? Forse è di secondaria importanza? Allora posso scegliere di ignorarla? Ma così rimarrò sempre con la curiosità sul suo contenuto.

Ricordo anche quando da ragazzino leggevo le storie a bivi di Topolino: che bivio scelgo? Ho seguito tutte le strade alternative? Che frustrazione!

Certo, alla fine arriverò a toccare tutti i punti che interessano e il quadro ti sarà comunque chiaro, indipendentemente dalla sequenza scelta per snocciolare i concetti; forse qualcuna sarà più chiara, qualcun’altra più contorta.

Il punto è che non posso prescindere da una sequenza: devo mettere in fila gli argomenti, e prima ancora individuarli, isolarli, separarli.

Sembra un problema intrinseco alla comunicazione; è un po’ come accade nella trasmissione dati in Internet: il tuo ordine su Amazon viene suddiviso in componenti (nome destinatario, indirizzo di spedizione, articolo, quantità, ecc.) da inviare poi in sequenza, una lettera alla volta, nella rete.

Ma certo! La comunicazione! Potrebbe dipendere da questo il mio modo di vedere la realtà!

Mi sono sempre domandato perché non riesco a concepirla per quello che è, ossia un continuo, ma devo passare per una sua discretizzazione vedendo separazione laddove non esiste: questa è una sedia, là c’è un tavolo, lì una porta… illusioni! La realtà è priva di separazioni, sono io che le introduco artificiosamente, ma perché? Perché ne ho bisogno?

Anche lo scorrere del tempo è un’illusione: passato, presente e futuro coesistono in un blocco statico, almeno così insegna la teoria della relatività, eppure io mi sento in divenire, fluendo da un passato che non esiste più verso un futuro che non esiste ancora. Perché?

E se la risposta fosse proprio nella sequenza dei messaggi? Se la percezione della realtà fosse una sorta di comunicazione che avviene fra l’Universo e me?

L’Universo mi sta ‘comunicando’ come è fatto ma, esattamente come accade a me quando scrivo, non può trasmettere tutto assieme, altrimenti non capirei: allora mette l’informazione in pacchetti e li manda in una certa sequenza.

L’informazione mi raggiunge così parcellizzata e per gradi, un pezzo alla volta: questo spiegherebbe il fatto che percepisco una sedia separata da un tavolo, e una porta che si apre prima che qualcuno entri.

Una speculazione alquanto azzardata, ma estremamente affascinante.

Ma a parte questa divagazione, torniamo all’idea che volevo trasmetterti all’inizio.

Ehm…

Ecco, lo sapevo, mi sono perso nei meandri della storia a bivi, e ora non la ricordo più!

Facciamo finta


Riprendo sotto diversa angolazione la tematica introdotta in questo articolo, e torno a frustrare il tuo ego con una metafora destabilizzante: siamo tutti quanti individui fortemente miopi ed astigmatici che osservano l’interno di una stanza dal buco della serratura, con l’arrogante e ferma convinzione di conoscere la casa a menadito.

Se ti sembra esagerato, rifletti su quanto segue.

Siamo in grado di percepire una frazione molto limitata delle onde elettromagnetiche che raggiungono il nostro occhio,  come illustra l’immagine seguente.

spettroE lapalissianamente (ma non troppo), quelle che non raggiungono l’occhio sono per definizione invisibili: se ci trovassimo in una stanza piena di luce ma i cui fotoni viaggiano avanti e indietro, ordinatamente come in un laser, perpendicolarmente alla linea della nostra visuale, noi ci sentiremmo immersi nel buio più totale, perché nessuno di essi raggiungerebbe la nostra retina.

Lo stesso dicasi per le onde sonore: non siamo in grado di percepire gli ultrasuoni o gli infrasuoni, cosa che invece molti animali, pur sempre con notevoli limiti, sono in grado di fare.

Idem come sopra per gli odori: vogliamo forse metterci a competere con l’olfatto di un cane?

Le casistiche che potrei elencare sono molteplici; tutte quelle finora presentate sono relative alla limitazione dello strumento di percezione: ma andiamo oltre, perché il segnale grezzo rilevato, ad esempio il fotone che l’occhio cattura, va poi elaborato, trasformato in informazione, interpretato.

E qui entra in campo il cervello, o più in generale la coscienza: gli studi delle neuroscienze hanno evidenziato come, delle migliaia di stimoli per secondo che arrivano al cervello, per ragioni di economia solo poche unità (meno di una decina), vengono selezionate; le altre sono scartate. I criteri di selezione sono peculiari e cambiano da individuo ad individuo, in base all’esperienza accumulata e agli obiettivi perseguiti.

Il video seguente è particolarmente interessante sotto questo profilo.

Le informazioni selezionate dalla coscienza vanno poi a far parte di sistemi e modelli di più alto livello, entriamo nel campo delle idee, dei concetti, delle opinioni. E qui opera un ulteriore livello di semplificazione che produce risultati arbitrari: quello che ad esempio lui interpreta come un atto gentile (portare dei fiori) lei lo vede come gesto sospetto (cosa vorrà farsi perdonare?).

Ebbene, dopo questa carrellata per nulla esaustiva, sei ancora dell’idea che la tua visione del mondo sia affidabile?

Non ti pare evidente che hai a disposizione solo una versione ultra semplificata di quella che chiami realtà, perché è solo questo che le limitazioni dei tuoi sensi e della tua mente ti possono offrire?

Muovendo da questa considerazione, come puoi pretendere di comprendere la realtà per questa via, la via tipica del pensiero scientifico e razionale?

E se pensi che sia solo una questione di affinare la tecnica, sappi che la fisica quantistica ci ha pure precluso la possibilità di eseguire misurazioni di precisione assoluta, negandola in linea di principio, a prescindere dalla potenza dello strumento utilizzato. 

Intendiamoci, non ho detto granché di nuovo, questo non è che il mito della caverna di Platone rivisto in chiave moderna.

Comunque, per ritornare alla metafora dei terrapiattisti, quello che hai a disposizione è solo una mappa, un mezzo che ti permette di vivere nel quotidiano, affidabile solo localmente; se pretendi che la mappa ti dica come è fatto l’intero pianeta, andrai incontro agli inevitabili problemi di approssimazione e alle distorsioni dovute alla rappresentazione in piano di una superficie sferica; la mappa non è fatta per conoscere il mondo, ma per orientarsi nel boschetto dietro casa.

Se invece vuoi conoscere il mondo, sarà il caso che tu inizi a cercare altre strade; e dovrai trovare da solo la tua, nessuno te la può indicare.

Personalmente ho un’idea sul da farsi, e questo ovviamente non può che valere per me; fermo restando che mi conviene tenermi ben stretta la mappa che mi sono fin qui costruito, pena l’impossibilità di sopravvivere nel quotidiano, provo a concedermi talvolta la possibilità di metterla da parte. Questo significa abbandonare ogni convinzione, ogni certezza, ogni regola, ogni forma di identificazione.

Insomma, fare il vuoto. Il vuoto fertile. Il vuoto quantistico.

Questa è la mia risposta, questa la mia strada; ora che l’ho trovata, non mi resta che imboccarla.

E per farlo, devo abbandonarla.

È che l’umano ha bisogno sempre di fare finta
è un animale imperfetto ha bisogno del falso per vivere a quello che c’è
Limitare lo sguardo a qualcosa che sembra reale
mentre invece è soltanto illusione è un trompe l’oeil