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Andrà tutto bene un cazzo!


Non ci sono dubbi, l’epidemia rientrerà. Svilupperemo gli anticorpi, come singoli e come comunità. Torneremo a vederci nei pub affollati, ad abbracciarci, ad insultarci negli ingorghi cittadini.

Ma c’è un altro virus che in questi giorni così surreali si sta diffondendo, e pochi lo vedono; è un virus che non si propaga di corpo in corpo, ma di mente in mente, e le moderne tecnologie dell’informazione gli offrono potentissimi canali per dilagare incontrastato.

Avrai certo notato sui social gli innumerevoli post sull’epidemia, talvolta allarmistici, talvolta di speranza, talvolta meramente di servizio, talvolta moralizzatori (ah, quanto ci piace indicare la retta via agli altri!).

In questo fenomeno io ho notato, limitatamente a quel che può valere il mio remoto angolo di osservazione, una società che si lascia facilmente attraversare da queste ‘ondate’ informative: lo strumento principe è l’emozione che, scatenata da un articolo sui social, o da un messaggio in una chat, innesca nell’inconsapevole lettore la compulsione a condividere dopo aver ingoiato l’informazione per intero, senza averla masticata, digerita, assimilata

L’informazione circola quindi velocemente, e non senza effetti pratici, perché provoca nelle persone comportamenti pilotati e per nulla coscienti.

L’anticorpo a queste forme di epidemia è la consapevolezza, e i dati di fatto mi lasciano pensare che nella nostra società sia presente in livelli davvero bassi.

Il nostro corpo è sicuramente più intelligente della nostra mente (anche se da bravi sapiens sapiens crediamo di essere al top dell’evoluzione grazie a quest’ultima), e non ci metterà molto a prendere delle contromisure contro il Covid-19; ma la mente nemmeno sa di avere un problema, tanto è distratta dalla preoccupazione di proteggere il corpo. E anche se realizzasse di averlo, non è poi così forte da resistere alle compulsioni, diciamocelo; è molto abile a inventare scuse per occuparsi d’altro.

E se oggi il virus mentale che circola è tutto dedicato alla pandemia, quando questo tipo di emergenza sarà passato ne circolerà un altro; d’altra parte fino a qualche settimana fa circolavano i virus sull’immigrazione, sul  terrorismo, sui crocifissi nelle scuole.

Per non parlare dell’enorme numero di vittime provocato una ottantina di anni fa dal virus della razza ariana: il Covid-19 gli fa un baffo.

Concludendo: le giuste forme di profilassi che stiamo adottando, unitamente alla intelligenza del nostro sistema immunitario, ci tireranno sicuramente fuori da questa situazione drammatica. Ma se l’umanità resta all’attuale livello di inconsapevolezza, che il fenomeno Covid-19 ha reso ai miei occhi particolarmente evidente, perché mai dovrei aspettarmi che le cose migliorino?

Zombie


Ho paura, ho una fottuta paura del contagio.

Sono da ore chiuso in casa ad ascoltare i mezzi di informazione, non ne trascuro uno: televisione, internet, chat. Ho riempito frigo e dispensa, per un po’ siamo a posto: farina, zucchero, patate, pasta. Passata di pomodoro, e acqua: tante bottiglie di acqua. E medicine: antibiotici, antipiretici, antiinfiammatori. I classici, quelli che prendiamo di consueto, all’occorrenza.

Dicono che non bisogna allarmarsi, però lo dicono spesso, troppo spesso, in varie salse, in tanti modi; nel frattempo contano i nuovi casi di contagio, ma tutto è sotto controllo, precisano. Non si tratta di pandemia, non si tratta di pandemia. Pandemia. Non si tratta. Pandemia. Pandemia. Pandemia.

Basta un briciolo di prudenza, e non c’è alcun pericolo: con pochi accorgimenti si evita il contagio.

Contagio. Pericolo. Pandemia.

Però hanno messo alcuni paesi in quarantena, hanno chiuso le scuole e gli uffici pubblici per una settimana.

Per precauzione. E consigliano di non uscire.

Fossi matto ad uscire, in me la paura sale, non voglio morire!

Non voglio perdere tutto quello che ho, le mie sicurezze, le mie abitudini, i miei cari, la mia vita.

Ho paura del futuro, di ciò che mi può accadere.

Non voglio perdere la mia casa, la mia bella casa sicura e blindata che nella notte mi protegge dall’irruzione di qualsivoglia malintenzionato. Perché anche da loro bisogna in qualche modo proteggersi, con tutti questi immigrati, con tutte le brutte cose che si sentono al telegiornale.

Non voglio perdere il lavoro, quel lavoro che mi tengo stretto stretto da trent’anni, sempre lo stesso, sempre uguale, che tanto mi rassicura perché so che quando entro in ufficio, ogni mattino, non corro il rischio di trovare brutte sorprese: le mie solite pratiche sono lì, pronte ad ingoiarmi in otto ore di tranquillizzante routine.

Un lavoro che mi fa guadagnare un ottimo stipendio, che garantisce a me e alla mia famiglia il sostentamento e tutto ciò di cui abbiamo bisogno, e ci esce anche una buona polizza assicurativa che ci mette al riparo da ogni imprevisto della vita. Perché non si sa mai.

Non voglio perdere mia famiglia, i figli che ho tirato su con tanto amore e tanto senso di protezione: sono tutta la mia vita, morirei senza di loro. Non voglio perdere la sensazione di tornare a casa dall’ufficio, con la mia mogliettina che mi ha preparato una buona, sana cena, non voglio perdere i racconti a tavola su come è andata a scuola, come è andata la giornata di tutti noi. Spesso, assai spesso racconti sempre uguali, ma è questa routine che mi fa stare bene, che mi tranquillizza.

Che ne sarà di tutto questo? Che ne sarà dei sabati al supermercato a fare la spesa, delle gite fuori porta della domenica? Dei mercoledì sera al circolo con gli amici?

Ho il terrore che un giorno possa svanire tutto.

Vorrei che il tempo si bloccasse, e ogni cosa restasse così come è ora, che non cambiasse mai; perché è evidente che se cambia, con i chiari di luna che si sentono in giro, non può che peggiorare.

Vorrei che tutto si fermasse.

Ripetitivamente immobile. Quieto.

Forse vorrei morire.

Forse sono già morto.