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Chi ha bisogno del sostegno?


Questo articolo è dedicato a te, giovane studente in difficoltà sui banchi di scuola, che sei stato etichettato con acronimi fantasiosi come DSA, o classificato come appartenente alla categoria dei discalculici, o dei disgrafici, o dei dislessici, o dei dispitagorici (quest’ultimo è per il momento di mio conio ma sono certo che prima o poi salterà fuori, o un suo equipollente).

Insomma, quale che sia la categoria esotica a cui appartieni, è stato deciso che il tuo processo di apprendimento necessita di una corsia dedicata, e, forse, a seconda del grado di eccentricità della tua divergenza, di un insegnante di sostegno.

Non so come ti senta in tale situazione, perché da studente primo della classe, sempre uscito a pieni voti da questo sistema scolastico, non ho grossi elementi di valutazione; eppure anche io ho meritato la mia etichetta, nella fattispecie ‘secchione’, e in quanto tale stavo un po’ sulle palle a tutti e mi sono sempre sentito diverso dagli altri.

In ogni caso, voglio ora proporti una chiave di lettura alternativa: l’insegnante di sostegno, o qualsiasi altro tipo di strumento compensativo, non serve a sostenere te, ma il suo collega, cosiddetto ‘di ruolo’, che è incapace di gestire la diversità che caratterizza qualsiasi mente umana, non solo la tua.

E non per sua mancanza, bada bene; alla peggio può essere considerato connivente di un sistema scolastico che tende all’omologazione e alla standardizzazione, e proprio qui risiede il problema.

L’insegnante di sostegno ha l’arduo e ingrato compito di sopperire all’inadeguatezza di una offerta formativa che, invece di lasciar emergere le potenzialità di ciascun individuo, tende all’appiattimento e all’inquadramento all’interno di rigidi programmi di studio.

Forse per mera comodità, ma preferisco non approfondire troppo i retroscena, la scuola mira a produrre tanti bravi soldatini che eseguono ligi il compito assegnato, e io sono un esemplare uscito alla perfezione da questo tritacarne di pilkfloydiana memoria.

Che vantaggi ho avuto? Uno sicuramente, e non è di poco conto, per una psiche fragile: sentirmi adeguato alle aspettative del mondo.

Ma una volta compreso che questo stato dei fatti giova più agli altri che a me, una volta interiorizzata l’idea che compiacere il mondo risponde ad una strategia manipolatoria volta a trattare gli individui come vacche da latte, allora i vantaggi dell’essere un bravo soldatino vengono improvvisamente meno: i soldati sono utili solo per fare le guerre, e su questo fronte non ho bisogno di prove scientifiche per dimostrare l’esistenza dell’acqua calda.

Quindi, caro studente, il sunto del messaggio è questo: non sei tu ad essere inadeguato, ma sono loro, e anche se sono in molti questo non significa che abbiano ragione; lascia che pensino di te ciò che più preferiscono, gli orizzonti mentali limitati non si possono ampliare dall’esterno; ma non lasciarti convincere, non lasciare che l’opinione che hanno di te diventi anche la tua.

Lo so, è difficile. Ma provaci, abbi fiducia in te, datti una possibilità.

Anestesia


D’estate il condizionatore è fisso sui venti gradi, perché non sopporto il caldo afoso.

D’inverno il termostato è regolato sui ventidue, perché fuori fa un freddo cane.

Per salire al quinto piano prendo l’ascensore, mentre per ridiscendere al piano terra… pure.

Al mare la sabbia è calda e ci sono i sassi: ho bisogno delle apposite ciabatte prima di avventurarmi in acqua.

Provo fastidio per il tempo piovigginoso perché mi rattrista, e io non voglio sentire tristezza.

Per fare la spesa a due isolati da casa serve la macchina, le buste piene pesano.

Appena entrato in casa accendo il televisore, mi fa compagnia: il silenzio e la solitudine mi spaventano.

Bevo per dimenticare: ciò che mi è capitato mi fa rabbia, mi fa sentire frustrato.

La morte è un tabù: forse toccherà anche a me, ma fra cent’anni. L’idea mi fa paura, e la paura non mi piace.

Temo perfino i miei successi, perché ho il terrore di ricadere nel fosso dopo aver goduto del panorama in vetta.

Ho piallato ogni picco, verso l’alto o verso il basso: è diventato tutto piatto, ho anestetizzato emozioni e sensazioni; il mio corpo vive in una bolla artificiale dove tutto è nella media, e non appena accenna a lamentarsi, a segnalarmi che qualcosa non va, mi premuro di rimuovere quanto prima la causa del suo disagio.

Vivo circondato da una miriade di protesi, e alleno il solo muscolo del pensiero: seguo le sue regole, prendo per buone le sue previsioni, la razionalità mi fa sentire protetto e al sicuro. Queste sono le uniche sensazioni che gradisco.

Finché un bel giorno, come un bambino capriccioso e bisognoso di affetto, il corpo si mette a urlare, ammalandosi, e mi costringe a dargli quell’attenzione che da troppo tempo gli nego.

Allora mi rivolgo ai dottori, torno a cercare l’anestetico più adatto, perché ascoltare il corpo fa male, soprattutto se si è perso l’allenamento a farlo.

Il Barattolo delle Viti Strane


In cantina tengo le viti in barattoli appesi ordinatamente sotto ad una mensola, suddivise per diametro e lunghezza; quando lavoro è importante avere a portata di mano il necessario senza dover perder tempo a cercarlo nel bel mezzo di un’attività.

Catalogo le viti rigorosamente ad ogni acquisto; talvolta però me ne capitano sottomano alcune di recupero che mi dispiace buttare, perché l’esperienza mi ha insegnato che potrebbero sempre tornare utili, ma la cui misura non rientra fra quelle già in mio possesso; che fare?

Siccome mettere a disposizione un intero barattolo per una sola o poche viti mi sembra eccessivo, ho adottato la soluzione del Barattolo per le Viti Strane, nel quale ripongo tutte quelle che non riesco a classificare.

Il Barattolo delle Viti Strane

Col tempo il Barattolo si è riempito, arricchendosi di viti di ogni forma e dimensione.

Nell’ordinarietà dei miei lavori di bricolage raramente lo prendo in considerazione ma… ci sono momenti in cui mi sento in difficoltà, perché non trovo una vite che faccia al caso mio, mentre la smania di portare a termine il lavoro preme impietosa.

Allora lo apro, carico di speranze: “Barattolo delle Viti Strane, solo tu puoi salvarmi!”

Lo rovescio: rotolano fuori viti dalle forme più disparate, viti fino a quel momento inutili che diventano improvvisamente indispensabili! La mano che fruga frenetica in mezzo a loro mi riporta ai tempi in cui da bimbo cercavo nella scatola dei Lego, dove li tenevo metodologicamente alla rinfusa, alla ricerca del Pezzo più adatto; Pezzo della cui esistenza neppure ero certo: era un po’ come se cercarlo là, in mezzo a quel disordine, lo facesse in qualche modo materializzare.

Che metafora meravigliosa! Mi piace sentirmi un po’ Vite Strana.

Mi piace vivere in un Barattolo del genere, mondo di uguali perché tutti strani.

Prima o poi troverò la mia collocazione, anche se ho misure che non rispettano gli standard.

Eventuale lettrice, ti prego di mettere da parte ogni malizia.

Il costume di Superman


Riporto di seguito una frase tratta dal film Kill Bill volume 2 di Quentin Tarantino.

Come sai, io sono un grande appassionato di fumetti, soprattutto di quelli sui supereroi. Trovo che tutta la filosofia che circonda i supereroi sia affascinante. Prendi il mio supereroe preferito: Superman. Non un grandissimo fumetto, la sua grafica è mediocre. Ma la filosofia, la filosofia non è soltanto eccelsa, è unica! […] Dunque, l’elemento fondamentale della filosofia dei supereroi è che abbiamo un supereroe e il suo alter-ego: Batman è di fatto Bruce Wayne, l’Uomo Ragno è di fatto Peter Parker. Quando quel personaggio si sveglia al mattino è Peter Parker, deve mettersi un costume per diventare l’Uomo Ragno. Ed è questa caratteristica che fa di Superman l’unico nel suo genere: Superman non diventa Superman, Superman è nato Superman; quando Superman si sveglia al mattino è Superman, il suo alter-ego è Clark Kent. Quella tuta con la grande “S” rossa è la coperta che lo avvolgeva da bambino quando i Kent lo trovarono, sono quelli i suoi vestiti; quello che indossa come Kent, gli occhiali, l’abito da lavoro, quello è il suo costume, è il costume che Superman indossa per mimetizzarsi tra noi. Clark Kent è il modo in cui Superman ci vede. E quali sono le caratteristiche di Clark Kent? È debole, non crede in se stesso ed è un vigliacco. Clark Kent rappresenta la critica di Superman alla razza umana. (Bill)

Questa teoria sulla filosofia dei supereroi mi ha fatto riflettere: in fondo è vero, l’essere umano è debole, non crede in sé stesso ed è vigliacco.

Ma questa è l’interpretazione fuori dal solco che voglio offrirti: ciascuno di noi nasce Superman, coi propri poteri che lo rendono speciale ed unico.

Mano a mano che diventiamo adulti però ci assale una voglia di omologazione, di sentirci uguali agli altri, forse per paura di non essere accettati dal branco, perché alla fine l’uomo è un animale sociale.

La società (partendo dai genitori, passando per la scuola e risalendo fino ai mass media e, perché no, alle istituzioni) ci abitua inoltre ad essere tutti uguali, a pensare allo stesso modo, a comprare gli stessi prodotti e vedere gli stessi spettacoli.

Se non lo fai sei uno sfigato: sei out.

superman

Sotto questa spinta tutti quanti finiscono col sembrare più o meno simili. Ognuno si sente ovviamente diverso, ma temendo di essere emarginato si sforza di apparire come gli altri, che fanno altrettanto a sua insaputa.

Alla fine tutti questi supereroi si ritrovano travestiti da Clark Kent, inibendo le loro potenzialità in nome di un appiattimento generalizzato che però li fa sentire parte del tutto. Una sorta di livellamento verso il basso.

Bisogna invece trovare il coraggio di esaltare l’individualità, mettendo in mostra le proprie peculiarità che devono essere viste come punti di forza, non di debolezza.

Sentiamoci uguali agli altri nella nostra diversità, se proprio vogliamo soddisfare questa esigenza di appartenenza al gruppo: spogliamoci degli abiti che ci siamo cuciti addosso e facciamogli vedere chi siamo, a Lex Luthor!