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Il nulla


La verità si nasconde nelle pieghe della contraddizione.

I matematici sono terrorizzati dalle contraddizioni, i mistici orientali affascinati.

Dal punto di vista della logica, lo stato di verità di una contraddizione permette di dimostrare qualunque cosa.

Ad esempio, partiamo dalla verità dell’assunto contraddittorio:

A: Io sono Piero E io non sono Piero.

Da esso discende la verità dei due assunti più semplici:

B: Io sono Piero
C: Io non sono Piero

Possiamo usare l’assunto B in combinazione con uno arbitrario per crearne un terzo altrettanto vero:

D: Io sono Piero O io sono un canguro

Quindi: o sono Piero o sono un canguro; siccome per la verità di C io NON sono Piero, allora devo essere un canguro.

Ma seguendo questo ragionamento potrei anche essere una carriola, un ruscello, un grattacielo.

La mente viene destabilizzata dalla presenza di una contraddizione, ed è proprio per questo che i mistici orientali ne fanno largo uso, ad esempio nei koan Zen, enigmi assurdi, incoerenti e senza senso aventi lo scopo di scardinare il controllo razionalizzante del pensiero e favorire il processo di consapevolezza.

La contraddizione che produce un insieme vuoto, di conseguenza il nulla e, per complemento, il tutto.

La contraddizione come via per andare oltre il velo di maya.

Nel mezzo del cammin di nostra vita


Ti stai addentrando nel bosco incantato, una selva immensa ricca di ogni forma di vegetazione, solcata da una miriade di sentieri che si intrecciano, si biforcano e si ricongiungono in una ipnotica, statica danza.

Non sai dove portano tutte quelle tracce, ma quella che stai percorrendo è parecchio battuta e la conosci piuttosto bene. Attorno a te la boscaglia è fitta, un intrico di rovi e di ramaglie spezzate dalle intemperie.

Avanzi deciso, con passo svelto e sicuro.

Improvvisamente un fatto inatteso: due grossi alberi si sono abbattuti lungo la via rendendo impossibile il passaggio. Sono lì, di fronte a te, che ti sfidano irrispettosi: di qui non si passa.

Resti attonito, fermo a guardare l’ostacolo insormontabile. Senti le forze venir meno, quasi stessi per svenire: non conosci altro percorso che ti conduca là dove volevi arrivare.

Magari c’è, ma tu non lo sai.

Lo smarrimento inizia a pervadere ogni tua cellula, lo scoramento si fa strada; cosa farai adesso? Dove andrai?

Tornare indietro e imboccare un nuovo sentiero: non ci sono alternative. Questa soluzione non ti piace, non ti piace per nulla: sei attaccato all’idea di raggiungere il luogo rimasto al di là dell’inaspettata barriera, e fai fatica a metterla da parte.

Apparentemente non hai altre possibilità, eppure resti lì, testardo, come se da un momento all’altro potesse accadere qualcosa, una magia che possa riaprire la via.

E proprio quando stai per toccare il fondo, immerso nella disperazione più nera, ecco che la magia si manifesta: non nella forma che ti aspettavi, ma per fortuna riesci a riconoscerla e accogli il messaggio del Destino, facendolo tuo.

è un pensiero che emerge dal profondo: quel sentiero, tutti quei sentieri, non esistono da sempre: anni addietro la selva occupava ogni angolo del territorio.

L’hai dimenticato, ti sei semplicemente abituato alla loro esistenza. Ti sei abituato alla vita facile di chi trova la strada già segnata, ma un tempo qualcuno ha dovuto aprirsi un varco nel nulla.

Inizialmente un varco angusto, quasi invisibile all’occhio non allenato; poi in tanti hanno iniziato a percorrerlo e piano piano si è allargato, è divenuto più agevole, è diventato un sentiero battuto.

E molti altri, allo stesso modo, sono nati in seguito: il coraggio di chi ha saputo affrontare la boscaglia, allontanandosi dalla via conosciuta, ne ha create di nuovi.

Ecco, questa è la strada. Anzi, la non-strada. Addentrarsi nella boscaglia, lasciarsi ferire il volto dai rovi, sudare e spellarsi le mani nel tentativo di spezzare un ramo che intralcia il passaggio, lasciarsi sorprendere dall’apparizione di una radura inattesa.

Uscire dalla prigione del comodo sentiero e addentrarsi libero nel bosco senza più bisogno di arrivare da nessuna parte.

Per sottrazione


Io non sono il mio nome.

Non sono lo sviluppatore software.

Non sono il marito, non sono il padre.

Non sono colui che scrive in un blog poco conosciuto, non sono l’appassionato di ciclismo, non sono il podista dilettante.

Non sono l’amico su cui puoi contare, non sono la persona inaffidabile che dice bugie.

Io non sono lo studente modello, né il lavoratore serio, né il pasticcione distratto che dimentica le cose e talvolta combina guai.

Non sono l’improvvisato strimpellatore di chitarra, né il canterino dalla voce incostante che ama esibirsi al karaoke così, tanto perché qualcuno gli presti attenzione.

Non sono i muscoli doloranti dopo un pesante allenamento, non sono le mani che tremano prima di una prova, non sono il cuore che si restringe dopo un dispiacere.

Non sono chi ha bisogno di sentirsi dire ‘bravo’, che cerca l’approvazione altrui per sentirsi a posto.

Non sono quel naso pronunciato, né quella nuca sfuggente; non sono quel paio di occhiali tanto temuti in gioventù, né quei capelli che iniziano ad ingrigire.

Non sono chi ama produrre manufatti in legno, non sono lo psico filosofo.

Non sono l’amante della montagna, né il sognatore perso davanti alla vastità del mare.

Già, il mare.

Neppure il mare è l’onda, nessuna di quelle migliaia di onde che lo increspano, lo rendono armonioso, talvolta temibile, minaccioso: il mare è lo spazio che permette all’onda di esistere.

Io non sono questo o quello. Io semplicemente sono, senza necessità di completare con alcuna connotazione positivista.

Sono lo spazio delle possibilità entro cui si concretizzano quelle manifestazioni accidentali che costruiscono una personalità illusoria.

Io sono il vuoto, e a questo voglio ritornare, perché questo è il mio senso di esistere.

A me che sono, semplicemente sono.