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Il virus del blogger


Qualche tempo fa ho ricevuto un commento da una collega blogger col quale mi comunicava di avere nominato Fuori dal Solco per il premio ‘The versatile blogger of the year’.

La cosa mi ha riempito di gioia, perché mi sono sentito apprezzato; la collega cura il blog d’arte La Musa Inquietante, che trovo molto ben scritto anche se non lo seguo molto perché, per mio difetto, non ho particolare sensibilità per le tematiche legate all’arte: ti invito però a dare un’occhiata!

Cliccando sul link fornitomi per vedere di che si trattava ho capito che è una specie di catena di S. Antonio: ogni blogger che sia stato nominato deve scrivere un articolo in cui citare chi lo ha scelto, pubblicare un logo, scrivere sette cose su di sé, quindi nominare altri 15 blogger e comunicarlo commentando qualcuno dei loro articoli.

Di tutte queste cose, l’unica che ho deciso di fare è la prima: ed infatti questo articolo esordisce con i sinceri ringraziamenti e apprezzamenti per La Musa Inquietante. Ma poiché voglio restare fuori dal solco, ho deciso che l’anello di catena che è in me si dovesse spezzare: preferisco invece analizzare il fenomeno per capirne meglio le dinamiche. Quello che andrò a dire potrebbe mostrare di primo acchito connotazioni negative, ma non è questo l’intento, voglio assolutamente rimanere neutro e trarre insegnamento, cerca di proseguire la lettura tenendolo a mente.

Visto con un certo spirito critico, questo fenomeno può essere considerato a tutti gli effetti un virus: si propaga di sito in sito grazie al particolare terreno fertile incontrato, cioè l’entusiasmo derivante dall’essere apprezzato. Appena ricevuta la nomination mi sono infatti sentito importante, ho iniziato a cliccare euforico qua e là per la rete in cerca di informazioni in proposito. Ma questo è un punto debole: facendo leva su di esso, è possibile portare chiunque dove più ci pare; l’obiettivo ultimo del virus non è aiutare il corpo che lo ospita, ma perpetuare la propria esistenza.

Passato qualche minuto, ho cercato di tornare con i piedi per terra e di capire come stessero le cose.

E le cose stanno come ho detto: qualcuno ha avuto l’idea geniale di trasferire nel mondo dei blog il concetto di catena di S.Antonio, dando parziale visibilità ai blogger che diffondevano il messaggio ma immensa visibilità a sé stesso! E fin qui nulla di male, dopo tutto anche i portatori sani del virus hanno ricevuto dei benefici in termini di visibilità; esistono però casi maligni, ad esempio i molti post sui social network in cui si chiede di diffondere notizie false facendo leva su emozioni forti quali pietà, compassione, rabbia. Scatena un’emozione forte in qualcuno nel modo giusto, e gli farai fare ciò che vuoi!

influenza

Ma facciamo un passo oltre: questo meccanismo è vero più in generale per le idee: se sono in grado di fare presa sul substrato che utilizzano per diffondersi (i cervelli), possono replicarsi e perpetuare la specie per secoli (vuoi un caso emblematico? Il Cristianesimo è un’idea che si propaga, assumendo ad ogni passaggio modifiche evolutive – in senso darwiniano – da più di 2000 anni!). Il genetista Richard Dawkins ha utilizzato il termine memi per identificare questa sorta di geni di secondo livello, con argomentazioni che ritengo assolutamente convincenti; i memi si propagano di cervello in cervello così come i geni si propagano di corpo in corpo, e possono essere considerati a tutti gli effetti come entità a sé stanti, che trascendono il particolare supporto che in quel momento li sta ospitando. Ti senti sminuito perché relegato al ruolo di semplice supporto delle tue idee? Scusa. Ma dopotutto è quello che siamo, hardware.

Ma torniamo a noi: che insegnamento possiamo trarre da tutto questo? Direi senz’altro quello di diffidare di ogni tipo di automaticità nella risposta agli stimoli esterni. Tutto ciò che è automatico può essere pericoloso, perché ci fa prendere decisioni che solo apparentemente sembrano nostre; è importante rendersi conto di questo fenomeno, perché sta alla base dei molti meccanismi di marketing, propaganda elettorale, demagogia e quant’altro, che ci fanno comportare come massa non pensante invece che individui coscienti.

E non puoi dire che non ci siano fulgidi esempi davanti ai nostri occhi…

Riferimenti bibliografici:

Richard Dawkins – Il gene egoista, la parte immortale di ogni essere vivente

Perché uscire dal solco?


E’ passato un anno dal primo articolo che ho scritto, e mi piace ora tirare un po’ le fila del discorso, non tanto per fare dei bilanci, ma per provare a mettere qualche punto fermo.

Intanto la prima domanda che ci si pone è: ma interessa a qualcuno quello che scrivo? Detto più freddamente: ma quanti leggono questo blog?

La risposta è incoraggiante: pochi. Dopo la prima fase, in cui per la novità tutti gli amici e conoscenti leggono i tuoi articoli ed inizi a fantasticare di trend positivi in vista del futuro coinvolgimento di chi non ti conosce ma viene raggiunto dal passaparola, arriva l’impietosa fase del consolidamento: chi già aveva il sospetto che dicessi cose poco sensate e ti aveva dato l’ultima possibilità, ne ha avuto conferma scritta e ha lasciato perdere i casi umani; chi non ti conosceva più di tanto, adesso si è chiarito le idee e ha reputato prudente non perdere tempo. Poi c’è chi pensa che scrivi di temi poco concreti, spesso difficili, noiosi. Anche loro persi per strada.

Per questi e altri motivi, il trend è calato invece di salire. E lo si vede anche nella dinamicità delle interazioni: minori commenti. A questo punto ho due alternative:

  1. inserirmi nel blog di qualche saccente politico poco intelligente (pensi riesca a trovarne almeno uno?) facendogli perdere le staffe e costringendolo a dire che non sono nessuno perché ho pochi followers; questo mi darebbe un bel boost di popolarità;
  2. apprezzare questo stato di cose e continuare per la mia strada, con uno sguardo benevolo al nocciolo duro che continua a leggere e commentare (per iscritto o a voce) quanto scrivo, a volte anche manifestando un certo (a me gradito) dissenso.

La scelta fra le due alternative dipende fondamentalmente da una cosa: perché si dovrebbe uscire dal solco? Perché ne scrivo?

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Uscire dal solco è appagante e liberatorio. Quando ti impegni in una cosa nuova, ne affronti tutte le difficoltà, oltrepassi le prime fasi di scoramento ed inizi a vedere i primi risultati, non hai bisogno dell’incoraggiamento o approvazione degli altri per trovare la forza di proseguire, sei in qualche modo autosufficiente.

Osservare la realtà in modo non convenzionale è questo in fondo: provare a fare qualcosa che non si era mai fatto prima. Il mese scorso ho indossato i pattini per la prima volta nella mia vita, per giocare assieme a mia figlia. Non ho la benché minima forma di equilibrio su quegli aggeggi, di fatto cammino con la grazia di un primate; eppure, dopo le prime volte che ho pensato ‘ora mi rompo in due’, il cervello si è iniziato ad adattare, una molla è scattata ed il flusso dei pensieri motori ha iniziato a seguire un’altra strada.

Sembro sempre un primate, probabilmente non pattinerò mai nel vero senso della parola, ma credo di aver compreso il meccanismo. E questa comprensione provoca una gioia grande: ricordi il piacere che provavi le prime volte, quando avevi appena imparato a guidare l’auto o il motorino?

Affrancarsi dal giogo degli automatismi cerebrali per raggiungere nuovi e più elevati equilibri regala serenità, produce energia.

E allora la strada è chiara: poco importa se questo blog interessa solo a pochi, quei pochi a cui arriva il messaggio sono per me importanti e vanno curati. Se fossero molti, allora forse potrebbe essere il caso di smettere di scrivere, perché quando si raggiunge la massa critica il fenomeno acquisisce una propria individualità ed inizia ad evolvere in maniera autonoma; i figli vanno seguiti finché son piccoli, poi vanno lasciati andare.

Già, i figli. Anche per loro scrivo, perché un domani, quando avranno tutti gli strumenti per capire, forse leggeranno queste mie considerazioni e potranno comprendere, in totale libertà, chi è, o chi era, loro padre.

Il gioco della selezione naturale


La complessità del corpo umano; il miracolo della nascita; gli ingegnosi sistemi di sopravvivenza messi a punto dalle più svariate specie animali; i delicati equilibri su cui sono basati i processi biologici: basta un piccolo ingranaggio fuori posto, e tutto il meccanismo crolla. Ti pare davvero possibile che tutto questo sia frutto del caso?

Facciamo un paragone: pensa ad un’opera letteraria, ad esempio la Divina Commedia. Immagina di dare una tastiera ad una scimmia e lasciare che questa giochi a battere dei tasti a caso. Immagina pure che la scimmia sia molto paziente, piuttosto longeva, e che continui ininterrottamente nel suo esercizio per un tempo indefinitamente lungo. Vorresti farmi credere che, prima o poi, dalla battitura della scimmia emergeranno i versi della Divina Commedia? Va be’, te lo concedo, non abbiamo limiti di tempo, la scimmia che invecchia potrà essere sostituita da un’altra più giovane, la tastiera è indistruttibile e il PC a cui è collegata ha risorse illimitate… ma vuoi davvero convincermi che alla fine, per puro caso, salterà fuori un’opera letteraria? No, non ci credo: la Divina Commedia esiste perché qualcuno l’ha progettata, è impensabile che lettere disposte casualmente vadano a comporre una tale meraviglia.

Ovviamente tu sei un evoluzionista, insisti con la tua teoria; allora ti propongo un gioco: invece della Divina Commedia, limitiamoci alla più limitata locuzione “FUORI DAL SOLCO”; inventati un meccanismo per estrarre a caso lettere, esegui più estrazioni ripetute di gruppi di 15 lettere, e fammi sapere dopo quante estrazioni avrai composto “FUORI DAL SOLCO”.

Ti ho convinto? Vedrai da solo che già arrivare ad un risultato così semplice è praticamente impossibile, figuriamoci un’intero poema. Converrai con me, pertanto, che anche la teoria dell’evoluzione va rivista in favore di una più convincente teoria della creazione.

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L’argomentazione che ho ora presentato, che a prima vista appare piuttosto convincente, nasconde in realtà una profonda ignoranza di quelli che sono i meccanismi evoluzionistici; parte erroneamente dal presupposto che i processi coinvolti siano casuali, e da questo trae conclusioni palesemente non realistiche per confutare la teoria; è vero che le mutazioni genetiche e ambientali sono dovute al caso, ma i processi di selezione che premiano i più adatti non lo sono affatto (forse chi ha maturato l’idea opposta è stato fuorviato dalla meritocrazia italiana: non facciamoci confondere, si tratta di altra tematica, e comunque anche lì la casualità non c’entra).

In realtà, la selezione naturale opera secondo criteri che sono tutt’altro che casuali: il più adatto sopravvive e si riproduce, gli altri soccombono (ovvio, non c’è un nesso causa-effetto così rigido, magari occasionalmente si riproduce anche il meno adatto, ma la direzione in media è quella). Ho detto si riproduce; questo significa che la generazione successiva non dovrà ripartire da zero, beneficierà della situazione di vantaggio dei genitori: la selezione è cumulativa, ossia si stratificano i progressi di volta in volta fatti nel corso delle generazioni.

Per analizzare meglio il meccanismo voglio proporti una simulazione nella quale viene considerato un mondo semplificato, così riassumibile:

  • abbiamo una popolazione composta da dieci individui, cinque maschi e cinque femmine;
  • la popolazione è costante: ad ogni cambio generazionale, i genitori muoiono e lasciano posto ai figli: di questi, solo i dieci più adatti sopravvivono, per metà maschi e per metà femmine;
  • ogni individuo è descritto da una sequenza di caratteri alfabetici maiuscoli (il codice genetico);
  • per stabilire i criteri di selezione viene introdotto un individuo ideale, preso come riferimento per misurare l’adattamento ambientale; quanto più ogni elemento della popolazione si avvicina al riferimento, tanto più viene premiato dalla selezione naturale; l’individuo ideale dell’esempio è caratterizzato dal codice genetico ‘FUORI DAL SOLCO’, ma puoi cambiarlo con una sequenza di caratteri alfabetici maiuscoli a piacere;
  • ipotizziamo che l’ambiente sia immutabile, per cui l’individuo di riferimento non cambia;
  • il punteggio di adattamento di ogni individuo è pari al numero di lettere in comune con quello di riferimento.

Esistono due procedure: la selezione NON cumulativa, nella quale ogni generazione riparte da zero, innescata dal pulsante con la lettera (A), e la selezione cumulativa (darwiniana), nella quale ogni generazione trasmette ai figli parte del codice genetico, innescata dal pulsante con la lettera (B).

La procedura (A) è semplice: ogni volta vengono generati nuovi individui con caratteri scelti a caso.

La procedura (B) prevede le seguenti fasi:

  • generazione di una popolazione iniziale con caratteri casuali;
  • accoppiamento: si formano coppie in base ai rispettivi punteggi;
  • riproduzione: da ogni coppia nascono figli che hanno per metà i caratteri del padre, per metà quelli della madre; in più viene applicata una modifica casuale ad uno di questi caratteri (mutazione genetica);
  • selezione: i figli così generati vengono ordinati per punteggio (somiglianza con l’individuo ideale), di questi i primi dieci vanno a sostituire i genitori, gli altri non sopravvivono.

Sei pronto? Clicca su questo link e accedi alla simulazione.

Ti invito a provare i due casi: cliccando più volte sul bottone (A) noterai quanto sia difficile avvicinarsi all’individuo evoluto, perché ogni volta si riparte da zero, non c’è ‘memoria’ degli errori precedenti.
La procedura innescata dal bottone (B) converge invece verso l’individuo di riferimento, e nel giro di qualche decina di generazioni raggiunge l’obiettivo.

Quindi: chi cerca di convincerti dell’improbabilità dell’evoluzione parte dal presupposto che questa sfrutti il meccanismo (A), mentre quello da chiamare in causa è il (B).

Ora ti lascio libero di sfogarti nei commenti, ma alcune precisazioni sono d’obbligo: in primo luogo, questa non dimostra affatto che la teoria dell’evoluzione è giusta, ma semplicemente che l’argomentazione che la vuole negare è sbagliata. In secondo luogo, e a questo tengo particolarmente, mi sembra piuttosto ovvio come, anche sposando la teoria dell’evoluzione, la decisione circa i criteri di selezione non spetti agli esseri umani: chi avesse aspirazioni neo naziste abbia chiaro in mente che gli esseri viventi (tutti) sono oggetto di questo meccanismo, non soggetto attivo. L’olocausto non è colpa di una teoria, ma della stupidità di chi si lascia convincere da interpretazioni distorte della stessa.

Un momento. Ho parlato di esseri viventi. Forse possiamo spingerci oltre? Forse il meccanismo ha portata più generale, forse si può applicare anche alle idee?

Riferimenti bibliografici:

Richard Dawkins – L’orologiaio cieco