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Matematica e realtà


Voglio sottoporti una riflessione su quello che per me è un fatto sconcertante, un assunto che il mondo scientifico dà ormai per scontato, una evidenza a cui ci si è abituati a tal punto da aver smesso di sorprendersi.

La matematica è indubbiamente una creazione del pensiero umano, una pura astrazione. Non esiste alcun fenomeno concreto in natura che si possa identificare col concetto di integrale, o limite, o derivata.

Eppure, la matematica è il solo linguaggio che la scienza usa con sorprendente efficacia per descrivere il mondo fisico: partendo dalla traiettoria parabolica di un sasso lanciato in aria, passando per le equazioni della relatività generale, fino ad arrivare alla funzione d’onda che descrive la probabilità di localizzare un elettrone in un determinato punto dello spazio.

Ma non c’è bisogno di scomodare la fisica delle particelle, ci si può limitare alla vita quotidiana: nel frigo ho sei uova, ne prendo due distrattamente e le metto in padella: le vedo, sono due, davanti a me che friggono; le conto indicando col dito: uno, due; senza bisogno di applicare lo stesso procedimento con quelle rimaste posso con totale certezza affermare che sono quattro; per farlo astraggo, passando dal mondo reale a quello dei numeri, e applico una regola di cui ormai mi fido ciecamente:

6 – 2 = 4

quindi prendo il risultato, un numero puro, torno nel mondo della realtà e mi comporto come se in frigo ci fossero veramente quattro uova: ad esempio non inserendole nella lista della spesa che mi accingo a fare.

La descrizione che ho appena fornito è banale, ha sottolineato l’ovvio: eppure il perché quest’ovvio funzioni da sempre non è per nulla scontato e merita una attenta riflessione.

Perché le leggi della fisica seguono così fedelmente una creazione del pensiero? Forse perché il pensiero è nato a partire dall’esperienza del mondo che ci circonda e ha imparato a generalizzare?

In molti casi è così, come in quello delle uova: l’operazione avrebbe funzionato anche in caso di mortadelle, canguri o pinguini (forse ti starai chiedendo: passi per il pinguino, ma perché mai dovrei avere un canguro nel frigo? Ma non divaghiamo, di questo parlerò in un prossimo articolo).

Non sempre però la matematica si occupa di generalizzazioni a partire da esperienze nel mondo reale: si muove spesso da queste, come nella teoria degli insiemi o nella geometria, ma poi si arriva così lontano, nel processo di pensiero, da raggiungere concetti talmente astratti da aver perso ogni collegamento pratico con la vita quotidiana, al punto che si è portati a domandarsi perché i matematici perdono tanto tempo con le masturbazioni cerebrali.

Salvo poi scoprire, a posteriori, che quel particolare costrutto matematico descrive alla perfezione un nuovo fenomeno fisico appena osservato, o in molti casi è in grado di prevederne altri, mai osservati, che si deduce debbano esistere in base al puro ragionamento, come nel caso dei buchi neri o del bosone di Higgs.

Insomma, è un po’ come se matematica e realtà fisica fossero due aspetti di uno stesso fenomeno, uno nel campo del pensiero e l’altro in quello dell’esperienza concreta.

E a questo punto mi stuzzica un’idea affascinante: e se anche la realtà fisica fosse una creazione del pensiero? Se la matematica riflettesse il mondo delle potenzialità offerte dalla nostra mente, e la realtà fisica una sua concretizzazione?

Ovviamente l’idea non è mia, molte tradizioni esoteriche sostengono che la mente crea la realtà, e ultimamente anche alcune frange più progressiste della scienza avanzano questa ipotesi; parlo ad esempio di Federico Faggin, padre fra l’altro del microprocessore e della tecnologia touch, quindi una persona con i piedi ben piantati a terra, che sta dedicando la sua vita a dimostrare che la coscienza crea la realtà, e non viceversa come comunemente si crede.

Se questa ipotesi fosse vera, si spiegherebbe fra l’altro questo affascinante mistero… o forse è più funzionale la lettura rovesciata: l’esistenza di questo affascinante mistero non potrebbe essere un indizio del fatto che le cose stanno proprio così?

Analogico o digitale? Ovvero: olismo o riduzionismo?


Questo articolo vorrebbe declinare in parole un pensiero che ho nella testa, ma il contenuto stesso di quanto desidero trasmetterti mette in discussione la possibilità che io riesca a farlo… insomma mi trovo di fronte ad un paradosso, ad ogni modo ci provo.

Qualche giorno fa ho assistito ad una conferenza al festival della scienza nella quale si raccontava degli strumenti matematici, e dei rispettivi scopritori, di cui Einstein si è avvalso per dimostrare la sua teoria della relatività; al termine, al consueto giro di domande da parte del pubblico, una mi è sorta spontanea: perché mai il linguaggio matematico si presta così bene a descrivere i fenomeni fisici? In altri termini: perché la natura comunica con noi attraverso il linguaggio della matematica?

Le risposte dei relatori mi hanno convinto della affidabilità di questo strumento, ma non hanno dato ragione del perché, né mi aspettavo che fosse possibile farlo: in effetti la domanda sconfina molto nel campo delle speculazioni filosofiche più che della scienza.

Argomento archiviato; senonché stamattina, parlando di tutt’altro con mia moglie, è venuta fuori questa considerazione: secondo i recenti studi di fisica quantistica, che hanno poi riscoperto in forma nuova tradizioni e conoscenze millenarie, il mondo sarebbe un sistema unitario, olistico, di cui noi facciamo parte; la nostra sofferenza discenderebbe quindi unicamente dal fatto che noi ci sentiamo separati da esso, e non parte integrante.

nubi sole

 

Secondo questa visione percepiamo il mondo come noi da un lato, gli altri dall’altro; il tutto viene scomposto in parti, ma è solo un’operazione di comodo, la realtà è ben diversa.

E perché mai abbiamo bisogno di questa suddivisione? In altri termini: perché abbiamo l’esigenza di introdurre una separazione dove non esiste al fine di lasciar emergere la comprensione nel nostro campo di consapevolezza?

Detto diversamente: la realtà è analogica, un tutto unico, e noi dobbiamo vederla come digitale per poterla comprendere; lo stesso linguaggio verbale che usiamo per descriverla viene definito digitale, proprio perché scompone in pacchetti la realtà creando degli scomparti (di comodo, artificiali) e appiccicandovi sopra delle etichette (‘libro’, ‘sedia’, ‘fame’, e così via), a differenza di un disegno che invece descrive la realtà per analogia.

Insomma, la realtà è un fenomeno continuo che noi approssimiamo con un modello discreto.

Sembrerebbe che per poter interpretare il mondo, e comunicarlo ad altri, una parte del nostro cervello (l’emisfero sinistro) abbia bisogno di questa operazione di digitalizzazione, un po’ come un’immagine viene scomposta ed impacchettata in sequenze di bit e byte per poter essere trasferita attraverso l’etere da un cellulare all’altro.

Improvvisamente, con mia grande sorpresa ho notato come questa osservazione fosse di fatto la stessa, anche se vista da un’altra angolazione, che feci giorni addietro alla conferenza: la matematica non è altro che un processo di digitalizzazione della realtà di cui ci serviamo per poterla interpretare e, per qualche strana ragione, noi non saremmo in grado di comprendere il mondo senza questa preliminare operazione di ‘scomposizione in fattori’.

O meglio: è la nostra mente razionale, quella che ci fornisce la consapevolezza di esistere, ad averne bisogno; il nostro senso del sé necessita di approssimare la realtà analogica con un modello digitale, artificioso, al fine di interagire con esso. Ma è solo un artificio, in ultima analisi un’illusione!

Questa considerazione mi affascina non poco, e mi chiedo se possa esistere una strada per arrivare a comprendere senza usare questa finzione: sento in cuor mio che la risposta è affermativa, e che la strada in questione porta ad una sorta di illuminazione liberatoria e catartica, ma so che nel momento in cui la trovassi, per sua stessa natura, mi troverei nell’impossibilità di descriverla utilizzando gli strumenti digitali di questo blog: ti invito perciò a trovare la tua personalissima via per capire come è fatta la realtà che ti circonda, al di là della matrix.