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Come io vedo il counseling


L’altro giorno si parlava di apprendimento con mia figlia, studentessa al liceo.

Le facevo notare che un metodo affidabile per verificare di aver appreso una nozione è quello di spiegarla a qualcuno che non ne sa nulla, perché probabilmente inizierà a fare domande imprevedibili, portando il tracciato della spiegazione su un percorso a noi nuovo e costringendoci a vedere quella nozione da un’altra angolazione; o più semplicemente non riuscirà a seguire il nostro filone narrativo, e ci spingerà ad adottarne un altro.

Quale che sia la dinamica, ci stimolerà a formulare risposte che possediamo solo se, nel nostro processo di apprendimento, siamo scesi in profondità, ossia abbiamo abbandonato la superficie descrittiva della nozione per andare alla radice, facendo nostra quest’ultima.

La conoscenza si trova su un livello più profondo rispetto alla sua descrizione verbale e intellettuale, tuttavia per accedervi con gli strumenti tradizionali di apprendimento bisogna passare da quest’ultima, che non sarà mai unica, ma una fra tante.

Nel momento in cui si ha avuto accesso al concetto profondo, da lì è poi possibile risalire al livello descrittivo, magari utilizzando una verbalizzazione diversa da quella di partenza.

Il counseling a mio avviso funziona allo stesso modo: il counselor fa del suo meglio per raggiungere la tabula rasa di ogni sua conoscenza pregressa sugli esseri umani (facile a scriversi, impossibile da mettere compiutamente in atto) e si pone di fronte al cliente come uno studente del primo anno desideroso di apprendere, mentre il cliente spiega (oh, quanto mi affascina l’ambivalenza di questo termine) sé stesso.

Non serve altro, se non un genuino desiderio di apprendere il mondo dell’altro, che per spiegarsi è stimolato a conoscersi, vedersi da diverse angolazioni, comprendersi. Perché troppo spesso siamo convinti di essere limitati alle descrizioni superficiali che ci hanno arbitrariamente appioppato.

Tutto questo è magia, la magia dell’ascolto empatico e non giudicante. La magia del counseling.

Overlook Hotel


Mi trovo nella sala delle feste di un lussuoso albergo.

Attorno a me molte persone, parlano e scherzano fra loro; una calda musica swing avvolge il loro vociare.

La sensazione nasce impercettibile, poi si fa più insistente: qualcosa non va, provo a interagire con loro ma sembrano non accorgersi di me.

Un brivido sale lungo la mia schiena, accompagnando il terribile sospetto che muta presto in convinzione.

Non mi vedono perché sono morto! Lo sono sempre stato, ma non lo sapevo.

La subitanea presa di coscienza cambia la mia percezione, la musica scema, uno ad uno i personaggi attorno a me si dissolvono, lasciandomi solo nel silenzio surreale di quella stanza enorme.

Un vago terrore misto a un pesante senso di solitudine si impossessano di me.

Sono morto, e sono solo: ecco ciò che mi sono sempre rifiutato di vedere.

Psicomagia: non ci credo ma funziona


Settembre 2020. è passato un anno e mezzo da quando il mio libro è stato pubblicato e non ho ancora raggiunto l’obiettivo: vederlo sullo scaffale di una libreria.

I tentativi di metterlo in evidenza ci sono stati, purtroppo caduti nell’indifferenza dei vari librai contattati. Tentativi maturati su un piano mentale, razionale.

Mi dico: se questi non hanno funzionato, tanto vale provare con quelli irrazionali; non ho nulla da perdere, a parte forse l’autostima di una parte di me.

Decido allora di provare un rituale di psicomagia, come suggerisce Alejandro Jodorowsky. Si tratta in breve di questo: partiamo dall’assunto che l’attività mentale cosciente rappresenta solo una piccola percentuale del totale, la vera partita si gioca a livello inconscio; e il linguaggio dell’inconscio è di tipo non verbale, si basa su immagini e simboli.

Se voglio davvero interiorizzare la convinzione che posso raggiungere il mio obiettivo, dunque, non serve a nulla ripetermelo a parole come un mantra, bisogna usare un altro linguaggio, quello delle immagini.

Dopo di che è necessario un ulteriore atto irrazionale: abbandonarsi all’idea che una volta affidato all’inconscio l’intento si tramuterà in realtà.

Decido dunque di recarmi presso una nota libreria di Genova e posizionare truffaldinamente il mio libro sullo scaffale delle nuove proposte allo scopo di fotografarlo: stamperò poi la foto e la posizionerò in un luogo ben visibile della mia abitazione, affinché l’immagine arrivi per via subliminale dove serve.

Fake: il mio libro in esposizione

Fatto questo, riprendo il libro ed esco in strada; percorro un centinaio di metri, quindi mi domando: perché non provare anche qualcosa di concreto?

Ritorno sui miei passi e rientro in libreria; al banco delle informazioni dico che sono un neo scrittore e che il mio sogno è vedere un giorno il mio libro su uno di quelli scaffali: come devo fare?

L’addetto mi invita a seguirlo, quindi mi fa parlare con la responsabile; la quale mi mette di fronte alla necessità di avere uno smercio per i libri ordinati, di farmi aiutare dagli amici chiedendo loro di acquistare alcune copie, perché se non c’è ricircolo la libreria non ha convenienza ad ordinarne altre… alla fine va al computer e mi ordina una copia del libro!

Passa una settimana e l’immagine da posticcia diviene reale.

Obiettivo raggiunto: il mio libro in esposizione

La psicomagia ha funzionato, nel momento stesso in cui l’ho messa in atto!

Ovviamente non ci credo, è stata una coincidenza ma… quasi quasi ci riprovo, con qualcosa di più sostanzioso.