Nei momenti più difficili e bui, quando la personalità è messa alle strette e non ha più carte da giocare per affermare le sue egoiche posizioni, l’anima fa capolino e ci rivela chi davvero siamo.
Ritornato nell’ego, ho la presunzione di pensare che sia grazie a questo che ho potuto scrivere la mia prima canzone.
Sarò dunque autocelebrativo: ecco il messaggio di speranza che ti lascio, il mio piccolo contributo per affrontare questo oscuro periodo.
Lam
Il profumo del silenzio
Mim
che risuona calmo e forte dentro me
Lam
echi onirici di assenzio
Mim
liberan la mente da ogni suo perché
Do Sol
Muovo passi nudi e incerti dentro il sottobosco fresco e umido
Rem
sentimenti riscoperti
Lam
dietro a un chiaroscuro verde pallido
Lam
La rugiada piange gocce
Mim
dalle foglie ai sassi, ai rovi tremuli
Lam
muschio sulle rocce
Mim
abbraccia soffice di caldo volti ruvidi
Do Sol
Un anelito di vento annuncia fiero: il sole è dietro la collina
Rem
vibrazioni forti, quando arriveranno
Lam
nulla sarà come prima
Sol
Sarà come prima…
Fa
A te che dici che la vita
Do
è un nemico duro che non lascia scampo
Sol
io rispondo vieni, annusa quel silenzio
Lam
resta qui al mio fianco
Fa
A te che dici che la vita
Do
è un cammino triste attraverso il pianto
Sol
io rispondo siedi, senti che profumo,
Lam
resta qui al mio fianco
Sol
Resta qui al mio fianco…
Lam
Il ruggito del torrente
Mim
riempie greve l’aria di un verso animale
Lam
scroscia impertinente
Mim
rovesciando a valle strascichi di un temporale
Do
Rabbia cieca e devastante che ti avverte,
Sol
attento: non mi puoi fermare
Rem
io sono del mondo, adesso che son nato
Lam
nulla mi può più imbrigliare
Sol
mi può più imbrigliare…
Fa
A te che dici che la vita
Do
è una prigione chiusa dietro al disappunto
Sol
io rispondo guarda, senti quanta forza,
Lam
resta qui al mio fianco
Fa
A te che dici che la vita
Do
è senza senso e tutto è solo disincanto
Sol
io rispondo ascolta il battito del cuore
Lam
e rimani accanto
Sol
Resta qui al mio fianco…
Ero triste, in preda alla depressione più nera. Sai quando ti senti arrivato al capolinea, e non vedi sbocchi? Fine della pista, tutto è già stato visto, nulla per cui valga più la pena di combattere.
La neve scendeva lieve dietro i vetri appannati; ormai neppure più quell’evento, un tempo così dirompente nella vita di un allora giovane ragazzino, riusciva a dare gioia a chi ormai da molto aveva rinchiuso il fanciullino dietro a spessi muri di convenzioni sociali.
Sgomberai il tavolo dalle stoviglie della colazione, e buttai le briciole fuori dalla finestra.
Il gesto non passò inosservato ad un pettirosso affamato, che coraggiosamente si posò sul davanzale per pascersi degli abbondanti avanzi del primo pasto della mia giornata.
E fu allora che accadde.
Emise un canto soave, così dolce che sembrava provenire da un’altra dimensione, ovattato nel candore del manto nevoso eppure così pervasivo. Fu come risvegliarsi d’improvviso da un profondo torpore, e trovare tutto il senso e la bellezza della vita in un piccolo angolo di mondo.
Volò via dopo pochi minuti, il tempo sufficiente per farmi iniziare la giornata all’insegna di una rinnovata energia.
Tornò a farmi visita anche il mattino successivo, e quello dopo. E così per giorni. Imparai a lasciare volutamente delle briciole sul davanzale, un po’ in segno di ricompensa, un po’ per rafforzare quel legame che aveva saputo infondermi tanta serenità.
Arrivò la primavera col suo carico di colori, ed io avevo ritrovato definitivamente la gioia di vivere; senza un vero motivo, almeno a valutare da un punto di vista razionale.
Un giorno di aprile la consueta visita mattutina tardò ad arrivare; lì per lì non diedi peso alla cosa, ma lentamente un velo di preoccupazione iniziò a frapporsi fra i miei pensieri e il mondo; sentivo la mancanza di quel canto che sapeva così abilmente allontanare le nubi dal mio cuore.
Poi ecco presentarsi il ritardatario, e con lui ritornare la gioia; ma il tarlo aveva iniziato a lavorare dentro di me: e se quei ritardi fossero destinati a diventare più frequenti? Se la turbolenza degli stimoli primaverili avesse portato lontano gli interessi del mio amico?
Col passare dei giorni, il tarlo mi rendeva sempre più possessivo: non potevo permettere che il nostro legame si sciogliesse. Ne andava della mia felicità.
Altri ritardi nei giorni successivi corroborarono le mie paure: di lì a poco avrei perso la fonte della mia serenità. Fu così che presi la decisione.
Una piccola trappola sul davanzale; costruita con perizia, per non fare del male alla creatura amata. E, se tutto fosse andato per il meglio, il legame fra noi sarebbe diventato finalmente indissolubile, con indiscutibili vantaggi da ambo le parti. Perché avrei trattato quella piccola creatura con tutto l’amore di cui ero capace, gli avrei dato una casa e cibo sicuri, lo avrei tenuto al riparo dai pericoli del mondo.
E così accadde. La trappola funzionò, e la convivenza ebbe inizio.
Ma le cose non proseguirono come atteso. Il canto, che tanto aveva saputo allietare le mie giornate pur se ascoltato per pochi minuti, smise di inondare lo spazio attorno a me.
Il mio male era tornato, e si era impossessato anche del mio amico. La tristezza aveva imprigionato il suo spirito, così come io avevo fatto col suo corpo. Avevo assorbito, come un vampiro, ogni sua energia vitale. E fu solo allora che capii l’origine del mio male.
L’attaccamento, il voler ancorare la felicità ad una qualche fonte esterna; il voler rinchiudere in cassaforte le gioie, per paura di perderle; capii che così non poteva funzionare. Capii che, se volevo esser felice, dovevo sviluppare quella sensibilità che permette di vedere il bello in ogni cosa, di fare di ogni attimo un momento di festa. Dovevo sviluppare la capacità di lasciare andare.
Capii che la ricetta era semplice, ma che per metterla in pratica avrei avuto molta strada da compiere, tutta in salita.
Aprii la gabbia al piccolo prigioniero, che mi ringraziò per un’ultima volta col suo dolce cinguettio e volò via per sempre.