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Tempo di riflessioni


Dai un’occhiata ai seguenti dati.

Tartaruga

   6 battiti al minuto 150 anni di vita

Elefante

 30 battiti al minuto

  70 anni di vita

Cavallo

 44 battiti al minuto

  40 anni di vita

Mucca

 65 battiti al minuto

  22 anni di vita

Maiale  70 battiti al minuto

  25 anni di vita

Balena

 80 battiti al minuto

  20 anni di vita

Cane  90 battiti al minuto

  15 anni di vita

Gatto

150 battiti al minuto

  15 anni di vita

Scimmia 190 battiti al minuto

  15 anni di vita

Coniglio

205 battiti al minuto

    9 anni di vita

Criceto 450 battiti al minuto

    3 anni di vita

Colibrì 600 battiti al minuto

 0,5 anni di vita

Sembrerebbe proprio che, in media, ogni essere vivente abbia a disposizione lo stesso numero di battiti totali, nella propria vita: se il cuore batte meno, si vive più a lungo. Pare inoltre che esista una correlazione con le dimensioni: più si è grandi, più si è lenti, più si è longevi.

Bene, ora che ti ho attirato nella lettura con questa curiosità, ecco il colpo a tradimento: parliamo di fisica. Dai, non te la prendere, cerca di proseguire.

Il fatto è il seguente: o Einstein si è sbagliato, oppure lo scorrere del tempo è un’illusione. Infatti, secondo la teoria della relatività ogni evento esiste già nell’universo fisico, e l’apparente danza del presente che sfuma in passato per lasciare posto ad un futuro che ancora non c’è sarebbe, per l’appunto, solo un fatto di percezione.

Insomma, è la nostra mente a convincerci di questo fluire, mentre nella realtà tutto è fermo e immobile; un po’ come per il sole che gira attorno alla terra, si tratta solo di un’illusione percettiva: è la coscienza che si muove, come un proiettore che analizza in sequenza i fotogrammi di un immenso film cosmico, fotogrammi che in realtà già preesistono tutti, ma che vengono analizzati uno alla volta.

Supponiamo allora che la velocità di questo proiettore sia correlata alla velocità del metabolismo, che mi piace qui approssimare con la frequenza cardiaca. Ebbene, in tal caso, anche se dal nostro punto di vista il colibrì è sfigatissimo, perché vive una vita di stress, frenetica e agitata e per di più muore presto, in realtà dalla sua prospettiva avrebbe un’esistenza altrettanto pregna di eventi e soddisfazioni: è infatti risaputo che i colibrì sono piuttosto goderecci.

Quindi: metabolismo veloce, percezione del tempo rallentata; se infatti in un minuto io percepisco trecento eventi (fotogrammi) e tu solo cento, per me quel minuto è durato più a lungo del tuo; non è il valore assoluto che conta, ma la densità di accadimenti nell’unità di tempo.

Questo spiegherebbe fra l’altro perché, con l’avanzare degli anni, il tempo ci sembra scorrere più velocemente: il nostro metabolismo rallenta, percepiamo meno eventi per unità di tempo, quindi abbiamo l’illusione che il tempo fluisca più in fretta.

Se il nostro metabolismo, e con esso le nostre capacità percettive, fossero per assurdo spinti al massimo, raggiungendo la velocità della luce, ecco che saremmo in grado di vedere la danza dei singoli atomi, e quello che ci appare ora come un bel tavolo solido sarebbe invece visto come un pigro brulicare di instancabili e minuscole formiche.

E se al contrario fossimo esseri enormi, dal metabolismo incredibilmente lento? Parliamo di un ‘battito’ ogni milione di anni. Ebbene, in tal caso vedremmo ad esempio ogni orbita di pianeta come un anello che circonda l’astro di riferimento, perché non saremmo in grado di percepire il corpo celeste nelle sue singole posizioni; è un po’ come se tutti i fotogrammi si sovrapponessero e li proiettassimo contemporaneamente. Il moto traslatorio dei corpi celesti nello spazio disegnerebbe a questo punto figure tridimensionali, un po’ come in quegli effetti speciali nei video in cui i contorni di un’immagine in movimento lasciano una scia.

Concediamoci il balzo di fantasia: magari è davvero così… e gli astri enormi e lontanissimi che popolano l’universo sono solo atomi di una realtà più grande, incredibilmente lenta per il nostro metro… in un’interminabile catena di matrioske sempre più grandi e lente.

Un modo alternativo di concepire l’infinito.

Il vicolo cieco


Qualche giorno fa la mia amica Lisa mi ha raccontato un fatto che mi ha riempito di ottimismo e mi ha fatto riflettere, lo voglio qui condividere con te; beh, in verità lei non si chiama così, uso degli pseudonimi per proteggere la privacy, e per lo stesso motivo non ti racconterò tutti i dettagli della vicenda, ma lascerò inalterato il succo della storia.

Lisa ha per molti anni rivestito un ruolo di aiuto nei confronti di Filippo, che si trovava e si trova tuttora in uno stato di bisogno; inizialmente questo la faceva stare bene, si sentiva utile ed in pace con sé stessa; fra i due si era venuto a creare un legame molto forte, nel quale Filippo era però di fatto dipendente da lei.

Col passare degli anni questa situazione è venuta a pesare a Lisa, che ha iniziato a non provare più lo slancio e la passione che fino ad allora le avevano fatto vivere con gioia quella relazione di aiuto.

Negli ultimi tempi si era resa conto di non riuscire più a ricoprire un ruolo che adesso viveva come un dovere, ma abbandonare Filippo avrebbe significato dargli un dolore immenso, di questo lei era certa; e di riflesso pure lei sarebbe stata malissimo.

Insomma, era imprigionata in una situazione senza via di uscita: questa la sentenza della sua parte razionale.

Improvvisamente, ecco il fatto inaspettato: un’altra persona entra nella vita di Filippo, una persona che catalizza tutte le sue attenzioni; si tratta di un evento eccezionale nella sua improbabilità, un evento davvero imprevedibile, e tuttavia accade; contemporaneamente lei tocca il fondo, capisce che non ce la fa proprio più ad andare avanti in quella situazione, e forte dei nuovi accadimenti prende la decisione: comunica a Filippo che non potrà più aiutarlo.

Sta malissimo per qualche giorno, tormentata dai sensi di colpa… poi poco a poco il ritorno alla normalità. Gli scenari catastrofici presagiti, nei quali lui avrebbe provato un immenso dolore per l’abbandono(?) di lei, non si verificano, anche grazie alla presenza in scena del nuovo protagonista.

Insomma, quella che a priori sembrava una situazione senza via di uscita, alla fine non si è rivelata tale.

A posteriori.

Quando Lisa mi ha raccontato della sua decisione coraggiosa mi sono sentito pervaso da un’ondata di ottimismo e rinnovata fiducia nella vita, ed ho maturato le riflessioni che ora sto condividendo con te.

Perché era così convinta di non avere via di scampo? La risposta che mi sono dato è: perché usava la mente per analizzare la situazione. Il cuore (forse l’anima?) le suggeriva che avrebbe dovuto cambiare, ma la mente intimava che non era possibile, che non c’era margine di azione, tutte le strade disponibili erano precluse perché troppo costose.

Tutte? Ma la ragione non può conoscerle tutte! Essa si basa sul passato, anzi, sulla sola porzione di cui è a conoscenza, e non può fare affidamento sull’infinito bagaglio di possibilità che il futuro ha in serbo.

Insomma, la razionalità è limitata perché non possiede tutti gli elementi necessari per compiere una valutazione adeguata, e tuttavia pretende con presunzione di poterlo fare, col risultato che sovente arriva a conclusioni errate e spesso depotenzianti.

Se penso che la mia tesi di laurea si è basata in gran parte sulla teoria delle decisioni, che pretende di formalizzare dei criteri elevando appunto al rango di teoria tutta questa serie di str… ehm, stupidaggini… mi viene da sorridere e darmi una pacca affettuosa sulla spalla!

Ogni volta che la mente ti intima di lasciar perdere, che non ce la potrai fare, che stai per commettere una sciocchezza… ebbene, mandala delicatamente a quel paese e segui invece ciò che l’istinto suggerisce.

Metti da parte la presuntuosa convinzione di non potercela fare. Anche solo per gioco, così, per vedere almeno una volta che succede. E se non puoi correre e nemmeno camminare, allora impara a volare!

Grazie Lisa.

Riflessioni durante un giro in bici: lo stallo del binario


Sono in sella alla mia mountain bike, sulle alture del ponente ligure. Sto passando a fianco a numerose pale eoliche, la mente che saltella oziosamente di pensiero in pensiero. Improvvisamente uno di questi prende il sopravvento sugli altri: perché tre?

Perché tre pale, e non due? O quattro? Non ho conoscenze di tipo ingegneristico, la risposta che mi sono dato, e che ti propongo, è basata unicamente sul buon senso, con tutte le imprecisioni del caso. Ad onor del vero, prima mi sono premurato di verificarla chiedendo consiglio a Google; non ti riproporrò però le spiegazioni tecniche che ho trovato, ma solo la mia originaria, sicuramente non rigorosa ma non così lontana dal vero. E che comunque nulla toglie al succo del discorso a cui mi preme di arrivare.

Una sola pala è insufficiente, la ruota non potrebbe girare con tutto il peso da una parte. Perché non due? Due potrebbero essere sufficienti… tanti sono i pedali della mia bici, e funzionano a dovere dopotutto…

Invece, se osservi il disegno, ti renderai conto che due sole pale creano una sorta di situazione indeterminata, quando si trovano ad essere allineate perpendicolarmente alla direzione del vento.

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Come vedi, la spinta viene esercitata con uguale intensità tanto sulla pala superiore quanto su quella inferiore. Ovviamente l’equilibrio è instabile, quindi prima o poi una delle due forze prevarrà sull’altra; ma dal punto di vista del rendimento questo non è ottimale, perché di fatto una frena l’altra; inoltre, la situazione di indeterminatezza toglie fluidità alla rotazione, portando a situazioni in cui un po’ si ruota in un verso per poi magari rallentare, invertire rotta e ruotare nell’altro.

Con tre pale, tutto cambia radicalmente: non si potrà mai verificare che il vento spinga contemporaneamente con uguale angolo di incidenza su più pale, inoltre l’inclinazione delle due pale che si trovano per così dire ‘oblique’ rispetto alla direzione del vento è tale da minimizzare la forza di resistenza.

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Quattro? No, quattro no, si tornerebbe al caso di due pale con in più altre due inerti, poste parallelamente alla direzione del vento, che aggiungono solo peso inutile.

Cinque? Si tratta solo di una complicazione del caso tre, con peso e resistenza aggiuntivi; meglio fermarci qui, l’ottimo è tre.

E, a ben pensarci, mi sembra di ricordare che anche i motori elettrici abbiano tre bobine disposte a triangolo: sono pronto a scommettere che la ragione sia, nei fondamenti, la stessa.

Ora voglio spingermi in una illazione azzardata: non sarà forse che il nostro modo duale di pensare sia affetto da problemi simili? Come avevo già argomentato in un articolo precedente, la logica binaria su cui si basa il nostro pensiero razionale è utile in certi contesti, ma deleteria in altri: noi invece la eleviamo ad unico strumento di comprensione, e così facendo a mio avviso commettiamo un grosso errore. Con due sole forze polarizzanti non si va da nessuna parte, ce ne vuole quantomeno una terza che faccia la differenza, per non restare in una situazione di indecidibilità, di stallo infruttuoso.

Secondo alcune tradizioni esoteriche, in natura esisterebbero tre forze (legge del tre): attiva, passiva e neutralizzante. Due sole non sarebbero sufficienti a produrre un fenomeno, perché si verrebbe a creare lo stato di indeterminatezza che ho illustrato sopra.

Non voglio qui addentrarmi o sostenere questo punto di vista, lascio a te il piacere di approfondire se lo riterrai opportuno; il mio obiettivo è puntualizzare quanto sia utile ma al tempo stesso tremendamente limitante ragionare per insiemi, catalogando ogni esperienza con approccio binario: appartiene o non appartiene, è romanista o laziale, è di destra o di sinistra, e ateo o credente.

La testa ragiona così, ma il cuore ragiona diversamente. La prima fornisce le risposte utili nell’immediato, il secondo quelle utili nella vita; credo valga la pena di puntare lo sguardo un po’ più in là.